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La Cosa Giusta – Black Lives Matter

I can't breath
I can’t breath – Collage analogico di Sara Clemente

Fai la cosa giusta

Nel 1989, Spike Lee fece discutere con l’uscita del film “Do The Right Thing” tradotto in Italia con “Fai la cosa giusta”. Trent’anni dopo, che cosa sia la cosa giusta, quale sia il modo migliore di convivere, non lo abbiamo ancora capito.
Non si possono ignorare le analogie tra la morte di George Floyd, soffocato da un poliziotto per più di 8 minuti, e quella di Radio Raheem, che in modo similare moriva strozzato da un gruppo di poliziotti, di fronte alla sua comunità che lo guardava inerme. Nel film, la reazione è l’esplosione delle tensioni razziali nell’accesa protesta degli abitanti afroamericanti contro il bianco Sal, proprietario di una pizzeria italiana, considerato causa di questa morte ingiusta.
La peculiarità del film risiede nel fatto che non c’è un tentativo didattico da parte del regista, ma una volontà di presentare una realtà contraddittoria e dialettica, dove non esistono risposte facili e gli atteggiamenti assunti possono essere antitetici e virtualmente inconciliabili. Questa opposizione viene esplicitata negli ultimi momenti della pellicola nella quale vengono mostrate una dopo l’altra due citazioni, con due prospettive diverse sulla violenza, di Martin Luther King e Malcolm X, e a seguire una foto dei due leader che si stringono la mano sorridendo, immagine che simboleggia la sintesi di questi due punti di vista.
“La violenza come modo di ottenere giustizia è sia non pratico sia immorale […] lascia amarezza nei sopravvissuti e brutalità nel sopraffattore” sostiene MLK mentre Malcolm X afferma “[…] non sono contro la violenza come legittima difesa. Non la chiamo nemmeno violenza in quel caso, la chiamo intelligenza.”

Non è chiaro di chi sia la colpa – se è di qualcuno – per le tensioni che nascono tra i vari gruppi etnici. Tutti infondo contribuiscono a generare un clima di ostilità, per via di una sorta di volontà di potenza, desiderando imporre il proprio volere in uno spazio che è considerato, per un motivo o per l’altro, proprio e rispetto al quale si crede di avere il diritto di agire per mutarlo o mantenerlo identico, proteggendo lo status quo.
Buggin Out, il ragazzo “woke” (termine inglese per indicare qualcuno consapevole dei meccanismi oppressivi e ingiusti della società), che chiede a Sal di appendere nel suo locale foto di idoli e modelli di riferimento afroamericani insieme alle altre foto delle celebrità di origine italiana, ha sicuramente delle buone motivazioni per farlo: la pizzeria del bianco è costruita in una zona a maggioranza nera ed è giusto che una attività finanziata esclusivamente con i soldi dei neri americani abbia un minimo di rappresentanza di questi. Sal, d’altro canto, non può essere biasimato per voler celebrare esclusivamente la propria identità e dunque la sua italianità. L’errore consiste piuttosto nella mancanza di una comunicazione sana tra le due parti, che porta a una morte ingiusta, nel momento in cui Bugging Out si fa appoggiare da Radio Raheem e irrompe nel negozio di Sal per imporre la propria volontà in  maniera più imperiosa. Se Sal avesse appeso le foto non sarebbe successo nulla. Eppure non lo si può incolpare di aver agito in cattiva fede o per conformità a un manifesto o latente razzismo, considerato anche il suo dichiarato apprezzamento nei confronti dei clienti e la comunità che da sempre lo ha sostenuto. Sal non è ostile, eppure diventa il centro dell’odio e la rabbia dei neri subito dopo la morte di Radio Raheem.

Questo perché non ha voluto ascoltare, come non hanno voluto farlo Radio Raheem e Buggin Out, e il non ascoltare porta ad allontanarsi. Nel vuoto che si crea tra le due parti, si genera una tensione che porta poi a sentimenti più intensi nel momento in cui vi è un pretesto per sfogarla. La morte del giovane diventa l’alibi per manifestare il rancore che entrambi le parti covavano, intrappolati nel loro monologo, incapaci di comunicare l’uno con l’altro.

