Critica di Prosa,  Letteratura,  Premio POP

“La gara di ritorno, Cile 1973” di Gregorio Scorsetti – Premio POP

di Alessandro De Marchi

Con la nascita del giornalismo e dell’opinione pubblica, lo sport ha dato prova di essere cartina tornasole e cassa di risonanza dei principali avvenimenti politici e sociali. Partendo dalla celebre partita di calcio del dicembre 1914, che segnò una tregua tra gli eserciti francese e tedesco e venne giocata nella terra di nessuno tra le trincee, passando per gli attentati delle Olimpiadi di Monaco del 1972, per arrivare infine ai gesti di protesta del quarterback statunitense Colin Kaepernick – che sono stati tra le ispirazioni del movimento Black Lives Matter – o agli scandali legati alle condizioni di lavoro della costruzione degli impianti che hanno ospitato gli ultimi mondiali di calcio in Qatar[1], la storia la società e lo sport sono sempre stati legati da un rapporto di continuo richiamo ed hanno guadagnato significanza gli uni nelle gesta dell’altro, e viceversa.

In tempi più recenti, con la diffusione dei social media, lo sport ha potuto anche amplificare la sua naturale capacità di ispirare e di unire – o di dividere – le persone, dimostrando di essere uno strumento etico fondamentale, vista la sua portata esemplare. Gli atleti di grande fama, le imprese sportive e le prese di posizione degli attori del mondo dello sport riescono a commuovere, a toccare da vicino la gente comune, a trasmettere in maniera più immediata dei messaggi universali, ad abbattere i confini, a dare grande risalto a battaglie morali e civili e a stimolare la condivisione di gioie e ostacoli.

La Gara di ritorno, Cile 1973 di Gregorio Scorsetti è un romanzo-saggio – o, come vedremo più avanti, un saggio narrativo – che, partendo proprio da questo ordine di riflessioni sul rapporto ormai inestricabile tra sport, politica e società, ricostruisce le vicende che hanno portato alla caduta del governo Allende e alla nascita del regime di Pinochet, mostrando il ruolo che il calcio e la nazionale cilena hanno avuto come strumento di propaganda, di programmazione e di manipolazione politica.

Con l’etichetta di romanzo-saggio si indicano tutti quei testi che, senza un canone specifico né un accordo unanime su forme e limiti cronologici, presentano una più o meno ampia alternanza tra sezioni narrative, che contribuiscono allo sviluppo della fiction, e pause riflessive di carattere saggistico o referenziale.

Da un punto di vista strutturale, l’opera di Scorsetti sembra rispecchiare fedelmente questa definizione. Il testo è, infatti, diviso in capitoli piuttosto ampi intitolati a partire dal periodo di qualche giorno o settimana di cui si occupano, come in un diario dei mesi immediatamente precedenti e, poi, successivi al golpe dell’11 settembre 1973.

Ogni capitolo è a sua volta diviso in sezioni di varia lunghezza e di tipologia differente, separate da uno spazio bianco che funge da marcatore testuale di questa differenza tipologica.

Innanzitutto, troviamo sezioni di natura finzionale in cui vengono narrate in prima persona le vicende familiari e sociali di Francisco Valdes, centrocampista del Colo-Colo e capitano della nazionale Cilena.

A queste sezioni maggiormente romanzesche si alternano parti in cui vengono raccontati i disordini sociali, economici e politici del Cile durante il periodo storico trattato. In queste parti, da un punto di vista narratologico, è sempre Valdes a raccontare i sommovimenti in corso nel suo paese; il resoconto però è assolutamente privo di giudizi da parte della voce narrante e rappresenta proprio quei luoghi in cui lo sviluppo della fiction viene messo in pausa e si istituisce un rimando al di fuori della mimesi, sconfinando nel territorio della referenzialità storica. Si tratta infatti di sezioni in cui una voce narrante riporta, in terza persona, in maniera molto minuziosa e come all’interno di un saggio storico, i prodromi e le conseguenze del colpo di stato. Il fatto che la narrazione delle vicende storiche sia privo di alcuna partecipazione emotiva da parte della voce narrante spinge a ritenere che Scorsetti abbia fatto ricorso a quello che Valeria Cavalloro ha definito saggismo indiretto libero, ossia una tecnica che “affida la riflessione a un soggetto parlante su cui confluiscono le figure del narratore, del protagonista e dell’autore stesso”[2] e che comporta “un’erosione dei confini diegetici”[3]. In altre parole, nelle parti che afferiscono a questa seconda tipologia, non è possibile stabilire se l’inserto saggistico sia interno o esterno ai confini della mimesi e dunque se sia “pensiero rappresentato o pensiero esposto”[4], con la creazione di un’ambiguità nel lettore, incapace di attribuire le riflessioni all’autore o alla voce narrante interna alla vicenda.

