Musica e Teatro

Il Giuoco delle coppie dal Concerto per Orchestra di Béla Bartók – Ricerca universitaria

Bozzetto di H. Wendel per il Concerto per orchestra di Bartók
Bozzetto di H. Wendel per il Concerto per orchestra, 1958-59

«È l’altra musica di oggi, quella di Bartók! Caos invece di Cosmos, confusione al posto di ordine, raggruppamenti sparsi di sensazioni acustiche invece di chiarezza e forma […]. Eppure anche questo in modo magistrale. Persino bello, commovente, sublime, meravigliosamente dotato. E quello che lo rende più bello e irresistibile è che è proprio la musica del nostro tempo: un’espressione della nostra esperienza, della nostra visione della vita, delle nostre forze e debolezze».

Così annotava Hermann Hesse sul suo diario il 15 maggio 1955, dopo un ascolto radiofonico che comprendeva un Concerto grosso di Händel e il Concerto per orchestra di Bartók, cogliendo perfettamente alcune delle caratteristiche dello stile del compositore ungherese, come l’intreccio tra la musica popolare e quella colta, il caos che incontra l’ordine, l’atonalità che si scontra con la tonalità.

Bartók e il Concerto per orchestra

Spezzati gli ultimi legami personali con l’Ungheria dopo la morte dell’amata madre, Bartók arriva a New York con la seconda moglie Ditta Pázstory il 29 ottobre 1940, dopo aver assistito con crescente sgomento all’influsso sempre più evidente dell’aquila nazista sull’Ungheria, fino all’inclusione nel blocco con Roma e Berlino.

Il rapporto tra il quasi 60enne compositore ungherese e il Nuovo Mondo fu molto breve (Bartók morì, infatti, nel settembre 1945), ma abbastanza proficuo da dare alla luce composizioni estremamente rilevanti per la storia della musica, come quel capolavoro che è il Concerto per orchestra, commissionato da Serge Koussevitzky, direttore dal 1924 della Boston Symphony Orchestra (da lui trasformata in una delle migliori orchestre statunitensi) e dedicato alla memoria della moglie Natalie Koussevitzky.

L’idea, quasi ossimorica, di un “Concerto per orchestra” non era nuova: dalla metà degli anni Venti, infatti, erano apparse diverse composizioni (Hindemith, Kodály, lo Stravinskij “americano”) che facevano riferimento alla forma barocca del concerto grosso, con la sua opposizione tra concertino e ripieno. È il compositore stesso a descrivere la struttura del Concerto nel programma di sala della prima del 1 dicembre 1944: i movimenti esterni (evidente, infatti, una struttura ad arco) sono in una forma sonata più o meno regolare, il secondo “consiste in una catena di brevi sezioni indipendenti”, mentre il terzo, Elegia, presenta “tre temi che appaiono in sequenza e sono incorniciati da una struttura nebulosa di motivi rudimentali”. Il quarto, infine, Intermezzo interrotto, “può essere reso con le lettere come A B A – interruzione – B A”. E il “tono generale del lavoro rappresenta, al di là dello scherzoso secondo movimento, una graduale transizione dalla severità del primo e dal lugubre canto di morte del terzo all’affermazione vitale nell’ultimo movimento”.

Ed è proprio il particolare secondo movimento, che porta il curioso titolo di Giuoco delle coppie, ad essere estremamente interessante dal punto di vista analitico: una scherzosa parentesi all’interno del Concerto che conduce al suo cuore pulsante – così lo stesso Bartók definisce l’Elegia – attraverso il susseguirsi degli ingressi delle coppie di strumenti che espongono, parallelamente, ad una determinata distanza intervallare, una melodia in continuo divenire.

Per un migliore approccio al Giuoco delle coppie, si suggerisce di accompagnare la lettura dell’analisi seguente con un ascolto, disponibile a questo link.

Il Giuoco delle coppie

In relazione agli altri movimenti del Concerto, il Giuoco delle coppie, è quello dal più spiccato gusto neoclassico, in quanto l’aspetto ritmico e quello armonico vengono trattati in un’ottica più tradizionale: le pulsazioni all’interno delle battute sono molto regolari, il metro 2/4 è costante per tutta la sua durata e le dissonanze più accentuate sono spesso evitate. Questo legame con il passato è però contrapposto alla concezione moderna che caratterizza l’idea generatrice di questo brano, ossia lo studio quasi scientifico sugli intervalli.

Il titolo anticipa il carattere scherzoso e giocoso del brano, costruito su melodie umoristiche e vagamente grottesche affidate alle coppie di strumenti a fiato tra loro uguali che si muovono parallelamente a distanza intervallare fissa.

