Critica di Poesia,  Letteratura,  Premio Viareggio Rèpaci

“L’amore da vecchia” di Vivian Lamarque

di Lara Bortolai

L’ultima raccolta di poesia di Vivian Lamarque s’intitola “L’amore da vecchia”, da vecchia e non da anziana oppure vecchina. “Vecchio si dice con orgoglio di un albero, perché non si può dire a una donna?” dice con un sorriso Vivian in una presentazione di marzo a Torino del suo libro. L’autoironia dolce e la profondità dissimulata dallo stile apparentemente semplice e immediato di Vivian hanno colpito la critica e la raccolta – nella collana Lo Specchio di Mondadori (2022) – ha già vinto il Premio Saba Poesia e il Premio per la Poesia della 94° edizione del Viareggio-Rèpaci, mentre fino al 5 ottobre di quest’anno è in corsa nella cinquina finalista del primo Premio Strega Poesia.

Chi è l’amore di Vivian sulla soglia dei suoi 77 anni? Ce lo rivela fin dalla poesia-indice in cui il lettore s’imbatte prima di proseguire con la prima delle nove sezioni totali e, insieme, ce lo nasconde.

Quale amore in queste poesie?

per la bella d’erbe famiglia e d’animali
per la famiglia di cari nipoti e cara figlia
per i treni e il tempo (che si somigliano tanto)
per il cinematografo (e le sue sale scomparse)
per la poesia (“non lasciarmi mai, alfabeto”)
per qualche fuori tempo innamoramento (per due o tre di voi che non lo sanno)
e per me stessa naturalmente (“io sono autobiografica”, “io non sono morta io sono nata”)

insomma per voi, perché “mutato nomine, de te fabula narratur” (Orazio)

Amore per la vita tutta, di cui da vecchi ci si sa sorprendere come da bambini: «Perché non sono un baobab e questa è l’infanzia?» e, ancora, «Ma a vecchiaia lieto fine manca? Non è detto! / e se ci fosse davvero il paradiso? / Come ci meraviglieremmo». Lo sguardo vecchio-bambino della poesia ama e non si dichiara, come in una delle poesie più belle della raccolta:

OH METEOROLOGIA

Il fascino discreto degli amori non corrisposti
come un colpo di fulmine in assenza di metà fulmine
non potrà mai smettere d’amare chi non ama.
Oh meteorologia! Cielo sempre uguale
mai a confronto il prima e il dopo
sull’unilaterale amore splende sempre uguale
al neon il sole, non accadrà tramonto di un astro
mai sorto, mai lasciata mai essendo stata
avvistata.

L’ha svelato in un’intervista per Vanity Fair: Vivian a settant’anni si è innamorata, l’ha tenuto per sé, ha lasciato scorrere libera la penna e ha anche festeggiato gli anniversari da sola, per poi rendersi conto che il suo amore da vecchia è più diffuso, saltella dai ricordi alle passioni di una vita – i viaggi in treno, il cinema (si vedano rispettivamente le due belle sezioni ”Poesie ferroviarie” e “Come nel film”) – e accarezza tutti gli affetti. I nomi degli amanti si confondono: «Chiedo perdono all’Olmo / quando lo chiamo Faggio / e al Frassino quando lo chiamo / Acacia, quanto si offese il Carpino / quando non lo riconobbi / a voltarsi di là umiliato l’aiutò il vento». Ecco la prima di tante amorose metamorfosi, i corpi si fanno corteccia («Oh presto saremo boschi tutti quanti insieme?»), l’età sono stagioni; “Poesie con foglie” è il titolo della seconda sezione. Immersa nella vitalità e nel traffico della sua Milano (cfr. “Ospedale di Viale Murillo” o “Sulla 90 i continenti”) l’occhio di Vivian è rapito dalla bella d’erbe famiglia e d’animali (di foscoliana memoria), da una sua intima bucolica quotidiana, fatta di ciclamini portati al riparo nel tepore della stanza, di visite nei cimiteri per trasferire l’acqua dai vasi coi fiori finti a quelli con i fiori vivi e veri, di colazioni in cui versa anche un po’ di latte dal fondo della tazza alle sue piantine, mentre all’oleandro e alla verbena dà il tè. Il riferimento alle “Bucoliche” non è casuale, in esergo alla terza sezione “Gli animali addormentati” si trova proprio una citazione dalla X ecloga; l’intreccio amore-natura-canto degli esametri virgiliani nella poesia italiana contemporanea già da Zanzotto era stato riletto in chiave metapoetica (IX Ecloghe, Mondadori, 1962) e anche Vivian accosta con immediatezza pennino e ciclamino: «Qualche goccia d’acqua nel piattino, la bianca / luce del sole invernale, più quella celestina della tv / serale, e un altro giorno le ha fatto persino un piccolo / fiore di quel suo delicato colore. / E tutto questo proprio mentre lei aveva deciso / di chiudersi a chiave, cerotto sulla bocca / e sul pennino, lei, meno coraggiosa di un ciclamino».