Infine, vi è un terzo tipo di sezioni in cui ancora Valdes rende conto delle prodezze sportive della sua squadra, impegnata nel campionato cileno e nella Coppa Libertadores, e della Roja, la compagine nazionale. Quest’ultimo tipo di sezioni rappresenta una sorta di termine medio tra le precedenti tipologie poiché riporta degli eventi fattuali e verificabili come i risultati delle partite di calcio, ma questa volta viste chiaramente ed esplicitamente attraverso la lente soggettiva di un loro protagonista.

Il risultato di questa continua alternanza tipologica istituisce un cortocircuito ermeneutico per cui le sezioni romanzesche – in cui ci vengono raccontati l’angoscia privata e personale di Valdes e della sua famiglia, i rapporti del calciatore con i compagni, le pressioni subite da parte della federazione cilena e i tentativi di dissenso – sono il contraltare emozionale ed esperienziale dell’evento storico, riportato freddamente e analiticamente dal soggetto parlante in terza persona.

A differenza di quanto accade solitamente nei romanzi-saggi, in cui l’autore crea dei personaggi completamente finzionali, istituendo un regime di tensione che fonde in un unico livello di rappresentazione la storia inventata con la riflessione sul reale, Scorsetti utilizza però come termine medio tra il lettore e gli eventi storici un personaggio realmente vissuto, di cui ci restituisce la sfera più intima, presentandoci una scrittura che rivendica uno statuto comunque referenziale, ma si espone sul terreno del referto dell’interiorità, in cui non è facile dimostrare la propria attendibilità.

Per questo motivo, più che di romanzo-saggio, per parlare de La gara di ritorno, Cile 1973, si potrebbe usare il termine saggio narrativo[5], ossia una narrazione che, senza rinunciare alla precisione e all’interesse di un’esposizione asettica e precisa dei fatti storici – che sono la parte preponderante, ma con cui è difficile empatizzare – alterni ad essa il resoconto della vicenda biografica di uno dei suoi protagonisti, gestita in prima persona. In questo modo, il giustapporre gli estremi della mimesi e dell’analisi storiografica permette al lettore di raggiungere un grado di conoscenza maggiore poiché riesce a dare a ciascun fatto reale un suo corrispettivo emozionale all’interno della vita quotidiana di chi quei fatti reali li ha vissuti sulla sua pelle.

Il saggio, in altre parole, prende in prestito le tecniche del romanzo come il dialogo, la messa in scena dei personaggi realmente esistiti e il referto della loro interiorità per permettere al lettore un investimento conoscitivo serio e completo, sacrificando naturalmente qualcosa sul piano dell’attendibilità – come si diceva, è sempre molto difficile dimostrare la veridicità di un pensiero o di un dialogo riportato sulla pagina – ma permettendo di guadagnare su quello dell’immedesimazione, della partecipazione e della comprensione dell’evento storico in molte delle sue componenti.

L’aspetto interessante dell’esperienza estetica offerta da La gara di ritorno non consiste dunque, come accade in un romanzo storico, nell’incontro tra personaggi storici e di finzione, con lo sfondo delle vicende del passato – “personaggi già celebri nella storia sono argomento di narrazione, e questa va mischiando i privati avvenimenti ai pubblici casi”[6], secondo la celebre espressione di Paride Zajotti – o, come accade nei romanzi-saggi, nel leggere le riflessioni filosofico-saggistiche che si inseriscono e interrompono la narrazione finzionale, ma nell’espansione e nell’approfondimento del senso degli eventi, mostrati attraverso il racconto delle conseguenze che essi hanno nella vita di uno dei loro protagonisti.

A differenza di quanto accade normalmente nei saggi narrativi, però, in cui la riflessione saggistica è svolta in prima persona dalla voce narrante, Scorsetti, ricorre – come abbiamo visto – al saggismo indiretto libero e alla mediazione del personaggio di Francisco Valdes ed è in questa scelta che risiede la questione etica che il testo pare sollevare.

“Tu sei convinto di essere nel giuso. Che la gente ti verrà sempre dietro, ma appena si stancheranno di te non ti vorranno più vedere, Valdes. Devi solo metterli alla prova. Toglili il campionato, toglili tutto, o fagli solo perdere l’occasione del Mondiale. Provaci. E ti si rivolteranno tutti contro. Sarai solo il perfettino. Il moralista. E la prossima volta che tenterai di opporti ti diranno basta”.

Valdes, infatti, non è un uomo comune, parte di quella zona grigia di indifferenza e rassegnazione che permette ai regimi dittatoriali di instaurarsi e di prosperare, né uno spettatore esterno che riflette a posteriori sulla vicenda, ma è uno sportivo di grande fama, le cui parole e i cui gesti possono avere un peso e delle conseguenze significative sulla storia del suo paese.

