Cinema,  Filosofia

Amore e Arte: La nascosta verità ne ‘La migliore offerta’ di Tornatore

Un articolo di Anna Rivoltella

Verità e falsità sono da sempre concetti agli antipodi del pensiero logico, così come sono opposti, nelle relazioni sentimentali, l’atto di amare e quello di tradire. Percorrere l’indefinibile ma innegabile strada che separa tali poli opposti è uno dei temi portanti del film La migliore offerta (2013) scritto e diretto dal Premio Oscar Giuseppe Tornatore. L’opera ci porta a scoprire che, forse, la distanza tra i due non è altro che un modo per riferirsi a una vicinanza complicata, che un contrario esiste solo in rapporto al suo opposto e che “in ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico!” (Claire, Sylvia Hoeks).

Questo concetto scuote lo spettatore e lo pone davanti a una contraddizione interiore, a tal punto che, alla fine del film, non sa più quale sia il confine tra verità e falsità, tra amore e vigliaccheria, tra onesto interesse e vile sfruttamento. Solo un vero maestro del cinema può annullare il dignitoso recinto che separa realtà e finzione, suscitando nel pubblico l’irrefrenabile desiderio di capire cosa ha appena guardato, udito, sentito. Trattandosi del genio creatore dell’opera però, le sue intenzioni possono trasmettere solo domande aperte, problemi, angosce, possibilità, che sta a noi fruitori accogliere e utilizzare nel migliore dei modi: interrogandosi, rispondendosi, ma sempre con la consapevolezza che il messaggio sta tutto nell’opera. Il resto, come questo indegno tentativo di spiegazione, comincia già arrendevole, poiché nasce da un’insopprimibile esigenza di ordine, di senso, di razionalità impossibile da trovare nell’arte o, almeno, in una certa concezione del suo ruolo: scandalizzante, irritante, turbante, non consolatorio o assertorio.

La migliore offerta trama: l’apertura a un amore invisibile attraverso l’immagine artistica

I protagonisti de “La migliore offerta” sono pochi, essenziali come singole particelle di colore all’interno di un quadro. Ogni storia ha una vittima, un capro espiatorio che non sa di trovarsi nella trama di qualcun altro: in questo caso si tratta del venditore d’aste Virgil Oldman (Geoffrey Rush), la cui figura appare tanto nel privato, quanto nel pubblico, silenziosa, elegante, diffidente, distaccata, prevenuta, proprio come i guanti che indossa sempre per paura di venir toccato dalla realtà e dalle emozioni. Virgil ha dedicato la sua vita solo ad una cosa, riuscitagli eccellentemente: le aste d’arte e l’occhio nel riconoscere l’autenticità dei quadri. Il suo più grande tesoro, unico senso del proprio passaggio sulla terra, è la stanza segreta dove conserva i quadri di inestimabile valore, non solo di mercato, ma soprattutto personale. Virgil gode, attraverso la sua faticosa collezione di dipinti, della bellezza di donne catturate in superficie, tutte coloro che in quella tela a tre dimensioni, la quotidianità, non è mai riuscito ad abbracciare. Venditore di fama mondiale, festeggia il suo compleanno cenando con sé stesso in un ristorante lussuoso, trascorrendo la sua vita all’interno di una prestigiosa casa, nella solitudine più completa, alleviata solo dagli sguardi incorniciati provenienti dalle pareti. 

Un piccolo progetto che il venditore d’aste più quotato del mondo porta avanti è la ricostruzione di un automa antico, una specie di piccolo robot che parla, e che vale forse più di tutti i suoi quadri, che sta assemblando con l’aiuto dell’amico ferramenta Robert. L’affetto a lui più vicino è Billy, anziano pittore che per tutta la vita ha cercato di guadagnarsi l’ammirazione artistica di Virgil, ma che ha sempre ricevuto solo prese in giro, pacche sulle spalle e qualche spicciolo, senza mai essere preso sul serio, come avrebbe voluto, in quanto pittore.

L’ultimo attore, non per importanza, che compare in scena a scompigliare l’ordine precostituito, vuoto e asettico della vita di Virgil è la ragazza dalla voce soave, Claire. L’udito è l’unico dei cinque sensi che mette in comunicazione Virgil e Claire, poiché lei, traumatizzata da un evento passato che la vede rinchiusa nella sua camera, parla con Virgil solo se separati da una porta chiusa. I due si incontrano perché lei deve far valutare dei quadri appartenenti alla villa in cui vive, acquisita in eredità dopo la morte dei genitori. La donna, a primo impatto, risulta sfuggente, non si presenta agli appuntamenti, cambia idea a ogni telefonata, senza che la si riesca mai a vedere: è proprio questa isteria ad irritare, ma allo stesso tempo inconsciamente attrarre, il personaggio di Virgil. 

