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“Storia Aperta” di Davide Orecchio – Premio Bergamo 2022

Di Niccolò Gualandris

Quella di Davide Orecchio (Roma, 1969) è sicuramente una delle penne più acute e interessanti degli ultimi anni. Approda a quest’ultimo lavoro dopo una carriera decennale, nella quale si annoverano le raccolte di racconti “Città distrutte. Sei biografie infedeli” (Gaffi, 2011; Il Saggiatore, 2018) e “Mio padre la rivoluzione” (minimum fax, 2017) e i romanzi “Stati di grazia” (Il Saggiatore, 2014), “Il regno dei fossili” (Il Saggiatore, 2019).

Storico di formazione, Orecchio gioca spesso con la materia plastica delle vicende umane, deformandola e interpolando il testo della Storia con finzione, ucronia, elementi distopici oppure attraverso l’interferenza di più fonti scritte.

“Storia aperta” nasce da circostanze autobiografiche: nel 2001 il padre Alfredo, giornalista e scrittore a sua volta, muore. Il padre ha attraversato il secolo. Nasce nel 1915 a Messina. è un giovane fascista, inizia a scrivere su periodici di regime, stronca Quasimodo e Montale, parte volontario per l’Africa, poi è in Grecia e in Albania. Dopo l’armistizio fa parte del folto gruppo di soldati italiani che disertano a favore dei gruppi partigiani; entra nella resistenza, aderisce al partito comunista e alla nutrita schiera dei convertiti ex-fascisti: Montale è il suo poeta preferito. Poi nella Repubblica è convinto membro del partito, figlio adottivo di Togliatti e poi di Berlinguer; scrive su “Paese Sera”, scrive al partito. Padre “in declino” mentre il figlio cresce e matura, negli ultimi anni Alfredo è orfano del comunismo, spaesato dalla seconda repubblica.

Parallelamente Alfredo Orecchio è stato uno scrittore prolifico. all’attività di giornalista si affianca una produzione ipertrofica e quasi totalmente inedita, poesia, memorialistica, autobiografie e abbozzi di romanzi che vengono riconsegnati nelle mani del figlio. L’esigenza di conoscere e indagare sulla vita del genitore si traduce poi nel bisogno di scriverne. Nasce il personaggio di Pietro Migliorisi, ispirato ad Alfredo, che Davide Orecchio presenta nel 2011 ai lettori di “Città distrutte”:

Quando racconterò Pietro Migliorisi? Me lo domando da molto mentre accumulo materiali, fonti edite e inedite, primarie e secondarie […] Il passato è solo carta?[…] Accidenti, quest’uomo che è diventato per me il più sconosciuto e insieme il più vicino, vorrei ritrarlo come si deve lasciando che con lui parlassero cuore e cervello, fatti e testimoni, lirica e prosa […] Prima o poi scriverò la storia di Pietro Migliorisi. Oggi però […] aggiro l’ostacolo. Lo sminuzzo. Mi allontano e quello diventa piccolo, ne racconterò frammenti. (Presto sarò all’altezza dell’Intero. Domani. Non ora. Aspettatemi.)

“Città distrutte. Sei biografie infedeli, Il Saggiatore,2018, pp. 121,122
Città Distrutte

Dopo vent’anni dalla sua scomparsa e dieci da queste pagine, l’autore è pronto a parlarci di Migliorisi: figlio del secolo, orfano di due padri, nero e rosso.

La prima parte del romanzo, “Il bambino del regno”, racconta l’infanzia a Messina, le prime esperienze di militanza e l’esordio nei periodici del fascismo. Migliorisi si innamora di Michela (personaggio già in “Città Distrutte”) ma si arruola volontario e parte per l’Etiopia. Come per molti della sua generazione questa guerra impari, i taciuti crimini perpetrati dall’esercito italiano e le violenze sui civili sono elementi che portano il giovane Pietro a sviluppare una coscienza critica, verso posizioni di “fascismo di sinistra”, riformiste, se non primi germi di un a-fascismo; primo rifiuto della politica totalizzante del regime.

Quando torna a Messina Pietro è cambiato: è sicuro di non voler più la guerra ma vuole, desidera essere fascista, non conosce altro. Si sposa con Michela e nasce il figlio Vasco. Con l’entrata in guerra dell’Italia deve partire per il fronte greco-albanese ma quando ritorna è cambiato per sempre. Si stabilisce a Roma, progetta un ingenuo attentato contro Galeazzo Ciano e viene arrestato, rinchiuso a Regina Coeli per il suo nuovo antifascismo. L’8 settembre 1943 è il suo passaggio, l’inizio della sua resistenza e del suo comunismo. Resiste e combatte nella Roma occupata dalla parte dei vincitori. Passa da un partito all’altro, da un padre morente a un altro, che promette un radioso avvenire. Le lettere con Michela, abbandonata con il figlio a Messina e sempre più distante dalla vita del marito, inframezzano i diari dei 9 anni di guerra di Pietro Migliorisi.

Ma la storia di Pietro non è solo sua, è quella di una moltitudine: un esercito di “bambini diacronici”, figli del secolo che “sanno smurare la storia, sanno ricominciare da capo in un restauro infinito” e la sua voce è una voce collettiva. Nel testo abbondano i virgolettati, un ampio repertorio di citazioni, diari, lettere, confessioni di altri, opportunamente indicate nella corposa appendice di fonti. Davide Orecchio, con la deontologia dello storico, ci riconsegna un personaggio che incorpora in sé il vissuto della generazione cresciuta all’ombra del fascismo. Le parole di Alfredo, edite o inedite, sono sempre racchiuse da virgolette caporali.

