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“L’invulnerabile altrove” di Maurizio Torchio: quando l’incomunicabilità travalica i mondi – Premio Bergamo 2022

Maurizio Torchio, al “Premio Bergamo 2022” porta “L’invulnerabile altrove”, edito da Einaudi (2021).

Di Francesca Manzoni

Nel romanzo si muovono, in un flusso continuo, realtà contrapposte nello spazio e nel tempo, una intrappolata in una dimensione affine a quella contemporanea, in un mondo finito, determinato come “Il Prima” l’altra in un indefinibile altrove, senza confini o punti di riferimento, “Il Dopo”. Il punto di demarcazione tra questi due mondi sta nella morte del corpo, che segna un passaggio dalla claustrofobica limitatezza di una terra circoscritta da limiti, a un’agorafobica, assoluta, distesa di sabbia. 

Questo dualismo crea l’occasione al diramarsi di una storia che, più che una narrazione, rappresenta un flusso di due coscienze, che l’autore mette in scena giocando esclusivamente sull’ambiguità. “L’invulnerabile altrove” più che un romanzo di narrativa è un invito alla riflessione: solo unificandosi alla mente della protagonista, solo lasciando che ella ci guidi, dimenticando così la necessità di chiarimenti e risposte, è possibile accettare e apprezzare un romanzo la cui complessità rischia, spesso, di confondere. 

Trama e Struttura del Romanzo

Il romanzo, nella sua straordinaria originalità, si identifica come un flusso di coscienza, espresso dalla prospettiva univoca di una protagonista (senza nome) che dialoga con Anna, una voce presente solo nella sua testa. Tra le due si instaura una comunicazione profondamente reale, forgiata nella costante, obbligata, condivisione dei momenti più intimi e personali di entrambe. Tale comunicazione, per quanto forzata, diventa l’unica reale all’interno del sistema in cui entrambe vivono.

Il profilo della “narratrice del Prima” è quello di una donna, professione ingegnere, che divide la sua vita tra il lavoro, un compagno (che la aspetta ogni sera, nell’abitazione che condividono) e un amante, più anziano di lei, con cui si ritrova nella casa ereditata alla morte della zia. La sua realtà è quella che più si avvicina alla nostra, lei fa parte del mondo in cui tutti viviamo. Anna invece, “narratrice del Dopo” è una ragazza, tanto giovane quanto saggia, misurata e razionale, che ha vissuto nella Londra di Edoardo VII, dove, agli inizi del 1900, lavorava in una fabbrica di fiammiferi. Lei, da moltissimi anni, vive in una realtà ultraterrena, rappresentata da un’immensa distesa desertica dove gruppi coesi di corpi nudi camminano e si muovono alla ricerca di un qualcosa che neanche loro conoscono.  

Il romanzo è costruito sapientemente sul dialogo fra le due donne, in un flusso continuato e interrotto solo da repentini cambi di scena, scanditi dai capitoli. È un libro in cui la trama è inesistente, e la lettura risulta in alcuni punti difficoltosa, soprattutto per quella sfera di utenti che ricercano in un libro una storia, intesa come successione di eventi scanditi da un inizio, uno svolgimento (con rispettivi climax) e un “finale rivelatore”. L’uso del grassetto, per distinguere le affermazioni di Anna da quelle della “narratrice del Prima” aiuta e rende più agibile l’intero atto fruitivo.

Il lettore ha in mano, allo stesso tempo, tutto e niente: emerge preponderante la sua passività, il suo ruolo di uditore inerme dei pensieri più reconditi delle due donne, quasi come se per lui, all’interno del romanzo, non ci fosse posto. Allo steso tempo però le costanti ambiguità volutamente non risolte da M. Torchio, forniscono al pubblico molteplici linee interpretative, tutte egualmente possibili, ma sostanzialmente condensabili nella risposta alla domanda: “Anna esiste davvero, o la protagonista soffre di Schizofrenia ?

Due persone o due personalità ?

La domanda principale che il lettore si pone, cambiando continuamente idea nel corso della lettura, è quella relativa alla verità della finzione narrativa: veramente esiste un prima e un dopo? Anna è realmente esistita, o stiamo assistendo alla manifestazione prolungata di un disturbo psicotico? Il lettore non è l’unico a prendere parte al dilemma, ma anche la protagonista mette continuamente alla prova Anna, chiedendole dettagli della sua vita passata, per constatare se ciò che sente possiede una parvenza di reale. La stessa cosa avviene a ruoli invertiti, quando la “narratrice del Dopo” pone interrogativi su un mondo alla quale ormai non appartiene più da molto tempo.