Valdes, però, come gli viene rimproverato più volte nel corso del testo, è un uomo che manca di decisione: fa visita più volte a Moreno e Lepe, leggende del calcio cileno detenute nello stadio Nacional di Santiago – trasformato in un centro di detenzione per gli oppositori politici – si accorda con una giornalista del Corriere per far circolare in Italia la notizia di questi arresti e cerca di boicottare la gara di ritorno con l’Unione Sovietica, valevole per la qualificazione ai Mondiali del 1974 e da giocarsi nello stesso stadio Nacional, ripulito per l’occasione. Allo stesso tempo, però, quando l’Unione Sovietica decide di non presentarsi, temendo per l’incolumità dei suoi giocatori e prendendo una posizione morale contro il Cile e la FIFA, la federazione cilena organizza, al posto della gara di ritorno, una partita fantasma in cui la Roja scende in campo senza avversari e Valdes, cedendo alle pressioni della federazione e dello stesso Pinochet, che promette di liberare Moreno e Lepe, partecipa a questa partita fantasma e segna il goal a porta vuota che sancisce la qualificazione del suo paese ai campionati del Mondo.

La figura di Valdes diventa dunque centrale proprio perché permette una riflessione sulle responsabilità etiche che hanno gli sportivi, con la loro fama e il loro seguito, nel trasmettere determinati messaggi e nel prendere determinate posizioni.

Quella sollevata da Scorsetti è una riflessione quanto mai attuale – basti pensare alla lite social tra Ibrahimovic e LeBron James del 2021[7]– ma non bisogna pensare che lo stesso Scorsetti voglia mandare un messaggio specifico o individui in Valdes una colpa o un demerito.

Se il testo, infatti, solleva le questioni morali sopra esposte, allo stesso tempo non vuole trovare loro una risposta poiché il suo intento non è quello di individuare responsabilità o di criticare la scelta di chi non prende posizioni ma, con un sottofondo di grande pessimismo, quello di mostrare alcuni dei momenti più dolorosi della storia cilena e, contemporaneamente, raccontare le pressioni, le paure e le minacce subite da un uomo colpevole di “portare gioia” alla sua gente attraverso il calcio.

“voi siete degli eroi” sbuffò Pinochet. “Volete diventare tutti come Pelè. Ma Pelè è uno che in Brasile è sempre stato zitto. Che è sempre stato al proprio posto a prendere i suoi soldi, Valdes. Quando il Brasile l’ha chiamato Pelè ha risposto presente. E adesso che il Cile è a un passo dalla gloria, lei che fa? Si tira indietro?” […] “crede che per lei rinuncerebbero ad un Mondiale?” alzò la voce Pinochet arrestandosi di colpo, trafitto da una freccia immaginaria. “io sono allibito” disse. “Qui c’è gente che vuole costruire qualcosa e lei ne fa una questione di principio”.


Note:

[1] Quelli citati sono solo alcuni tra i numerosissimi esempi possibili, scelti in maniera assolutamente arbitraria da chi ha scritto questa recensione.

[2] Cavalloro, Valeria cit. in Castellana, Riccardo. Fiction e non fiction: storia, teorie e forme. 1a edizione. Studi superiori 1249. Roma: Carocci editore, 2021. P. 109.

[3] Ibidem.

[4] Ivi, p. 110

[5] Il saggio narrativo, nella definizione di Lorenzo Marchese, è un testo che ha l’intento di “rendere meno astratto un discorso puramente riflessivo (intervallato da sporadici aneddoti), cercando di trasformare la riflessione filosofica [o storica] in un discorso coinvolgente fondato su dinamiche di storytelling. Il racconto dei fatti fornisce al saggio una traccia da seguire, gli conferisce un’ipotesi di unità che non ne preclude la natura di testo dalla trama frammentaria e dalla struttura aperta”. Cit in Marchese, Lorenzo. (2018) è ancora possibile il romanzo-saggio?, in “Ticontre”, 9, p. 154.

[6] Zajotti, Paride. (1827), Del romanzo in generale ed anche dei Promessi Sposi, romanzo di Alessandro Manzoni, I, in “Biblioteca Italiana”, XLVII, luglio-agosto-settembre, pp. 322-2

[7] Con il primo che scrisse “io gioco a calcio perché sono il migliore nel giocare a calcio. Non faccio politica. Se fossi stato un politico avrei fatto politica. Questo è il primo grande errore che le persone fanno quando diventano famose e raggiungono uno status. Stanne fuori, fai quello che ti viene meglio” e il secondo che ha risposto dicendo: “so quanto è potente la mia voce e la piattaforma da cui parlo e la userò sempre per occuparmi di certe cose, nella mia comunità, nel mio paese e in tutto il mondo”


Bibliografia:

Castellana, Riccardo. Fiction e non fiction: storia, teorie e forme. 1a edizione. Studi superiori 1249. Roma: Carocci editore, 2021. P. 109.

Marchese, Lorenzo. è ancora possibile il romanzo-saggio?, in “Ticontre”, 9, 2018. p. 154.

Zajotti, Paride. (1827), Del romanzo in generale ed anche dei Promessi Sposi, romanzo di Alessandro Manzoni, I, in “Biblioteca Italiana”, XLVII, luglio-agosto-settembre, pp. 322-2


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