Critica di Prosa,  Letteratura

“Roma senza papa” di Guido Morselli: indagine su un’opera dimenticata

di Chiara Girotto

Cupola Basilica di San Pietro
Cupola ornamentale con mosaici e affreschi nella Basilica di San Pietro (foto di Julia Volk)

Tra i grandi dimenticati della letteratura italiana dello scorso secolo, figura senza ombra di dubbio Guido Morselli (1912-1973), il cui primo romanzo pubblicato, Roma senza papa, esordisce postumo nel 1974 per Adelphi. L’opera, risalente al 1966, contiene in nuce molti delle tematiche cardine della poetica morselliana: la riflessione metafisica ed esistenziale, il rapporto tra tradizione e progresso, la tendenza a modellare con l’inchiostro la Storia, reindirizzandone il corso tramite la scrittura. Una rosa di argomenti tanto vasta quanto ambiziosa, che consegna alla letteratura nientemeno che il gravoso compito di indagare sull’esistente.

Di fronte a un nome – quello di Morselli – che risulta pressoché sconosciuto non solo ai lettori occasionali, ma anche a quelli più avvezzi alla materia, è lecito chiedersi se sia davvero il caso di dedicare del tempo ai pensieri di quest’uomo solitario nato centodieci anni fa e ai suoi scritti. Senza alcuna pretesa di esaustività, partendo da Roma senza papa, cercheremo di dimostrare che non solo ne vale la pena, ma che sarebbe un peccato non leggerlo.

Una Roma laica

La trama del romanzo è presto detta perché funge da mera impalcatura narrativa per le meditazioni del protagonista: Roma senza papa è un romanzo fantapolitico in cui Morselli immagina che il pontefice abbia abbandonato la città per trasferirsi a Zagarolo, anonimo borgo della campagna laziale. Per le strade dell’Urbe si aggira Don Walter, un prete svizzero giunto nella capitale per essere ricevuto a udienza dal papa stesso, Giovanni XXIV. Nell’attesa dell’agognato colloquio, Walter si intrattiene con altri personaggi, esponenti del clero o semplici cittadini romani, tutti connessi alla Curia più o meno direttamente. Per riprendere un’espressione manzoniana, «il sugo della storia» è contenuto in questi incontri e nel flusso di riflessioni che ne conseguono; l’atmosfera pendente di tensione, che fa auspicare in una folgorante epifania finale nel momento dell’udienza, resta immutata e sospesa fino all’ultima pagina. Concretamente non accade nulla di eclatante in questo romanzo, che invece è contraddistinto da un densissimo portato concettuale. Di che cosa tratta, dunque, Roma senza papa?

Il punto focale attorno al quale ruotano dibattiti e meditazioni è la laicizzazione della Chiesa romana, legata a doppio filo – almeno a parere di Walter, con il declino culturale e politico della Città Eterna, che nel romanzo di Morselli appare meno eterna e più decadente che mai. Nel futuro immaginato dall’autore, che scrive ai tempi del Concilio Vaticano II1 il Cattolicesimo si è aperto alla modernità, abbracciandone non solo le tendenze più superficiali, ma anche i presupposti ideologici, che progressivamente corrodono i dogmi secolari alla base del culto e dell’egemonia papale. Il celibato ecclesiastico è stato abolito, la Curia approva i matrimoni omosessuali, l’aborto, l’utilizzo di sostanze stupefacenti. A livello teologico, il culto mariano è mal tollerato, mentre l’esistenza del Male è messa in discussione, così come l’autorità assoluta del papa. Numerosi esponenti del clero, inoltre, tentano di conciliare la pratica psicoanalitica – una delle maggiori conquiste intellettuali del Novecento – con il contenuto dei testi sacri, utilizzando il pensiero freudiano per risolvere alcuni nodi ermeneutici di fede, come per esempio la questione agostiniana dell’unde malum.

A una Chiesa sempre più sincretistica e laica, le cui dispute teologiche somigliano ai dibattiti salottieri tra intellettuali di sinistra di film come La terrazza (1980) di Scola, corrisponde una città, Roma, ridotta a un parco divertimenti per turisti poco curiosi e sfaccendati, alla ricerca di sollazzi facili: nulla di più lontano dalla gloria rinascimentale a cui si è solito associarla. In quest’uggia crepuscolare si staglia Walter, figura malinconica e dubbiosa, quasi reazionaria, che assiste con evidente perplessità ai cambiamenti del mondo che lo circonda. Il protagonista di Roma senza papa è l’emblema del cosiddetto personaggio-osservatore, che, lungi dall’opporsi concretamente al prossimo, si limita a rimuginare sulle questioni, spesso in un simile flusso di coscienza, con malcelata preoccupazione.

