Filosofia

L’epoca delle passioni tristi – Lo sguardo di Spinoza sul mondo di oggi

Lo scandalo di Amsterdam

Quando si parla di Spinoza, la prima cosa che balza alla mente è la massima: Deus sive Natura. Un’affermazione, questa, che desta scandalo perché non vuol dire altro che: non esiste un Dio personale, come invece sostengono la maggior parte delle religioni. La natura coincide con Dio, noi stessi ne facciamo parte. Essa è libera, noi siamo determinati da eventi, sia interni – dovuti al nostro corpo -, sia esterni – dovuti all’ambiente che abitiamo – e di questi ci sfugge il senso ultimo.

L’Etica di Spinoza è scandalosa, perché nega la provvidenza. L’intera natura non è guidata da un ordine provvidenziale, il mondo non è fatto per noi. L’uomo non è padrone della natura, come si crede tutt’oggi. Secondo Spinoza il mondo non è costruito per fare un favore a noi. Per questo motivo l’Etica, pubblicata postuma, è stata bruciata per eresia. Non solo perché dichiara che Dio, in quanto persona o trinità, non esiste, non solo perché annulla l’idea di una Natura a noi provvidenziale, cioè di un Dio che agisce in nostro aiuto, ma soprattutto perché distrugge l’entità stessa delle religioni. Per il filosofo di Amsterdam la religione si basa sulla paura e sulla speranza. La religione è una superstizione pubblica.

Questa potrebbe essere una peculiare chiave di lettura per il momento storico che stiamo vivendo. In un mondo non retto più da un creatore che – per esempio – “ha mandato la pandemia per punire il genere umano” , come dovremmo affrontare le difficoltà?

Non “stare” dove non fiorisci

La pandemia c’è, non possiamo usare la giustificazione divina per darle un senso. C’è da aggiungere che Spinoza non crede che l’uomo sia un animale razionale, ma anche un animale in cui a farlo da padrone è più il desiderio che la razionalità. Questo desiderio viene “misurato” da Spinoza attraverso un termine mutuato da Galileo: conatus. Esso rappresenta la quantità di forza o di energia, che può diminuire o aumentare. E la diminuzione è causata da ciò che Spinoza chiama: passioni tristi. Esse sono le passioni che ci opprimono: l’odio, la gelosia, l’iracondia, insomma tutte quelle passioni che – oggi diremmo – “ci deprimono”. Queste passioni che deprimono abbassano il nostro potere di esistere, il conatus, ci precludono la possibilità di sperimentare la gioia.

Per continuare sull’esempio della pandemia, essa ci ha rinchiuso nelle nostre case, ci ha tolto il contatto con gli altri e la possibilità di vivere serenamente le nostre giornate, facendoci sperimentare la sensazione di un nemico sempre in agguato, come se camminassimo in una foresta fitta piena di tigri. E’ invece la gioia, essenza della filosofia spinoziana, che aumenta il nostro potere di esistere. Ma come possiamo sperimentare la gioia, in un momento storico triste?

Spinoza crede che noi tutti siamo eterni dentro Dio, in quanto parte di un tutto che sopravvivrà alla morte del corpo. Noi dunque siamo Dio e l’uomo, anche se non è una sostanza separata, ha una parte che, in qualche modo, sopravvive: il cogito, il pensiero attraverso il quale conosciamo le cose che sono eterne, le Idee.

Ora, per Spinoza le passioni sono ineliminabili nell’uomo. Cioè non possiamo sradicare da noi stessi la tristezza – ad esempio – per convivere serenamente con il virus. Le passioni sono ineliminabili perché rappresentano la presenza stessa della Natura in noi, il segno dell’influenza di tutto ciò che è dentro e fuori di noi: dal raggio di sole all’atomo che costituisce il nostro corpo. Se le passioni sono indistruttibili, allora la ragione non può che perdere nella battaglia contro di esse. Per questo l’uomo non è un animale razionale.