Essendo un movimento breve e spiritoso, così come l’Intermezzo interrotto, si può individuare un parallelismo tra i due movimenti, accomunati dal carattere e dalla durata. La loro posizione, rispettivamente come secondo e quarto movimento, attorno alla cupa Elegia e tra le maestose forme sonate dei movimenti esterni, contribuisce alla percezione di simmetria provocata dalla forma ad arco in cinque movimenti, tipica di Bartók.

Introduzione

Dal punto di vista formale, il Giuoco delle coppie è costruito in forma tripartita A – B – A’, con introduzione e coda, come una sorta di minuetto-trio-minuetto variato.

L’introduzione è una linea ritmica esposta dal tamburo rullante, strumento che nel corso del brano verrà sempre trattato come unico solista. Il suo intervento è caratterizzato da una parte iniziale che percuote il battere delle battute, una parte centrale in cui la scrittura si infittisce e l’accento è spostato sul secondo movimento e una parte finale nella quale il ritmo si distende nuovamente, anche se la sua regolarità viene leggermente scardinata della sincope. Anche in questo caso Bartók, a livello microscopico, utilizza una forma ad arco.

Introduzione - Bartók
Introduzione: tamburo rullante

Le coppie: i fagotti

La sezione A inizia dal levare di battuta 9 con l’entrata dei fagotti ad un intervallo di sesta. Il trattamento di questi strumenti, nel passato aventi la funzione di basso dell’armonia, si discosta dalla classicità in quanto il registro in cui il primo fagotto espone la melodia è mediamente acuto, forse un ricordo delle battute iniziali del balletto La sagra della primavera di Stravinskij, di cui Bartók aveva probabilmente apprezzato le sonorità.

La melodia esposta è una danza folkloristica che ritmicamente mantiene un andamento calmo e disteso, in quanto le semicrome – la figurazione ritmica più rapida utilizzata – compaiono solo in punti specifici per congiungere il discorso musicale, lasciando così maggiore incisività  alle crome, ora staccate e ora legate che rendono la danza massiccia e quasi contadina.

La melodia dei fagotti è scandita degli archi che, con i pizzicati in una regione grave delle loro rispettive tessiture – dovuta anche all’assenza dei primi violini – mettono in risalto il secondo movimento della battuta, evitando così di conferire troppa importanza al battere ed eludendo il rischio di attribuire alla danza un carattere marziale.

Le coppie: i fagotti - Bartók
Le coppie: i fagotti
Le coppie: i fagotti

Le coppie: gli oboi

La seconda a entrare è la coppia degli oboi, a battuta 25, a intervallo di terza. L’entrata della prima e della seconda coppia sono strettamente legate tra loro in quanto presentano diverse somiglianze. In entrambi i casi, la melodia è esposta da strumenti ad ancia doppia e a una distanza intervallare consonante complementare, in quanto l’una è il rivolto dell’altra. Tra le due melodie è inoltre omessa la sezione di collegamento affidata agli archi (che separerà le entrate delle coppie successive) per far risaltare la continuità che lega le due danze, infatti quella degli oboi è un diretto seguito di quella dei fagotti. La loro stretta relazione è messa in evidenza anche dall’iniziale frammento melodico ascendente suonato dal secondo fagotto e successivamente ripreso dal secondo oboe con le stesse identiche note all’ottava superiore.

La danza degli oboi assume un andamento che scandisce le semicrome, alternate alla figurazione della croma con il punto e semicroma caratteristica di questa melodia. Gli archi proseguono con il loro accompagnamento di pizzicati, interrotto da brevi incisi dal carattere dialogico in concomitanza con il raggiungimento della dinamica forte da parte degli oboi. Le escursioni dinamiche sono molto accentuate e determinate dall’andamento melodico ascendente o discendente della frase. La sensazione di rapida salita è resa anche grazie all’inserimento di un effetto glissato di primi violini e violoncelli simultaneamente a un crescendo degli oboi.

La melodia degli oboi termina con una nota tenuta che ha funzione di pedale per la breve sezione di collegamento che segue, affidata agli archi scuri in pizzicato e durante la quale fanno il loro primo ingresso i violini primi con una nota lunga trillata. Questo breve collegamento, nel quale vengono riprese figurazioni espresse dalla melodia della coppia precedente, porta all’entrata della coppia successiva: quella dei clarinetti in la, a distanza di settima minore.