Claire e Virgil riescono finalmente ad incontrarsi, senza mai vedersi ma solo parlandosi attraverso la porta: i due scoprono così ciecamente loro stessi e sembrano innamorarsi. Claire apre il cuore dell’anziano venditore d’aste e lui, perduto di lei tanto da trascurare sé stesso, riesce a portarla fuori dalla sua prigione fisica e mentale, svelandole inoltre la cosa più importante della sua vita: la porta nella sua stanza segreta custodente i quadri più importanti mai collezionati. 

Virgil a questo punto della trama parte per un viaggio di lavoro e, una volta tornato, tutto ciò che lo aveva fatto vivere sparisce. Tornatore senza pietà né cautela porta lo spettatore all’apice della trama e, proprio nel punto più alto, lo rende vulnerabile, lo pugnala. Tornatore in questo punto cruciale della storia non ferisce solo Virgil all’interno della finzione, ma ferisce anche noi. Ed è per questo che ne parliamo: ci chiama in causa, ci interroga, ci fa guardare alla nostra vita per chiederci a cosa abbiamo creduto per tutto questo tempo, e cosa crederemo. Il film, da romantico, diventa improvvisamente un thriller drammatico. Ma vediamo perché. 

Inganno e tradimento: cosa resta del passato? (spoiler alert)

Ed è così che all’improvviso Virgil capisce di essere stato ingannato da tutti i personaggi: la sua stanza segreta è vuota, privata di tutti i suoi quadri, ad eccezione di uno, il suo preferito, sul cui retro c’è la firma dell’amico Billy. Accanto, il robot costruito con cura da Robert, il ferramenta, recita automaticamente una registrazione che riporta una piccola conversazione tra Robert e Virgil, dove quest’ultimo afferma ‘in ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico’, mentre Robert risponde ‘sono d’accordo con te. Infatti mi mancherai’. 

Arrivati a questo punto, è giusto domandarsi: perché il ferramenta dice che Virgil gli mancherà? Tutto l’inganno e il tradimento nei confronti di Virgil sono stati architettati da Billy, troppo rancoroso a causa del suo mancato riconoscimento professionale e artistico. È proprio Billy infatti, per vendetta, a copiare il quadro preferito di Virgil, producendo un falso, senza che Virgil se ne accorga: lo sottovalutava al punto che mai l’avrebbe pensato capace di dipingere così bene.

Tutto il resto viene di conseguenza: Robert e Claire sono solo due complici che hanno aiutato Billy nel suo piano di vendetta, facendo innamorare Virgil della figura così problematica di Claire per poi rubargli tutto ciò che possedeva. I tre scappano quindi con il bottino, lasciando in mano allo spettatore la cinica constatazione che i sentimenti provati da Virgil non erano altro che il frutto di un piano malefico che aveva come unico fine i soldi e la vendetta. 

È tutto qui? La speranza lasciata dal finale aperto

Per alcuni spettatori, arrivati a questo punto, potrebbe non esserci più nulla da aggiungere: il film racchiude una bella storia d’amore, troppo romantica e poetica per essere vera, capace di rivelarsi come una finzione recitata per rubare soldi a un vecchio ingenuo. Chi la pensa così può fermarsi qui. 

C’è però un’altra frase chiave che, quando ancora il piano non era stato svelato, viene pronunciata da Claire: ‘qualunque cosa ci accada, sappi che io ti amo!’.

Sembra quasi che ogni personaggio, pur sapendo di star truffando Virgil dall’inizio alla fine, voglia comunque lasciare una traccia sincera del proprio passaggio nella sua vita e dargli modo di pensare, dopo lo svelamento, che nonostante fosse tutto un inganno, nel mentre, ci sia stato qualcosa di vero: sentimenti, amicizie, emozioni.

La frase citata all’inizio prosegue dandoci un appiglio di speranza, facendoci capire che forse Virgil non è totalmente sconfitto, perché, dopo anni di lavoro, ha coltivato una profonda convinzione: 

In ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico. Nel simulare l’opera altrui il falsario non resiste alla fatale tentazione di metterci del suo. Spesso una minuzia, un dettaglio privo dell’impostura finisce inevitabilmente per tradire sé stesso, rivelando una propria e autentica sensibilità.

Se questo concetto è valido nell’arte, si può dire che valga lo stesso principio nella vita sentimentale e nell’amore?

Perché Claire ha voluto dunque dire a Virgil che lo amava, qualsiasi cosa sarebbe successa? Forse perché, infondo, voleva che a quell’uomo tradito spietatamente nella fiducia e nell’anima, rimanesse quella sua firma di autenticità, di amore, di verità e condivisione. L’ha tradito sì, ma questo vuol dire che non l’abbia mai amato? Non lo si può dire con certezza. 

Forse anche la nostra vita potrebbe essere vista come un grande inganno, una completa falsità e in questo momento potremmo essere il bersaglio di qualche piano nefasto che ci vede come vittime e ci svelerà come ingannati, traditi, presi in giro. Ma nel frattempo, ora, non stiamo forse vivendo nel vero?


https://www.arateacultura.com

https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Tornatore

Anna Rivoltella

Redattrice di filosofia

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