Ma c’è una possibilità di collaborazione, e si trova nell’ Amor Dei Intellectualis, l’amore intellettuale di Dio, che poi altro non è che amore per la Natura e quindi per noi stessi. In questa forma di amore, la facoltà passionale collabora con quella razionale. L’amore intellettuale lega insieme gli opposti: passione e ragione. Le passioni, quindi, non si possono cancellare ma si possono elaborare. Si possono abbandonare le passioni tristi e abbracciare la forza vitale, abbracciare la gioia di non essere più bloccato in rapporti ristretti, e di vedere la realtà come qualcosa di cui si fa parte, in cui si è immersi. Non potendole vincere, dobbiamo scegliere le passioni che danno più potere di vivere e di gioia. E questa gioia si connette al capire. Comprendere con passione.

Se riflettessimo solo razionalmente riguardo alla situazione epidemica che stiamo attraversando, certo ne trarremmo qualche concetto universale, qualche legge universale, come ad esempio “dobbiamo dare più peso ai rapporti umani che tanto ci mancano in questo periodo”. Ma è solo un astrarre, un qualcosa che non tocca la nostra emotività.

Libertà necessaria

Un altro aspetto di scandalo nel pensiero di Spinoza è che tutto sia retto dalla necessità. L’affermazione non è da fraintendere: il filosofo di Amsterdam non è fatalista. Il fatalista è colui che, ad esempio, afferma: la pandemia doveva accadere, non possiamo farci niente, la possiamo solo subire. Ecco, questo è un atteggiamento “da passioni tristi”, da chi accetta con passività che le cose non vanno bene. Per Spinoza, al contrario, il fatto che esista la necessità non implica affatto che l’uomo non possa avere margini di libertà, anzi la libertà è la coscienza stessa della necessità. In un certo senso “volere il destino” è l’unico modo per essere liberi. Più si conosce ciò che ci condiziona, più siamo liberi. Più si è capaci – soprattutto in un momento del genere – di elaborare le passioni abbandonando quelle depressive, e quindi accrescendo il nostro conatus, più si è in grado di raggiungere la gioia.

Spinoza non sostiene che gli uomini siano destinati alla beatitudine (dopotutto che senso avrebbe una gioia perenne?), è chiaro che l’uomo oscilla tra la tristezza e la felicità. Il punto è piuttosto quello di raggiungere un punto di equilibrio, una sorta di tranquillità dell’animo, come nella filosofia stoica, come un’abitudine, un abito da indossare. Dobbiamo insomma metterci in pace con noi stessi, guardare dritta negli occhi la situazione che ci circonda, senza farcene una colpa né vederla come qualcosa di terribile, ma piuttosto cercare la gioia in essa. Dobbiamo accettare la morte, senza esaltarla. Perché, come sostenuto dallo stesso Spinoza: “la filosofia è meditazione non della morte, ma della vita”.

Gli uomini che si trovano sotto il gioco della paura o della speranza sono quelli che si trovano a vivere l’incertezza. Solo nella tranquillità l’uomo può ottenere – attraverso l’amore intellettuale di Dio – la gioia. Ma l’uomo è un animale inserito in una comunità, non vive da solo su di una montagna. Per questo la filosofia non basta, secondo Spinoza: ci vuole una buona Politica. Ed è evidente che è il momento per la nostra politica di prendere decisioni verso una riduzione dell’incertezza, delle diseguaglianze create dalla pandemia, dei posti di lavoro persi e così via.

L’insegnamento dell’Etica, che può essere un’ottima chiave di lettura del momento presente, è che innanzitutto la necessità non significa remissività, non significa rinuncia. Questo è il messaggio pericoloso che bisogna evitare. La politica deve cercare di rimuovere, in un certo senso, gli ostacoli al conatus dell’uomo, alla sua potenza di vivere, di realizzarsi come individuo. E quindi di cadere nelle passioni tristi. Non dobbiamo passivamente aspettare che questo momento passi, soffrendo nel frattempo la nostra condizione. Dobbiamo, anzi, proprio in un momento come questo, sia come singoli individui che come cittadini, non negarci la possibilità di vivere una vita piena.

Certo, non posso uscire e far finta che la pandemia non ci sia, ma possiamo in essa ritagliarci un piccolo spazio di felicità. Così come sotto l’effetto della forza di gravità non camminiamo gattoni come il neonato, ma possiamo librarci in aria come il ballerino.


Sitografia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Baruch_Spinoza

https://www.arateacultura.com

Felice La Peccerella

Redattore di Filosofia