Oltre ai classici – i già citati Orazio e Virgilio, ma anche Catullo (cfr. “Lugete o veneres”) – sono in realtà tanti i modelli letterari cui Vivian si richiama, inclusi gli amati Saba (cfr. “Per copiare Saba”), Penna (cfr. “Carta da ricalco”), Caproni (cfr. “Poesia di cognome Caproni”), cui anche la critica l’avvicina, ma in questo libro di innamoramento non dimentica quello per Leopardi (cfr. “Siepe”), Pascoli e tutta la boscaglia di nomi che infittiscono le pagine (ancora: l’amico Magrelli, Ariosto, Dickinson, Kafka, Dickens, D’Annunzio, Frank O’Hara, Gozzano…). In una poesia epigrammatica dell’ultima sezione (“Poesie sulla poesia”, titolo che, peraltro, esplicita l’intento metapoetico che si diceva) intitolata “Garzantina universale due” Vivian scrive:

Sono una poetina di coccio
normale, su un carretto di poeti
di ferro, che male.

Una grande famiglia di nomi di alberi, fiori, animali, ma anche di poeti e amici, madri, padri e nipoti. Sì, perché la sezione centrale della multiforme raccolta è una dichiarazione esplicita: “Io sono autobiografica”. La vita di Vivian è stata segnata dalla scoperta, frugando nei cassetti in cerca di prove a dieci anni, di essere stata adottata da una famiglia milanese e in seguito dalla certosina e lunga ricerca del parentado biologico. Due madri, due padri, quello adottivo perso a soli quattro anni, quello biologico poi ritrovato nella scritta di una targa (cfr. “Padre bio”), due famiglie, Trento e Milano. La vita è complessa, allora non può essere semplice davvero la poesia. Si prenda una delle prime poesie di Vivian, dal significato apparentemente immediato, “Il primo mio amore”, che narra di un’infatuazione adolescenziale: «Il primo mio amore, il primo mio amore / erano due. / Perché lui aveva un gemello / e io amavo anche quello.», ma dietro a questo duplice amore, in un gioco psicanalitico che spesso di ritrova anche in Saba, si celano tutte le immagini sovrapposte dell’infanzia. D’altra parte, ci avverte Vivian in una nota autoriale alla poesia “Errore di adorazione” con la consueta ironia delicata: «Finalmente anch’io una poesia criptica, da spiegare: dalla nascita sino ai nove mesi fui trentina, abbracciata soprattutto da un bell’assolato balcone di legno».

L’osmosi autobiografia e poesia – che sembra per altro un filone particolarmente vivo anche nella prosa contemporanea, si pensi al Nobel per la letteratura di quest’anno o all’ultimo libro di una poetessa amica di Vivian e con una tumultuosa vicenda familiare alle spalle, Maria Grazia Calandrone (Dove non mi hai portata, Einaudi, 2022) – non si risolve, però, in un ripiegamento in affetti in cui lettore non può ritrovarsi. Quella citazione oraziana che apre la raccolta viene riproposta proprio all’inizio della sezione “Io sono autobiografica” dopo queste parole:

…Quando dico Miryam è di ogni figlia
di ogni figlio il nome, quando dico
foglie del mio balcone sono anche
del tuo, la mia finestra è la tua, lettore,
è affacciata proprio sulla tua via
la mia poesia

Poesia affacciata sulla via, Vivian ci invita a spalancare le finestre, non è certo tra i vecchini che vogliono le tapparelle abbassate (cfr. “Cuscini”). Se fosse per lei volerebbe via come il barone rampante, senza mai scendere dagli alberi, magari su quel jet o tra le soffici penne della rondine che si augura la sollevino in “Post scriptum” («Cremarsi o seppellirsi? / Deve pur esserci / una terza via!»). Non è facile rendere la sensazione di brezza leggera che rinfresca il lettore de “L’amore da vecchia”, forse può aiutare lasciare l’ultima parola alla poesia di Vivian.

SE FOSSE UN LIBRO

Se fosse un libro da leggere
di circa 90 pagine
fosse già giunta circa alla 76
fosse infatti lì il segnalibro
per niente giungere al finale,
come fare?
smettere di leggere?
No, ricominciare!

Aratea Cultura

Vivian Lamarque: «Io rimbambinisco» | Vanity Fair Italia

https://youtu.be/Sbxu-pqb-Sk?feature=shared

Lara Bortolai

Redattrice di Letteratura