Si può, comunque, prendere in analisi entrambe le possibilità ora contemplate:  

IL DUALISMO FILOSOFICO: DUE PERSONE COLLEGATE IN CORPI SEPARATI

Per partire dal presupposto che quelle in dialogo siano due identità tra loro distinte bisogna tornare indietro nel tempo, prendendo in esame la concezione filosofica del dualismo Cartesiano, che vede due sostanze, la mente e il corpo, come delle entità separate ontologicamente, prive di alcuna influenza reciproca di tipo causale. Da qui la canonica distinzione tra res cogitans, intesa come la realtà psichica, capace di libertà e consapevolezza e res extensa, tutto ciò che è materiale, meccanico ma limitato e inconsapevole.  

Questa formulazione risulta fondamentale per capire realmente il rapporto che intercorre tra le due donne: la loro res cogitans, ossia la loro mente, per sua stessa definizione è libera e dunque capace di stabilire un contatto che vada oltre la sensorialità della res extensa, sostanzialmente corporea e tangibile. Nel quarto capitolo, senza particolari spiegazioni, le due donne riescono, anche se solo per poco tempo, nell’impresa di scambiare il loro corpo: Anna riesce a padroneggiare la fisicità  della sua confidente, lo guarda, nudo allo specchio, lo esplora, lo vive attraverso l’atto sessuale, consumato, in quel lasso di tempo, con l’amante. Il risultato non è però quello sperato, poiché la vera e unica connessione capace di portare tranquillità e conforto è quella che si crea al livello mentale, una connessione che prescinde dai sensi del tatto, del gusto e della vista. 

La straordinarietà del rapporto tra queste due res cogitans è che che prescindono dalla res extensa: la protagonista del nostro presente talvolta idealizza la corporeità del mittente dei suoi pensieri, ma non la può approcciare attraverso i sensi. Quello che porta il lettore a sperare che il rapporto fra le due donne abbia un fondo di autenticità è proprio l’idea di una corrispondenza radicalmente spogliata da ogni parvenza tangibile, una comunicazione totalmente sincera tra due identità spogliate del superfluo. 

L’ALLUCINAZIONE UDITIVA: DUE PERSONALITÀ NELLO STESSO CORPO

La linea interpretativa più razionale e concretamente scientifica potrebbe identificare la protagonista come un soggetto avente un disturbo di carattere psicotico, confermato anche da molte riflessioni espresse nel corso del flusso di coscienza. La voce di Anna non è altro che un’allucinazione uditiva, una diretta conseguenza del senso di incomunicabilità totale e logorante che la protagonista percepisce nel suo rapportarsi con identità diverse dalla sua. Questa visione si avvicina (seppur con le dovute ricontestualizzazioni nell’ambito dell’interpretazione del romanzo) ad una visione monistica, secondo cui non possono esserci due realtà distinte nel medesimo sistema, quanto una tendenza verso la “riduzione della pluralità degli esseri a un unico principio, a un’unica sostanza” 

Paradossalmente, l’immagine della “narratrice del Dopo” risulta però (sia per il lettore, sia per la “narratrice del Prima”) molto più nitida rispetto a quella degli altri personaggi in scena, che appaiono opachi, senza volto e contorni. A differenza dei suoi contemporanei, la nudità di Anna, nel suo essere isolata, intima, e soprattutto ignota al mondo circostante, permette alla donna di spogliarsi di ogni costrutto sociale, convenzione o etichetta, mostrandosi in uno stato di sincerità che risulta impossibile nella quotidianità dei rapporti sociali.

Come viene spiegato all’interno della narrazione, la voce non è malefica, non spinge la donna verso atti estremi o autolesionisti: piuttosto si tratta di una fine allegoria psicologica, dove Anna diventa un’essenza tanto estranea da poter ascoltare quanto intima da poter comprendere. La complessità del rapporto umano in vigore tra le due coscienze rende difficile (e forse restrittivo) ridurre il tutto ad un semplice “stato psicotico”, anche se, nel concreto, questa appare come la risposta più semplice alle innumerevoli domande che il romanzo porta con se. Il lettore però, con lo scorrere della narrazione, progressivamente scinde le due donne, che risultano sempre più autonome quanto realmente complementari.

“L’altrove”: quando il dopo da mondo onirico diventa distopico

Nell’immaginare due mondi in contatto l’autore li rappresenta scanditi da un tempo lineare, e quindi sostanzialmente infinito, in contrapposizione con una concezione del tempo circolare (ma non ciclica) che vede la vita dell’uomo come un ipotetico cerchio avente un inizio, contrassegnato dalla nascita e una conclusione assoluta, determinata dalla morte. Nel romanzo due donne si trovano ad abitare momenti temporali diversi, seppur appartenenti al medesimo universo: se la protagonista vive il nostro presente, un Prima destinato a finire, Anna vive nel Dopo, un altrove solo apparentemente luminoso ma nel dettaglio, profondamente insidioso e differente dal Paradiso cristiano che siamo abituati ad attendere. 

