“Patologie” – La filosofia “esperienziale” di Antonella Moscati
Antonella Moscati è tra gli autori finalisti della 41^ edizione del Premio Letterario Nazionale di Narrativa Bergamo, con il romanzo Patologie (Quodlibet, 2024). L’autrice napoletana, già conosciuta come traduttrice e scrittrice di saggi filosofici, ha recentemente intrapreso un percorso letterario che sembra riflettersi perfettamente nel suo ultimo libro.
Patologie si divide infatti in due parti. La prima, Patologie per l’appunto, scava nella sua infanzia per raccontare dello stretto, timoroso legame tra la sua famiglia e la medicina, delle ansie di una bambina cresciuta tra mille ipocondrie. La sigla Agt, titolo del secondo racconto, sta per Amnesia globale transitoria, un’improvvisa e temporanea perdita di memoria che colpisce l’autrice e la porta a una profonda riflessione sui ricordi e sull’identità: frugare ogni ora di quel giorno quasi perduto innesca un discorso filosofico che va ben oltre il semplice episodio autobiografico.
Da noi, cioè nella nostra famiglia, qualunque malattia era mortale.
Patologie, p.9
Patologie inizia con frenesia. Da subito ci si ritrova sommersi da descrizioni di farmaci e piani di profilassi, con la sensazione di essersi persi nel bugiardino di un antibiotico. Risulta impossibile non ricevere appieno l’impatto dei ricordi dell’autrice, non avvertire nel suo ritmo serrato, caotico e quasi ossessivo, le angosce quotidiane di una famiglia in bilico tra la medicina tradizionale e quella più recente e innovativa, tra tintura di iodio e borotalco utilizzati come passe-partout e antibiotici e vaccini che spopolano come elettrodomestici di ultima generazione. Una rivoluzione che la famiglia di Moscati affronta con un ventaglio di ipocondrie quasi rituali, che pongono al centro della vita familiare la (possibile) malattia.
La ripetizione si fa invadente nelle pagine di Patologie, interrompendo periodi e narrazioni con la stessa incisività con cui paure e paranoie possono fare strage delle nostre giornate. Ciò non fa tuttavia che accentuare una certa comicità, particolarmente evidente nella descrizione di persone che paiono più personaggi: il padre “medico non medico”, la cui bizzarra specializzazione lo squalifica agli occhi delle figlie come vero dottore; lo zio, medico e pure Santo, che dalla tomba opera miracoli a base di penicillina; le quattro sorelle, ciascuna con una propria specifica tendenza in fatto di malattie; la madre, bella e in salute, che difende la famiglia armata di preghiere. In questo guazzabuglio di malanni e terrori, il rimedio è dato da una prassi di prevenzioni e cure nemmeno troppo scientifiche. Così anche lo scrivere in un continuo ribadire e puntualizzare prende il sapore di incantesimi, di un formulario di medicina casalinga.
Perché io mi assento, io scompaio.
Patologie, p.67
Lo stile della scrittura cambia marcatamente in Agt, prende spazio un tono più calmo e riflessivo, quasi a sottolineare il turbamento della donna. L’autrice recupera il suo lato più pacato e accademico, confrontandosi non solo con la perdita di alcune ore di ricordi, ma di alcune ore di sé. Un confronto che coinvolge Kant, Nancy, Leibniz, Aristotele, rendendo la lettura più tortuosa, specialmente per i profani della filosofia. La concisione dei capitoli viene però in aiuto al lettore, mentre l’autrice tenta di tracciare i contorni di quella giornata perduta, sostituita ormai da una memoria artificiale e sbiadita. Ironicamente, dopo essere cresciuta mettendo meticolosamente in dubbio ogni parte del proprio corpo per scovarne eventuali anomalie, Moscati si trova a interrogarsi su una nuova vulnerabilità, ben più sfuggente e indefinita: il suo “io”, la sua “rappresentazione di sé”.
[…] questi due testi mi sono apparsi come le due facce di una stessa medaglia, due modi opposti per interrogarsi sulla stessa cosa: come nasce il ricordo, chi è che ricorda, quando, come e se possiamo dire che un ricordo è vero.
Patologie, p.94
Le due metà del libro non fanno che completare il quadro della riflessione proposta e dell’autrice stessa, che infonde in Patologie tanto il suo passato di scrittura saggistica, tanto la recente svolta verso una scrittura più personale. Una traiettoria segnata, come racconta Moscati all’intervista per il Premio Narrativa Bergamo, dal sopraggiungere nella sua vita di una serie di deliri psicotici, che la scrittrice ha definito “pieni di filosofia”. Se quindi da un lato questi episodi le hanno reso ancora più chiaro quanto radicato sia il suo legame con la materia, dall’altro l’hanno portata a raccontarla con una voce nuova: “un modo per trattare di problemi filosofici che mi stanno molto a cuore e in una maniera, non potrò dire letteraria, semplicemente esperienziale, un modo che parte dalla mia vita”1.
Quella di Moscati non è una scrittura sempre semplice e trasparente, ma porta con sé un bagaglio che la rende condivisibile, e per questo maggiormente comprensibile: paure, fatiche, malattie, farmaci, banalità casalinghe, padri e madri e famiglie costellate di eccentricità, episodi indelebili ed altri persi per sempre nei meandri di memorie imperfette, tutto diventa parte di una riflessione comune con l’autrice. Un suo ricordo ci riporta ad uno nostro, i dubbi esistenziali ci attanagliano assieme. Così anche un testo breve e impegnativo al tempo stesso come Patologie può diventare un tutt’uno con le nostre esperienze e le nostre domande. Questo ritorno circolare, dal vissuto della scrittrice alla filosofia, costituisce un approccio originale ed intimo, che permette ad un pubblico più ampio di avvicinarsi timidamente anche a discussioni apparentemente estranee, scoprendole proprie.
- Antonella Moscati, Intervista Premio Narrativa Bergamo, 27 marzo 2025 ↩︎
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