La Chiesa e il contemporaneo

Nel romanzo morselliano, le diramazioni del dibattito su quali debbano essere le sorti della Chiesa si manifestano come sintomi distinti delle stesse problematiche, percepite come tali da solo protagonista. Dietro a quello che i suoi confratelli non esitano a definire progresso sembrano nascondersi in agguato le principali malattie del mondo contemporaneo: la velocità frenetica dei mutamenti, l’omologazione imposta in modo subliminale e subdolo, la necessità impellente di ottenere consensi. Il rinnovamento della cristianità, già auspicato all’altezza degli Anni Sessanta, quando Morselli scriveva, nell’opera viene presentato, se non come una deriva, come una folle parodia delle istituzioni laiche, una farsa consapevole in cui evapora totalmente il vero fulcro di qualsiasi culto religioso, ossia il senso del sacro.

I dubbi di Don Walter, fervido sostenitore dell’ormai anacronistica iperdulia (il culto della figura di Maria nella dottrina cattolica), non vengono mai esplicitati, perché il prete comprende ben presto l’antifona: all’interno della Roma senza papa non sono ammesse reali rimostranze, solo cieche adesioni. Poco importa se non esiste un vero e proprio contraltare critico, che rallenti la rivoluzione per sondarne l’essenza, anzi, meglio se nessuno si interroga, non c’è tempo e la parola d’ordine è stare al passo con una realtà basata su un unico vero dogma: l’importante è ottenere l’approvazione. Delle masse, della politica, del mondo intellettuale: nell’era successiva ai totalitarismi, il consenso è potere, e va ottenuto anche al prezzo di dover rottamare la tradizione.

Gli interrogativi che affiorano dal testo in merito sembrano riguardare non tanto l’operazione in sé, quanto il fine della stessa: nelle tesi degli interlocutori di Walter mancano dei presupposti etico valoriali solidi che giustifichino il cambiamento. Di conseguenza, la Chiesa sembra ridotta a un’agenzia che si innova per autopromuoversi, cavalcando l’onda pretestuosa della volontà di modernizzarsi, perdendosi tra frenesie ideologiche e intellettualismo spicciolo.

L’uso di sostanze psicotrope: un esempio profetico

Tra i molteplici esempi di questo fenomeno presenti del romanzo, valga per tutti quello delle sostanze stupefacenti. In Roma senza papa l’ordine dei Gesuiti si dedica alla produzione di una droga sintetica chiamata GR6: i membri dell’ordine sono invitati a consumarla, così come i fedeli, ma un gesuita allievo di Walter si rifiuta. La reticenza crea problemi al ragazzo, visto che l’utilizzo della droga allucinogena sembra essere correlato a un consistente revival della fede cristiana: ai Gesuiti del romanzo non interessa che questo improvviso picco di devozione sia legato a un’alterazione neuronale, l’importante è che ci sia. Il fatto che poi questa sostanza possa eventualmente creare dipendenza non viene neanche menzionato, a riprova del fatto che il sostrato morale dietro questa scelta economica e ideologica è inesistente.

Morselli scrive quando l’uso di sostanze psicotrope è ancora agli albori, prevedendone la diffusione con decenni di anticipo ed evidenziando il legame con la dimensione mistica. Sotto questo aspetto, il discorso dell’autore si muove in parallelo con quello di un altro scrittore di fantascienza ben più celebre, Philip Dick, che nei suoi romanzi evidenzierà il nesso tra il consumo di droga e il capitalismo, definendo l’uso di sostanze come la forma perfetta di consumismo. Creando dipendenza, la droga fidelizza il consumatore suo malgrado, rendendolo il prototipo di acquirente perfetto: in Roma senza papa si allude a questo cortocircuito economicamente vantaggioso connettendolo agli affari della curia, che beneficia dell’assuefazione.

