Storia e Società

La (RI)nascita del colonialismo: storia di un dominio di ieri e di oggi

Quando si parla di colonialismo l’errore che commettiamo più spesso sta nel circoscriverlo a un’epoca ormai passata. Crediamo, illudendoci, che tale fenomeno non ci riguardi e che, al contrario, attenga unicamente al passato, ma ciò è falso.  

La definizione di colonialismo infatti non è unicamente rapportabile a un singolo evento, avvenuto in un dato e concluso momento storico. Al contrario essa ha il pregio (o il difetto) di poter essere esteso nel suo significato fino ad inglobare fatti ed eventi fra loro temporalmente e spazialmente distanti. Per questo qualsiasi tentativo di analisi di tale fenomeno non può prescindere da uno sguardo globale che guardi tanto al passato quanto ad oggi. Solo così infatti si può provare a riconoscerne la presenza. A noi starà il compito di comprendere che forma, nel presente, abbia assunto.  

Dal dominio politico a quello economico

Fino al XX secolo con il termine “colonialismo” si intendeva il dominio politico esercitato dall’Europa sui paesi del sud del mondo. Il novecento (con i suoi sconvolgimenti politici) segnò invece la fine delle sovrastrutture politiche coloniali e, a partire dagli anni cinquanta, la nascita dei primi stati formalmente autonomi. Secoli di colonialismo avevano, tuttavia, lasciato le popolazioni non solo profondamente povere ma anche digiune di consapevolezza politica. Per conseguenza, nel tempo, agli stati finirono per corrispondere fragili strutture amministrativi le quali si dimostrarono non in grado di affrontare i problemi legati alla nuova situazione di indipendenza. Così, nell’ incertezza, molti paesi divennero oggetto di lotte politiche interne fino all’instaurarsi di autocrazie guidate da élite borghesi, mentre di tale situazione approfittavano le potenze europee. Fu infatti in quegli anni di instabilità che quest’ultime riuscirono a convertire la precedente influenza politica nell’attuale influenza economica. Un cambiamento che, d’altra parte, ben si integrava all’interno della cornice globale.

A livello economico infatti nella seconda meta del novecento si posero le basi del benessere occidentale, dando vita all’odierno sistema economico di stampo capitalistico e globale fondato sullo sfruttamento dei lavoratori e produttori. Sempre più dunque, in quegli anni, appariva chiaro quanto poco fosse conveniente un dominio politico, rispetto a un controllo economico in grado di garantire la ricchezza dell’occidente sulle spalle di quei popoli a cui per secoli si era negata l’autonomia.  

La teoria “Sistema-mondo”

La forma che il colonialismo, in quanto dominio economico, ha ad oggi assunto, venne “fotografata” per la prima volta negli anni ottanta grazie alla teoria del “Sistema-mondo” proposta dal sociologo Wallerstein. In essa si sottolineavano le responsabilità del “centro del mondo”, colpevole di succhiare le risorse alla semiperiferia e alla periferia. Il centro era (ed è), secondo il sociologo, il nostro occidente, mentre la periferia e la semiperiferia le ex colonie.

Ciò che dunque venne messo in evidenza, già partire da tale teoria, furono le modalità mediante le quali i rapporti di sfruttamento coloniali erano esercitati: la rapina delle fonti prime. L’intero apparato produttivo di questi paesi non era infatti rivolto verso il proprio sviluppo ma verso l’esterno. Questo era stato reso possibile da accordi presi con l’Europa, a partire dagli anni sessanta. Sfruttando la profonda instabilità politica gli stati europei avevano infatti costretto i governi della periferia e della semiperiferia a debiti esosi. Essi richiedevano (e chiedono ancora oggi) un enorme impegno economico per essere rimborsati, arrivando ad assorbire tutti i mezzi e le risorse a disposizione. Ma non è tutto. Spesso infatti i “generosi” prestiti concessi erano veicolati all’attuazione di riforme che imponevano de facto l’apertura al commercio estero, oltre che la riduzione dei dazi doganali, impedendo quindi, da principio, uno sviluppo libero e consapevole. Vittime delle conseguenze sono state (ovviamente) le fasce maggioritari (e più deboli) della popolazione alle quali sono sottratti gli stessi mezzi di sopravvivenza: i campi. 

Il “Land grabbing”

Il settore agricolo è, indubbiamente, tra i settori più colpiti dalle nuove forme di potere coloniale. A lungo infatti l’economia delle ex colonie si era basata su agricoltura di sussistenza, la quale non era di certo pronta per un’apertura su scala globale. Le violente imposizioni comportarono invece un cambio di rotta e, nel giro di poco tempo, buona parte dei territori furono destinati alla produzione di derrate per il mercato internazionale. Tale situazione non è col tempo migliorata ma, al contrario, è peggiorata.

