Psicologia

La trasmissione intergenerazionale

di Marialaura Bergamini

La nostra storia non appartiene soltanto a noi, bensì anche a chi ci ha preceduto: ai nostri genitori, ai nostri nonni, ai genitori dei nostri nonni. Le loro storie impattano sulle nostre vite, ed ogni famiglia è unica nel modo in cui gestisce gli eventi che le capitano, gli affetti, i propri valori. Galit Atlas, psicanalista di fama internazionale e autrice di “L’eredità emotiva“, scrive: “Tutte le famiglie sono segnate da qualche storia traumatica. Ogni trauma è conservato all’interno di una famiglia in maniera unica e lascia il proprio marchio emotivo su quelli che ancora non sono nati” (Atlas, 2022, p. 11). La psicologia, soprattutto negli ultimi decenni, si è interessata allo studio della trasmissione intergenerazionale, ovvero di come da una generazione all’altra vengano trasmesse tutta una serie di esperienze, modalità di amare, di vivere e organizzare gli affetti, che possiamo riassumere con il nome di eredità emotiva. Si ricerca, ad esempio, come si trasmettano tra generazioni la violenza di genere, lo stress, l’attaccamento e il trauma.

L’irrappresentabile che vive in noi

Ciò che ci viene trasmesso intergenerazionalmente lascia una traccia nella nostra mente e ci condiziona. Anzi, sono proprio le “esperienze ridotte al silenzio” (ibidem), i segreti che i nostri antenati portano con sé, a impedirci molto spesso di esprimere tutto il nostro potenziale e a influenzare la nostra salute psichica e fisica. Atlas parla di “esperienze fantasmatiche”, che da soli possiamo soltanto presagire (soprattutto da bambini, quando non abbiamo gli strumenti per capire e dipendiamo dai nostri genitori), ma che “invadono la nostra realtà in modi invisibili e concreti” (Atlas, 2022, p. 18).

Il non-detto, le pseudo verità e i traumi non elaborati vengono trasmessi ai figli sottoforma di vissuti impensabili e privi di significato. E laddove domina il non rappresentabile, “ciò che viene trasmesso è incorporato ma non compreso, percepito ma non ricordato” (Trofa, n.d.). È così che alle volte sentiamo e sappiamo cose di cui non riconosciamo l’origine, facciamo scelte e abbiamo reazioni che non ci spieghiamo completamente.

L’impatto del trauma

Le esperienze traumatiche sono le più difficili da elaborare, da integrare nella nostra esperienza psicofisica e nella nostra storia personale, in modo da riuscire a metterle in parola e donare loro un senso. Accadono a tutti noi, non occorre essere rifugiati, soldati o vittime di terremoti e alluvioni per incorrere nel trauma. I risultati di indagini epidemiologiche condotte negli Stati Uniti indicano che quasi il 90% della popolazione è stato esposto a un evento traumatico nel corso della vita (Gabbard, 2015, p. 280). Una ricerca sulle esperienze avverse in infanzia condotta dai Centers for Disease Control and Prevention americani ha dimostrato che 1 americano su 5 ha subito molestie sessuali da bambino, 1 su 4 è stato picchiato da un genitore tanto da riportare ferite visibili sul corpo e 1 coppia su 3 è coinvolta in violenze fisiche. Un quarto è cresciuto con genitori alcolisti, e 1 su 8 ha assistito a violenza diretta sulla propria madre (van der Kolk, 2015).

Come suggerito in precedenza, l’impatto del trauma non ricade soltanto sul singolo, ma anche sui suoi cari. Scrive a tal proposito van der Kolk: “I soldati che tornano a casa dalla guerra terrorizzano le loro famiglie con la rabbia e l’assenza emotiva. Le mogli di uomini che soffrono di PTSD tendono a diventare depresse e i figli di madri depresse sono a rischio di crescere insicuri e ansiosi. Aver trascorso l’infanzia in contesti familiari violenti compromette, spesso, la capacità di costruire relazioni stabili e fiduciose da adulti” (2015, p. 41).

Un aiuto dall’epigenetica

Ma come si trasmette il trauma da una generazione all’altra? La domanda non è affatto banale e da tempo le neuroscienze tentano di fornire risposte complete. La letteratura, relativamente recente, si avvale delle ricerche sull’epigenetica.

L’epigenetica studia l’influenza dell’ambiente sulla trascrittura dei geni. Semplificando, le informazioni contenute nei nostri geni vengono “rese operative” seguendo delle regole precise, che possono andare ad oscurare alcune sezioni del DNA e a renderne visibili altre. Studiare l’epigenetica vuol dire studiare se e in che modo qualcosa di esterno alla cellula (l’ambiente, le esperienze di vita) può interferire con la trascrizione del genoma, modificando l’ambiente interno della cellula (Avico, 2019).

Significa anche studiare se e come le esperienze vegano trasmesse tra generazioni, creando una sorta di “memoria” intergenerazionale. Secondo una prospettiva evoluzionistica, le trasformazioni epigenetiche “potrebbero mirare a preparare biologicamente i figli per un ambiente simile a quello sperimentato dai loro genitori, e ad aiutarli a sopravvivere” (Atlas, 2022, p. 18).