Le coppie: gli oboi - Bartók
Le coppie: gli oboi
Le coppie: gli oboi

Le coppie: i clarinetti

Con la melodia dei clarinetti (battuta 45) il discorso ritmico diventa più elaborato: vengono introdotte le figure irregolari di terzina e quintina di semicrome. A partire già dall’ingresso degli oboi, si sta verificando un graduale spostamento verso la regione acuta, dovuta anche all’ordine degli ingressi delle coppie.

I clarinetti aprono la loro melodia con delle note ribattute, elemento che viene ripreso dai secondi violini e dalle viole spesso in terzina, figurazione ritmica introdotta proprio dall’entrata di questa coppia. I primi violini, in un registro mediamente acuto, seguono l’andamento dei clarinetti con delle note trillate in parallelo a distanza di settima. La dinamica segnata è mezzo piano (tutti gli altri archi hanno mezzo forte) con sordina, questo per evitare di farli risaltare troppo rispetto ai clarinetti, veri protagonisti dell’episodio. L’elemento del glissato, introdotto in precedenza come breve commento alla melodia degli oboi, viene qui sviluppato dai violini primi divisi, che come nota ultima del glissato raggiungono un armonico naturale.

Le coppie: i clarinetti - Bartók
Le coppie: i clarinetti
Le coppie: i clarinetti

Le coppie: i flauti

Delle battute di collegamento in cui gli archi scuri riprendono l’elemento ribattuto dei clarinetti, a battuta 60 esordisce la coppia dei flauti, a distanza di quinta giusta, evidenziata dal colpo di timpano che percuote la nota suonata dal primo flauto.

La melodia dei flauti è caratterizzata dalla presenza di molte rapide scalette ascendenti e discendenti che vengono seguite rispettivamente da crescendo e diminuendo. La dinamica inziale è mezzo forte, differisce quindi da quella in piano di tutte le entrate delle coppie precedenti.

Con l’entrata dei flauti prosegue lo spostamento verso la regione più acuta e l’incremento ritmico, in quanto il primo flauto raggiunge un do tre ottave sopra il do centrale e per la prima volta compaiono sestine e settimine di semicrome. Anche la densità dell’orchestrazione aumenta, infatti le varie sezioni degli archi presentano dei brevi frammenti melodici che dialogano con la melodia principale dei flauti. La sonorità dinamica raggiunge il picco massimo del fortissimo sull’ultima nota tenuta dei flauti, quella che sovrasta la sezione di collegamento verso l’entrata della coppia successiva.

Le coppie: i flauti - Bartók
Le coppie: i flauti
Le coppie: i flauti

Le coppie: le trombe con sordina

A battuta 83 inizia la sezione di collegamento tra la coppia dei flauti e quella delle trombe. Più lunga rispetto alle precedenti, vede la divisione degli archi scuri, in quanto il frammento melodico iniziale è affidato a violoncelli e contrabbassi, mente il seguito alle viole in pizzicato. Nel frattempo sia i violini primi che i secondi si dividono in tre.

L’ultima entrata (battuta 90) è affidata alla coppia delle trombe con sordina a distanza di seconda. Coerentemente con il processo di maggior intensificazione sonora messo in pratica fino a questo punto, Bartók sceglie di lasciare alla fine lo strumento che ha maggiore potenza dinamica. Per evitare di ottenere un suono troppo brillante, alle trombe viene aggiunta la sordina: ne risulta così una sonorità più simile a quella delle coppie precedenti, tutte appartenenti alla famiglia dei legni.

Risalta un parallelismo con la melodia dei clarinetti, in quanto l’elemento caratteristico della frase delle trombe sono i ribattuti – figurazione tipica dello strumento anche in ambito tradizionale -, accennati e anticipati come frammento iniziale della melodia dei clarinetti. Questa associazione non è affatto casuale, ma è dovuta anche al fatto che la distanza intervallare con cui procedono le trombe è il rivolto dell’intervallo di settima impiegato dai clarinetti.

Durante la frase delle trombe, aumenta la complessità dello sfondo degli archi: i tremoli – diretto sviluppo del trillo – e i glissati diventano più ampi e ricorrenti, la trama orchestrale diventa più fitta di componenti.

Le coppie: le trombe con sordina - Bartók
Le coppie: le trombe con sordina
Le coppie: le trombe con sordina

Il corale degli ottoni

La sezione A termina con un breve frammento ritmico del tamburo che riprende la parte centrale del suo motivo iniziale e funge da collegamento verso la sezione B (battuta 123).

Questa seconda sezione, nella quale i protagonisti sono gli ottoni, viene già anticipata e preparata dall’ingresso della coppia delle trombe nella sezione precedente, in quanto la loro sonorità (anche se con sordina) prelude quella che si verrà a creare successivamente.