Dunque la vita ha un punto di partenza, ma non un punto d’arrivo: Anna vaga in una distesa immensa di sabbia, e molti altri come lei continuano a camminare, ininterrottamente, alla ricerca spasmodica di una meta sconosciuta da raggiungere.  Il tempo, in questa dimensione ultraterrena, scorre ad una velocità diversa, è amplificato: la notte corrisponde a pochi minuti nel prima, e il giorno ha un estensione immensa. Tutto è destinato a cambiare, le anime sono destinate a dimenticare la loro vita passata ma, allo stesso tempo, tutto è statico, immensamente dispersivo e sempre uguale. Da un lato il mondo claustrofobico del Prima, dall’altro la disturbante immensità del Dopo

In questo mondo, coloro che rimangono ancorati al passato sono definiti “idioti” e di conseguenza isolati ed allontanati dalle altre entità. Tra essi figura Luigi, uomo di cui Anna si innamora nell’altrove: mantiene un contatto con il presente e proprio per questo è destinato all’oblio, a scomparire. Lo stesso destino che sarà riservato alla fiammiferaia londinese. 

La sensazioni che i racconti di Anna suscitano nel lettore possono essere contrastanti: sulla dimensione ultraterrena, luminosa, a tratti onirica si innesta una concezione dai tratti distopici, fatta di anime condannate a dimenticare il loro passato, denaturandosi, o a perire nel tentativo di aggrapparsi al Prima. Nel momento in cui la protagonista non sente più la confortevole voce nella sua testa, nella disperazione del ritrovarsi sola, pensa di raggiungere la sua confidente tramite il  suicidio, ma la prospettiva di un Dopo così profondamente indefinito la distoglie.   

Forse, ancora una volta, non ti credo fino in fondo. Se ti credessi, mi butterei

Verrei subito a cercarti. Suicidio da speranza, da voglia di vivere, di ricominciare.

I precipitati, i folgorati restano intatti, perché nessuno può ricordare nulla fra l’ultimo risveglio e la morte. Arrivi come sei abituata.

Ma ti troverei? Anche ammesso si arrivi tutti nello stesso Dopo, e che non ti abbiano già abbandonata, e che io sia cosí coraggiosa e veloce da raggiungerti…

Come ti riconosco? Non ti ho mai vista.

Come salvarsi dagli impostori? È proprio lei, è la mia? Come faccio ad accorgermene? Siamo state cosí previdenti da spezzare qualcosa e dividercelo, in segreto, per poi controllare se combacia?”

Maurizio Torchio, L’invulnerabile altrove, Milano, Einaudi Editore, 2021.

A contatto con la solitudine: quando l’incomunicabilità travalica i mondi

“L’invulnerabile altrove” riesce a collocarsi all’interno del panorama librario contemporaneo come un romanzo che, pur manifestando uno stile profondamente controcorrente, riesce a sposare temi ed emozioni molto vicine a quel complesso senso di angoscia che contraddistingue l’uomo moderno. Noi, come la protagonista, siamo vittime di un claustrofobico senso di incomunicabilità che ci spinge verso l’instaurazione di legami fisici, corporei ed esteriori. Forse Anna rappresenta, in una visione attualizzante, semplicemente un bisogno: quello di trovare qualcuno (o qualcosa) con cui instaurare un contatto che possa prescindere da qualsiasi tipo di costruzione sociale. La scomparsa della voce insegna però che la prospettiva di un dialogo che prescinda da ciò che ci circonda è impossibile, e che, probabilmente, se vivessimo un rapporto così intimamente reale, relazionarci con il resto del mondo risulterebbe, in conclusione, impossibile.  

Probabilmente questa non è la chiave di lettura corretta, anzi sicuramente non rispecchia a pieno il significato ricercato e voluto dall’autore ma indipendentemente da ciò, la vita della protagonista, pur essendo pienamente inserita all’interno di un sistema sociale, è pregna del sentimento umano della solitudine. In ultima battuta possiamo quindi chiederci: come reagiremmo se avessimo la possibilità di instaurare una relazione con un identità che può solo vederci per come siamo veramente, spogliati da ogni costrutto? Riusciremmo davvero ad abbandonarla, o ne diventeremmo dipendenti ?


Bibliografia:

Maurizio Torchio, L’invulnerabile altrove, Milano, Einaudi Editore, 2021.

Sitografia:

https://www.treccani.it/vocabolario/monismo/

https://www.treccani.it/vocabolario/dualismo/


https://www.arateacultura.com

Francesca Manzoni

Redattrice di Cinema e Letteratura