Questo, come altri elementi dell’opera, fa di Morselli un visionario precursore di questioni che da lì a pochi anni sarebbero diventate cruciali per comprendere e affrontare la complessità del nostro tempo. Infatti, lo scrittore bolognese di nascita e lombardo di adozione fu uno dei pochi ad anticipare, se pur in fase embrionale, i temi propri del pensiero e della letteratura postmoderna come l’opinionismo spicciolo, la pervasività della retorica comunicativa dei media, la ricerca spasmodica di visibilità unita a un appiattimento materialistico di qualsiasi ricerca esistenziale. Il papato di cui Walter fa esperienza nel romanzo è disperatamente mondano, persino nell’ambito ritualistico: l’udienza di Giovanni XXIV svolta su un prato della campagna laziale somiglia più a una seduta di yoga che a un ricevimento pontificio. Per queste ragioni, leggendo Morselli si è portati a ricordare opere postmoderne come Rumore Bianco di Don de Lillo, opera da cui Noah Baumbach ha appena tratto un film2.

Morselli: il Gattopardo dimenticato

Considerando tali analogie, sorge spontaneo domandarsi per quale ragione Morselli, nuova Cassandra, sia stato estromesso dal canone. Difficile identificare con precisione che tipo di maledizione apollinea si sia scagliata su di lui, rendendolo uno dei tanti nemo profeta in patria della letteratura mondiale. A tal proposito, un’ultima analogia potrebbe risultare utile. Quando venne pubblicato Roma senza papa, sul Corriere della Sera il giornalista Giulio Nascimbeni definì Morselli «un Gattopardo del Nord», paragonandolo al ben più celebre Giuseppe Tomasi di Lampedusa, anche lui morto prima di vedere la propria opera pubblicata. Indubbiamente lo sguardo nostalgico e scettico di Walter – sguardo dietro il quale si cela, neanche troppo camuffato, Morselli – somiglia a quello del Principe di Salina, che si astiene dal partecipare alla costruzione del nuovo mondo preferendo ritirarsi passivamente nelle certezze di quello vecchio.

Oltrepassando le affinità epidermiche però, la visione di Walter appare meno cinica e rassegnata di quella del Principe, e forse più attonita: il protagonista morselliano non è di certo una vecchia volpe che sa fin troppo bene come andranno le cose, ma un uomo che assiste alle trasformazioni della modernità cullando dentro di sé una specie di senso – profetico, per l’appunto – dell’ineluttabile, che convive con l’esitazione di chi a volte dubita anche delle proprie posizioni. Roma senza papa, inoltre, sembra trascendere il suo contesto storico-geografico più di quanto faccia Il gattopardo; le riflessioni di Walter assumono spesso una portata cosmico-universale, avulsa da qualsiasi calcolo o strategia politica. Non è un caso, infatti, che dietro ai suoi vagheggiamenti sia ravvisabile un fondo ideologico di base, leitmotiv dell’opera: delle tante innovazioni proposte dalla Chiesa nel romanzo, nessuna ha davvero a che fare con la dimensione spirituale. A differenza del Principe di Salina, Don Walter non si trova del tutto a suo agio nella realtà carnale e secolarizzata in cui è calato, e perciò cerca Dio per le strade di Roma, fino a Zagarolo, dove trova solo un cumulo di interrogativi irrisolti.

Ecco forse una delle ragioni per cui Morselli non è stato incluso nel dibattito a lui coevo: la sua voce era irrimediabilmente fuori dal coro, più di quanto lo fosse quella di Tomasi di Lampedusa, rifiutato da Vittorini per poi essere pubblicato postumo con Feltrinelli grazie al genio di Giorgio Bassani. Le opinioni di Morselli erano considerate conservatrici dall’intellighenzia dell’epoca, quando spesso erano soltanto critiche nei confronti della frenesia entusiastica con cui la contemporaneità abbatteva l’antico per sostituirlo con il progresso, anche se pochi si erano soffermati sulle conseguenze, anche negative, di tale pratica. Probabilmente si è stati fin troppo rapidi nell’accusarlo implicitamente di ritrosia nei confronti della modernità, mentre dietro questo diniego c’era e c’è ancora moltissimo da scavare e approfondire, senza necessariamente aderire in toto con le sue posizioni. Un po’ come il suo Walter, Guido Morselli è caduto vittima di un mondo che non ha tempo per apprezzare le sfumature, e che al contrario deve dichiararsi pro o contro, perdendo la ricchezza di quello che, parlando di Morselli, Daniele Visentini ha definito «il difetto della complessità».


Link utili:

1 https://it.wikipedia.org/wiki/Concilio_Vaticano_II

2 https://www.ilsole24ore.com/art/film-uscita-cosa-vedere-cinema-fine-settimana-AEZZOtSC.

https://www.adelphi.it/libro/9788845902123

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Chiara Girotto

Redattrice in Letteratura Reels Manager