A questa voce collettiva che parla attraverso un indiretto libero ricco di anafore e ripetizioni, tra stile formulare epico e parlato ossessivo, si aggiunge anche l’interrogatorio a fonti immaginarie: L’epistolario universale (anche questo mutuato dal racconto su Migliorisi in “Città Distrutte”), raccolta della corrispondenza privata mondiale, interviene direttamente come personaggio insieme a “L’enciclopedia del fascismo”, “i sillabari rossi” e numerose altre.

Questa prosopopea è uno dei tanti esempi di personificazione che, attraverso la finzione narrativa, restituiscono la dialettica tra il narratore e le sue fonti, immaginando che esse possano veramente rispondere alla sua ricerca di verità. Nella narrazione della guerra e della resistenza entrano in gioco numerose metafore che trasfigurano lo scontro e i suoi attori. Così Mussolini incarcerato sul Gran Sasso è una “mongolfiera” che “dissipava il suo elio sull’Appennino”, la popolazione civile è formata da “testuggini e rane”, gli intellettuali sono “camaleonti dagli occhi globosi”, un capo partigiano è un “delfino zoppo”; ci sono cadaveri di “polpi coi capi mosci” per le strade e “gechi e varani della borghesia, del popolo, degli studenti” prendono parte alla liberazione di Roma contro il “lupo nazista”. La vividezza di queste immagini, che accompagnano le ultime pagine del conflitto, conduce verso la seconda parte dell’opera, “Compagno Pietro”. Attraverso le due brevi biografie controfattuali di Pietro il Nero e Pietro il Rosso, che traghettano il lettore verso la seconda metà del secolo, siamo testimoni di due vite possibili di Migliorisi, la cui esistenza continua nel dopoguerra tentando l’impossibile sintesi di un Io in diffrazione.

Davide Orecchio

In “Compagno Pietro” la voce del narratore non dà più spazio alla narrazione dei “bambini diacronici” ma si rivolge direttamente a Pietro tramite l’allocuzione diretta e un insolito ricorso alla seconda persona singolare. Migliorisi vive la sua nuova esistenza comunista come se avesse “cambiato il passeggero alla macchina”, dice di aver “rivoluzionato le idee e i sentimenti,  ma anche che il suo strumento “rimane il partito, il partito, il partito, e dev’essere un partito totale, un partito morale”. Dovrà scontare una “lunga quarantena” data dal “bollo indelebile di ex” ma alla fine riuscirà nella sua ambizione di essere un buon comunista, incondizionatamente fedele alla linea, finché la linea non ci sarà più.

Ci sono di mezzo le speranze di una rivoluzione mancata, l’amnistia ai fascisti di Togliatti, le elezioni del ‘48, la fedeltà a Stalin nonostante i fatti d’Ungheria: i grandi scogli della storia della sinistra italiana repubblicana; ci sono le stragi di stato, il neofascismo, le BR e i movimenti extraparlamentari, dai quali figure come quella di Pietro sono guardate con sospetto e respinte per distanza anagrafica e ideologica.  Nel suo invecchiamento, che è l’invecchiamento di un secolo stremato, arrancante e ferito, Pietro Migliorisi conserva un’unica costante: La Scrittura. 

Scrive lettere al partito senza mai ottenere risposta, accumula inediti su inediti che nessuno vuole pubblicare finché non perde lo scontro con il suo “gigante d’inchiostro”, soprattutto continua la corrispondenza con Michela per tutta la vita.

All’alba del nuovo secolo, nel primo anno del terzo millennio a Migliorisi non resta che congedarsi, consegnare il suo lascito ai figli. Scrive: “La storia non mi ha lasciato mai in pace, […] non ho mai preso fiato, ho fatto quanto potevo, avrei potuto essere un altro”.

Davide Orecchio ci consegna un lavoro complesso e stimolante anche per il lettore occasionale, che troverà nello stile iterativo, nel ricorso quasi esclusivo alla coordinazione delle frasi, nei periodi brevi e spezzati, un saldo aggancio per seguire le vicende della narrazione. Le virate verso una prosa d’arte di ispirazione espressionista aggiungono colore e varietà alla sezione centrale del libro e i brevi intermezzi in cui sono riassunte le biografie dei personaggi principali offrono piacevoli cambi di ritmo con una sintassi ancora più frammentata.

Quello che emerge compiutamente, a mente fredda, di quest’ultima opera, è la riflessione metaletteraria: Orecchio dimostra ancora una volta di saper manipolare l’argilla della Storia, espandendo il concetto di “biografia infedele” dai caratteri post-borgesiani già intrapreso in “Città distrutte” e traccia un segno indelebile nel panorama narrativo contemporaneo. “Storia Aperta” è un romanzo che si radica nella Storia al di fuori dei canoni del romanzo storico italiano: attraverso la voce plurale e collettiva di Migliorisi, l’autore si insinua negli interstizi tra le storie singolari e le fonde quasi alchemicamente, mantenendo il rigore di segnalare ogni citazione e manipolazione, per creare un personaggio che è più della somma delle parti -illustri o misconosciute- che lo compongono.

Il romanzo “Storia Aperta” (Bompiani, 2021, 672 pagine, 22 euro) di Davide Orecchio è candidato al Premio Strega 2022 ed è stato selezionato per la cinquina finalista della trentottesima edizione del Premio Bergamo.


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https://it.wikipedia.org/wiki/Davide_Orecchio

Niccolò Gualandris

Redattore di Letteratura