La sezione B è caratterizzata dalla scrittura omoritmica di trombe, tromboni, corni e tuba come quella di un corale. Le  trombe in questo caso hanno una funzione diversa rispetto a prima, non sono più utilizzate come strumento protagonista come le coppie dei legni, ma ritornano alla loro natura di ottoni attraverso il suono senza sordina e il fraseggio legato. L’andamento procede per semiminime e contrasta con il continuo divenire della sezione precedente. Le brevi frasi si fermano su note tenute che hanno la funzione delle corone del corale e che lasciano spazio ai frammenti ritmici del tamburo, trattato come uno strumento solista nel momento di una cadenza.

Il corale è diviso in due parti: la prima condotta da due trombe e due tromboni sul basso della tuba, e la seconda dove sulla linea della tuba si intrecciano le due coppie di corni. Anche nella sezione B l’idea delle coppie, fondamento del brano, pur essendo trattata in modo differente non scompare del tutto: è il principio che percorre l’intero brano.

L’ultima corona del corale, più lunga di tutte le altre, e durante la quale il tamburo ripropone la parte finale della linea ritmica che ha esposto all’inizio del brano, fa da sfondo ai brevissimi frammenti dialoganti di oboe, flauto e clarinetto sul pedale dei corni (strumenti “anfibi” che per la loro conformazione hanno caratteristiche comuni sia agli ottoni che ai legni), che anticipano la ripresa di A’ e quindi della nuova esposizione della melodia dei fagotti, con il frammento melodico che quest’ultimi utilizzano come levare della loro frase.

Il corale degli ottoni - Bartók
Il corale degli ottoni

La ripresa

Con la riproposizione della melodia dei fagotti (levare di battuta 165) inizia la sezione A’, una ripresa e variazione della sezione iniziale A.

L’entrata della coppia di fagotti è accompagnata dal contrappunto del terzo fagotto, il quale percorre una linea melodica che ha la funzione di controsoggetto alla melodia in seste della coppia e, procedendo spesso per semicrome incalza maggiormente l’andamento ritmico rispetto al punto  corrispettivo nella sezione A. Gli archi mantengono lo stesso tipo di accompagnamento con i pizzicati e, come all’inizio, i violini primi sono in pausa.

La seconda entrata vede la coppia degli oboi a distanza di terza insieme alla coppia di clarinetti anch’essi a distanza di terza. Questi ultimi adottano tutte le caratteristiche proprie degli oboi e in diversi punti eseguono la loro stessa melodia per moto contrario. La nota di partenza delle due linee vede il primo oboe e primo clarinetto a distanza di terza, così come secondo oboe e secondo clarinetto. Dopo la loro entrata, i violini primi, da battuta 189 con delle note tenute trillate raddoppiano alla stessa ottava e a quella superiore la prima nota delle quartine di semicrome degli oboi, facendo così risaltare una linea melodica discendente.

Dopo delle battute di collegamento, anche questa volta affidate ai pizzicati di violoncelli e contrabbassi, a battuta 198 entra la coppia di clarinetti a distanza di settima assieme alla coppia di flauti che adotta le medesime caratteristiche, cioè l’andamento per intervalli di settima paralleli e l’utilizzo delle figurazioni ritmiche di terzine e quintine di semicrome.

I violini si limitano a scandire i movimenti della battuta con pizzicati ad intervalli paralleli di quarta (il rivolto della quinta caratteristica dei flauti), mentre violoncelli e contrabbassi all’unisono con i pizzicati percuotono i levare in sincope, dato che a dialogare con i clarinetti sono già impiegati i flauti. Nelle battute di collegamento che portano all’entrata della coppia successiva, i fagotti in contrattempo accentuano gli sforzati sulla seconda semicroma del movimento di viole, violoncelli e contrabbassi.

L’entrata dei flauti a distanza di quinta (battuta 212), è accompagnata per qualche battuta dal primo oboe che si colloca a distanza di terza sia dal primo che dal secondo flauto ed esegue la figurazione ritmica che caratterizzava la sua melodia (croma con il punto e semicroma). Per questo ingresso Bartók non rispetta la procedura adottata in precedenza, ovvero far entrare la coppia prevista assieme alla coppia successiva, ma sceglie di inserire tutti i legni per commentare o seguire la melodia dei flauti. Per via di questa densa orchestrazione tra i fiati, agli archi sono affidati interventi non invasivi per non appesantire la danza e permettendo così la scorrevolezza che le rapide scalette dei flauti presuppongono.