 

Do The Right Thing
Do the right thing – Spike Lee, 1989

 

Black Lives Matter

 

In una maniera molto simile, la protesta scoppiata dopo la morte di George Floyd non riguarda solo quest’ultimo ma concerne una questione socio-politica molto più ampia, che vede le sue radici nella schiavitù e in ciò che ne è rimasto: un sistema che colpisce e punisce sproporzionatamente i neri e una società in cui le tensioni razziali sono ancora molto forti. Da sempre alcuni rappresentanti delle comunità nere si sono espressi contro gli abusi di potere delle forze dell’ordine, eppure non si vedevano cambiamenti. George Floyd è stata solo una delle innumerevoli vittime di un sistema intrinsecamente razzista. Non è stata la morte più scandalosa, non è stata la morte più ingiusta. Solo qualche giorno prima Brianna Taylor, veniva uccisa da otto colpi di pistola di un poliziotto entrato in casa della donna mentre lei dormiva. George Floyd è stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso da troppo tempo in bilico.
Gli afroamericani, inascoltati per tutto questo periodo,sono riusciti a farsi finalmente sentire grazie a queste proteste. MLK diceva “La rivolta è il linguaggio degli inascoltati” ed è chiaro ora che che questo linguaggio sia realmente funzionale. Il sito ValigiaBlu cita uno studio fatto dal AP-NORC Center for Public Affairs Research che mostra il cambiamento di mentalità avvenuto nella popolazione bianca americana nei confronti della violenza della polizia in seguito di queste proteste. “Nel 2015 il 58% la vedeva come un problema estremamente (19%) o moderatamente serio (39%). Mentre per il campione intervistato dall’11 al 15 giugno la percentuale complessiva sale al 74%, con un considerevole aumento di chi considera la brutalità delle forze dell’ordine un problema estremamente serio (39%)’’ Le conseguenze non sono solo nell’opinione pubblica ma hanno portato a numerosi cambiamenti concreti, il più vistoso tra i tanti di questi è lo smantellamento del dipartimento di polizia di Minneapolis.

In Italia

Di fronte alla protesta, che rapidamente è diventato la più grande nella storia dell’umanità, non ci si può lavare la coscienza credendo di non essere parte del problema, dall’alto del proprio privilegio. Se si è stati in silenzio di fronte ai soprusi di un sistema nei confronti delle minoranze, si è da considerarsi collusi con esso. De André, riferendosi a chi non aveva partecipato alla lotta avviata negli studenti nel ‘68, cantava:

“Per quanto voi vi crediate assolti
Siete per sempre coinvolti”

Fabrizio De André – La canzone di maggio

Le sue sono parole che risuonano tutt’ora vere, non solo nel panorama americano.
In Italia abbiano lasciato che il clima razzista crescesse sempre di più in seno alle retoriche di destra, senza troppi sforzi per arginarlo. Il qualità di primo ministro, per evitare una dura sconfitta elettorale nelle elezioni del 2018, Gentiloni aveva evitato di far passare la legge sullo Ius Soli, facendo poi mea culpa con queste parole «Io purtroppo non sono riuscito a farla approvare al Senato. Per mancanza di numeri, non certo di coraggio o di volontà. Coraggio o volontà che semmai ci mancarono tra il 2015 e il 2016, quando i numeri c’erano eccome ma Governo e Pd decisero di non procedere».
Se la protesta ha preso piede anche qui è perché noi afrodiscendenti ci siamo sentiti dimenticati, messi da parte o criminalizzati e strumentalizzati dalla politica. Ci siamo sentiti dimenticati, perché parlare dello Ius Soli e dello Ius Culturae è diventato problematico e una battaglia che non porta consenso. Grazie al vento di cambiamento arrivato dal nord america oggi invece si è ricominciato a discuterne, ma senza i risultati che abbiamo ottenuto negli Stati Uniti. Non ci si può fermare ora, bisogna continuare a cercare di fare la cosa giusta e lottare per fare in modo di essere sempre di più. E per farlo dobbiamo imparare ad ascoltarci.


Credits:

Sara Clemente

per l’opera I Can’t Breathe – Collage analogico

George Floyd, un’ultima frase, tanti nomi, troppi volti a cui è stato tolto l’ultimo respiro.
Ma ancora di più sono le grida che si uniscono al grido di #blacklivesmatter contro gli abusi della polizia e gli episodi, ancora attuali, di razzismo.

Sara Clemente, in arte Pezzi Impazziti, 22 anni, laureata in educazione professionale, da circa 5 anni utilizza la tecnica del collage per esprimere pensieri e raccontare storie di carta.

Instagram: @pezzimpazziti

Facebook: Pezzi Impazziti

it.wikipedia.org/wiki/Fa%27_la_cosa_giusta

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