In ogni caso, a fronte della complessità che caratterizza la questione, è doveroso affermare che il trauma non si trasferisce in senso esclusivamente biologico. Ereditiamo i traumi familiari, anche quelli di cui non siamo a conoscenza, e li ereditiamo secondo percorsi e meccanismi che seguono vie plurime. Infatti, sono tanti i fattori che occorrono nella trasmissione intergenerazionale, così numerosi da non poter effettuare previsione alcuna e da non poterci basare sui soli fattori genetici.

Ciò che giace inelaborato ricadrà sull’altro

Resta certo che l’impossibilità di elaborazione ricade sull’altro, da una generazione all’altra. I nostri comportamenti, i sentimenti, le percezioni e persino i nostri ricordi sono modellati da ciò che ci viene trasmesso intergenerazionalmente. E più la nostra eredità è legata ad esperienze traumatiche e inelaborabili, più il dolore si è cristallizzato e non ha trovato vie di espressione sane e costruttive, più ne siamo condizionati.

Scrive ancora Galit Atlas: “Tendiamo a presumere che quello che possiamo vedere ci sia anche noto: in realtà, molto di quello che non sappiamo su di noi è racchiuso in quello che è familiare e persino scontato” (2022, pp. 181-182). Ciò che abbiamo ereditato dai nostri genitori vive dentro di noi, sebbene molte volte prevalgano i tentativi di fuggire, di contrapporci con rabbia alla generazione precedente, così come possiamo desiderare di essere migliori di chi ci ha cresciuto, con la fantasia di riparare gli errori commessi dagli attori della vecchia scena.

Non un destino segnato: liberi di scegliere

Ma allora il nostro destino è segnato in partenza, plasmato da chi ci ha preceduto? Ovviamente la risposta è negativa. Ciò che abbiamo ereditato si declina in noi assumendo la forma singolare che gli diamo con la nostra individualità, le nostre scelte, i nostri sogni, la nostra storia. Tutto sta nel desiderio di cercare le nostre verità, di aprirci alla scoperta di noi stessi e della nostra eredità emotiva. Come afferma Atlas: “Scegliamo di affrontare la nostra eredità emotiva e di essere agenti attivi nel trasformare il nostro fato in destino. I segreti degli altri diventano i nostri enigmi personali e i nostri segreti inevitabilmente troveranno riparo e si nasconderanno nella mente degli altri. Quanto più questi segreti sono nascosti, tanto più diventiamo estranei a noi stessi, siamo tenuti in cattività, spaventati dalla libertà di conoscerci ed essere conosciuti” (2022, p. 263).

Occorre avere la forza e la curiosità di liberarci dal legame con un passato doloroso e inelaborato, per vivere una vita migliore per noi stessi e chi ci ha preceduto. È possibile mettere fine al ciclo intergenerazionale della sofferenza: la nostra eredità emotiva può essere modificata attraverso il lavoro psicologico.

È l’epigenetica a venirci incontro in questo caso: i geni hanno una “memoria” che viene trasmessa di generazione in generazione. Sta a noi l’impegno per cambiare cosa verrà passato al prossimo. Sempre Atlas ci dice: “La nostra speranza sta nella consapevolezza che il nostro lavoro (…) ha un effetto profondo su quello che noi, i nostri figli e i nostri nipoti diventeremo. Il trauma viene trasmesso attraverso le nostre menti e i nostri corpi, ma lo stesso si può dire della resilienza e della guarigione” (ibidem, p. 266).

Di fatti, non ci sono stati trasmessi soltanto i traumi e la sofferenza dal passato, ma anche la speranza, la creatività, la curiosità e la capacità di amare ed investire nella vita. L’invito è ad usare questi preziosi strumenti. Fondamentale appare quindi la possibilità di scegliere la via della consapevolezza, dell’esplorazione di ciò che è inconscio e offuscato, per renderlo conscio, controllabile, e donargli un senso, una narrazione che permetta alle nostre vite di cambiare.

In questo consiste la bellezza della trasmissione intergenerazionale: nel donare la propria esperienza alle generazioni future.


https://www.arateacultura.com/


Bibliografia

Atlas, G. (2022) L’eredità emotiva. Un terapeuta, i suoi pazienti e il retaggio del trauma. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Avico, R. (8 ottobre 2019) Gli effetti di un trauma si possono ereditare per via genetica?. La finestra sulla mente, Santagostino Psiche. https://psiche.santagostino.it/2019/10/08/ereditarieta-trauma-epigenetica/#:~:text=I%20traumi%20si%20possono%20ereditare,del%20DNA%2C%20alle%20generazioni%20successive.  

Gabbard, G. O. (2015) Psichiatria psicodinamica, Quinta edizione basata sul DSM-5. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Trofa, C. (n.d.) La trasmissione Trans-generazionale. InPsiche. (visitato il 23 febbrario 2023) https://www.inpsiche.it/la-trasmissione-trans-generazionale/#:~:text=Si%20parler%C3%A0%20di%20trasmissione%20psichica,e%20trasformati%20dalla%20generazione%20successiva.

van der Kolk, B. (2015) Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Marialaura Bergamini

Redattrice di psicologia