Ade Zeno e i santi mostri: una storia di diversità e umanità – Vincitore del Premio Bergamo 2025
Quando parliamo di mostri, il nostro immaginario ci rimanda alle creature orribili e spaventose che popolano i racconti di Stephen King e Howard Phillips Lovecraft: esseri fisicamente deformi, dotati di uno spropositato numero di occhi e tentacoli , con i quali è possibile entrare in contatto, certo, ma a costo di perdere la sanità mentale o, peggio, la vita. “I santi mostri” di Ade Zeno, però, sono diversi: l’autore, vincitore del Premio Bergamo 2025, mette in scena una bizzarra combriccola di freaks che, in una Germania a ridosso della Seconda guerra mondiale e dell’ascesa del Nazismo, cerca di barcamenarsi nelle sfide quotidiane di una deformità fisica raramente accettata e spesso temuta dagli altri, spingendo il lettore a chiedersi quali siano i veri mostri all’interno del romanzo.

Monstrum: tra meraviglia e terrore
Il termine “mostro” deriva dal latino “monstrum”, ma non ha l’accezione negativa che gli attribuiamo oggi: “monstrum” significa “prodigio”, “portento”, e prodigiose sono sicuramente le vite dei protagonisti del romanzo di Zeno. Gebke Bauer, il solitario e tormentato rampollo di una famiglia altolocata di Essen, un bel giorno decide che è arrivato il momento di abbandonare il tedio di una vita monotona e scontata e di circondarsi di persone che lo facciano sentire vivo e, soprattutto, siano mostri come lui, nato con quelle dodici dita che tiene costantemente nascoste in un paio di guanti di pelle nera. Ad accompagnarlo c’è Jörg Brandt, un ragazzo che del mondo non sa proprio nulla, dal momento che la famiglia , vergognandosi del manto di peli scuri che gli copre il corpo e che gli ha fatto guadagnare il soprannome di “uomo scimmia”, lo ha sempre tenuto chiuso in casa. I due fuggono insieme una notte d’estate del 1924 e da quel momento nasce la compagnia circense de “I santi mostri”, un gruppo di “disgraziatissimi deformi” che , con l’aggiungersi di Hilla, la “donna dal doppio sorriso”, Balthasar, “l’uomo piovra”, Benno , “l’uomo cammello”, Andris , “il ciclope Polifemo” e tanti altri, incanterà i palcoscenici di tutta Europa per il ventennio successivo. Tuttavia, Il vero prodigio non risiede nella deformità fisica dei protagonisti, ma nella loro capacità di restare umani: cresciuti ai margini di una società che li osserva con una miscela di paura e attrazione, tollerati solo finché restano confinati nel ruolo di curiosità esotiche, questi “mostri” non si disumanizzano, ma, al contrario, trovano nell’amore per l’arte un senso alla loro esistenza, perché è sul palcoscenico che trovano un’identità, un luogo dove possono essere guardati non solo per ciò che sembrano, ma per ciò che esprimono. Tra uno spettacolo e l’altro, emerge una profonda solidarietà tra loro: non sono solo compagni di scena, ma anime che si riconoscono nella comune ferita del sentirsi diversi. Amano con intensità, piangono con dignità, ridono con autenticità e soffrono con un’intensità spesso più vera di quella che appartiene alle persone “normali”, come se proprio il dolore li rendesse più vivi, più veri, più profondamente umani.
La santità dei mostri
Nel romanzo di Ade Zeno, i mostri sono “santi”in senso religioso- antropologico. Il termine “santo” deriva dal latino “sanctus”, a sua volta legato al verbo “sancio”, che significa “stabilire”, “decretare”. In questo senso, “santo” indica ciò che va separato, protetto, tenuto al riparo dalle offese degli uomini, perché troppo prezioso o troppo pericoloso per essere lasciato alla mercé del mondo. I membri della compagnia circense incarnano esattamente questa idea: esseri ai margini della società, deformi solo in apparenza, che trovano nella comunità del circo un limite, un confine protettivo entro il quale ridere, piangere, amare e , riconoscendosi nella diversità, proteggersi l’un l’altro. Quel mondo chiuso diventa la loro forma di resistenza, la loro zona franca, ma l’epoca in cui vivono è feroce e non tollera eccezioni: l’ideologia del terrore, che perseguita tutto ciò che esce dalla norma, entrerà a gamba tesa nel loro spazio, profanando il loro rifugio. “I santi mostri” saranno così costretti a sporcarsi, a combattere, a scegliere se restare umani o farsi travolgere dalla stessa oscurità che li perseguita.
Chi sono i veri mostri?
Nel romanzo emerge con forza un ribaltamento del concetto di mostruosità, che non risiede nelle deformità fisiche dei freaks, ma nella perversione morale di persone comuni che, in nome di una presunta purezza razziale, si arrogano il diritto di decidere chi abbia il diritto di vivere e chi no. In questo senso, emblematica è la scena in cui alcuni uomini si presentano da Gebke, non per assistere a uno spettacolo, ma per chiedere che venga loro consegnato Andris, un giovane con un solo occhio al centro della fronte, con l’unico scopo di trasformarlo in un’arma “psicologica” dei nazisti e di usarlo per terrorizzare i prigionieri di guerra prima di torturarli. È in questo gesto, lucido e glaciale, che si rivela come la vera mostruosità non risieda nel corpo di Andris, ma nel cuore di chi lo considera un oggetto da usare per infliggere dolore. Ade Zeno, però, non vuole restituire una dicotomia così rigida tra bene e male, anzi, la realtà morale che tratteggia si rivela piuttosto ambigua e sfumata: anche tra i nazisti si trovano segni di umanità, come nel caso del dottor Brandt, il medico delle SS che prenderà in custodia Andris, finendo per stringere con quest’ultimo un legame profondo e sincero. Allo stesso tempo, nemmeno i “mostri” sono immuni dal male: lo sviluppo degli eventi all’interno del romanzo metterà in dubbio la bontà d’animo di alcuni dei freaks, risucchiati, in modi diversi, dalle tenebre morali di un’epoca instabile, costringendoci a riconsiderare le nostre categorie morali e a chiederci chi siano davvero i mostri all’interno del romanzo, perché , come ammonisce il verso della poesia “Saggia apostrofe a tutti i caccianti” di Giorgio Caproni, “La Bestia che cercate voi, voi ci siete dentro.”
Zeno, Ade – Enciclopedia – Treccani