È inoltre presente il timpano che, in modo differente dai colpi singoli e isolati delle sue comparse precedenti, viene trattato in maniera classica: percuote le crome per due battute mantenendo la stessa nota e di ferma sul battere di quella successiva.

Nelle successive battute di collegamento, violini primi, secondi e viole vengono nuovamente divisi in tre e dopo una scaletta introduttiva dei violini primi – derivata dalla melodia dei flauti -, entra la coppia di trombe con sordina a distanza di seconda insieme ai due clarinetti all’unisono. I clarinetti sono in una posizione anomala, al di sotto del registro nel quale si muovono le trombe, ed eseguono dei pedali interni raddoppiando i violoncelli ma con intenzioni differenti: le frasi dei clarinetti sono legate, mentre i violoncelli su ogni nota hanno una ripresa d’arco in giù. I violoncelli, pur essendo in una regione acuta per consentire il raddoppio con i clarinetti, in questo punto del brano sono gli strumenti che hanno la funzione di basso a causa dell’assenza dei contrabbassi.

Questa sezione risulta molto brillante grazie ai glissati delle due arpe che conferiscono luminosità e ai tremoli dei violini in una regione acuta, i quali presentano inoltre degli accenti in corrispondenza delle riprese d’arco dei violoncelli. Quando è segnalata la dinamica piano le arpe eseguono alternate i glissati, mentre nel forte  sono presenti glissati tripli simultanei per aumentare la sonorità. Come ad esempio a battuta 241, dove l’incremento sonoro è dovuto anche al raddoppio delle trombe da parte della coppia degli oboi, i quali ancora una volta presentano il loro caratteristico “ritmo degli oboi” (croma con il punto seguita da una semicroma) che viene sovrapposto ai ribattuti tipici delle trombe.

Al termine della sezione dei glissati, le arpe prendono il posto dei clarinetti (hanno bisogno di alcune battute di pausa per mutare in clarinetti in si bemolle), raddoppiando i violoncelli, i quali non hanno più bisogno delle rimesse d’arco in quanto i transitori d’attacco dei loro interventi dal carattere incisivo sono già messi in risalto dai pizzicati delle arpe all’unisono.

La coda

La coda (battuta 252), vede il ritorno dei fagotti nella regione medio-acuta e il susseguirsi delle entrate delle altre coppie (con l’aggiunta di primo e terzo corno con sordina e violini primi in raddoppio ai flauti) che mantengono la loro distanza intervallare specifica su una nota tenuta che poi diventa ribattuta e in seguito nuovamente tenuta. L’accordo che si forma è quello di settima di dominante, nel quale il fa diesis che ha funzione di sensibile viene poco raddoppiato rispetto alle altre note, quasi a voler rispettare la regola dell’armonia tradizionale. Questo improvviso ritorno alla tonalità  attraverso la settima di dominante, senza però un’effettiva risoluzione, è un fattore che destabilizza l’ascoltatore ma conferma l’attitudine più neoclassica che questo secondo movimento presenta all’interno del Concerto.

Da sfondo all’accordo compare nuovamente il tamburo, che, quando i fiati smettono di suonare, rimane da solo e ripropone la parte finale del frammento ritmico che aveva caratterizzato l’introduzione. Il brano si conclude in questo modo, con la percussione del tamburo, nello stesso identico modo in cui era iniziato: Bartók ancora una volta rimane fedele alla forma ad arco che macroscopicamente e microscopicamente caratterizza il Concerto per Orchestra.

La coda - Bartók
La coda

https://it.wikipedia.org/wiki/Concerto_per_orchestra_(Bart%C3%B3k)

https://www.arateacultura.com/

Dei cinque movimenti del Concerto per orchestra di Béla Bartók, il “Giuoco delle coppie” è quello dal più spiccato gusto neoclassico, in merito alla gestione del metro e delle dissonanze: un forte legame con il passato che, però, si contrappone alla concezione moderna che caratterizza l’idea generatrice di questo brano, ossia lo studio quasi scientifico sugli intervalli. Il titolo anticipa il carattere scherzoso e giocoso del brano, costruito su melodie umoristiche e vagamente grottesche affidate alle coppie di strumenti a fiato tra loro uguali (nell’ordine: fagotti, oboi, clarinetti, flauti, trombe con sordina) che si muovono parallelamente a distanza intervallare fissa. La sua collocazione tra il maestoso primo movimento e la cupa Elegia lo fa risaltare come una scherzosa parentesi all’interno del Concerto, placando per breve tempo quell’apparente caos in cui l’intera composizione sembra scivolare, attraverso una scrittura in rigorosissimo cosmos.

Francesca Benesso

Redattrice in Musica e Teatro