Alle imposizioni di apertura voluta dall’Europa infatti si sono, nel corso del tempo, aggiunti accordi con privati che hanno incentivato la espropriazione delle popolazioni indigene dal territorio. Parliamo, nello specifico, di “Land grabbing” (accaparramento di terre) che vede coloro che vi abitano e le coltivano essere allontanati con l’inganno e il terreno essere venduto. Tale fenomeno ha già interessato circa settantuno milioni di ettari e ha visto stipulare circa milleottocento contratti tra venditori e compratori. Quest’ultimi sono, nella maggior parte dei casi, aziende private che guardano con interesse a questi paesi, in virtù della possibilità di sfruttare i lavoratori che gli è concessa dalla totale mancanza di tutele. Chi vende sono invece quei governi, figli dell’instabilità politica di cui si è detto sopra, i quali spesso (in virtù di un proprio guadagno) si mostrano compiacenti e proni a tale sistema, fino a permettere la decimazione della popolazione come è avvenuto in Brasile.  

Un caso emblematico: Bolsonaro e il Covid-19

Il Brasile contiene al suo interno l’Amazzonia, il “polmone verde del mondo”, e ciò lo ha reso fonte di interesse per affaristi e imprenditore. Le continue invasioni e disboscamenti infatti hanno da sempre devastato il territorio e indebolito le comunità indigene. La situazione però è divenuta insostenibile quando al potere è salito Bolsonaro, l’attuale presidente del Brasile. La presa in carica del potere da parte di quest’ultimo ha dato il via libera ad imprese ed industriali, permettendo un aumento della deforestazione di circa il 50%. Ad essere colpite sono state soprattutto quelle aree in cui gli indigeni abitavano, i quali hanno dovuto subire violenze, omicidi e deportazioni di massa. Davanti a tutto ciò, negli ultimi due anni, la complicità del governo si è fatta sempre più chiara soprattutto dopo l’arrivo del Covid-19. Davanti alla pandemia infatti Bolsonaro non ha fatto nulla per limitare i contagi nel suo stato e si è completamente disinteressato delle popolazioni indigene, abbandonandole a sé stesse. Le conseguenze sono state devastati.

La totale impreparazioni da parte della popolazione ad affrontare un fenomeno del genere ha comportato il contagio di un indigeno su venti e un tasso di mortalità di circa il doppio rispetto a città come San Paolo o Rio de Janeiro. Tale mal gestione della pandemia si è accompagnata ad un continuo aumento delle deforestazioni, la quali hanno superato nel 2020 il picco del 2008. Questo ha portato molte organizzazioni non governative a chiedersi se Bolsonaro non abbia volontariamente incentivato la diffusione del virus per favorire la decimazione delle popolazioni indigene, rimuovendo così anche l’ultimo ostacolo per chi vuole trarre dall’Amazzonia solo guadagno. Lo stesso dubbio è condiviso dalla rivista medica “The Lancet” e dalla stessa commissione parlamentare brasiliana che si è occupata dell’inchiesta sulla gestione della pandemia e che recentemente ha annunciato di voler denunciare Bolsonaro per crimini contro l’umanità. Ad oggi però nessun governo europeo ha chiesto a Bolsonaro conto del suo operato.  

Alla luce di ciò che è stato detto, appare chiara la forma che ha assunto ad oggi il colonialismo. Superarla richiederebbe di ripensare alle basi su cui si fonda il nostro stesso sistema economico e il nostro benessere. È una sfida che, ad ora, difficilmente potrà essere colta da un’Europa che si dimostra sempre più disinteressata alla questione. Il futuro ci mostrerà le conseguenze delle scelte che stiamo prendendo.  


Bibliografia

E. H. Fouberg, A. B. Murphy, H. J. de Blij, “Geografia umana, Cultura Società Spazio”, Zanichelli, Bologna, Terza edizione (2010).


Sitografia

https://www.fanpage.it/esteri/brasile-uno-studio-accusa-bolsonaro-ha-diffuso-volontariamente-il-covid-nel-paese/
https://thevision.com/attualita/colonialismo-diritti-umani/
https://left.it/2021/06/10/neocolonialismo-e-genocidi-la-parola-non-e-perdono-ma-responsabilita/
https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/medicina/2021/10/15/covid-genocidio-indios-e-altri-reati-bolsonaro-denunciato_bb41cd3d-ffce-4330-b971-e716f9712afe.html

Miriam Ballerini

Redattrice in Storia e Società