Filosofia,  Letteratura

Sunset limited: la religione come viaggio in fuga dal treno del nulla

di Anna Rivoltella

Un disperato tentativo di speranza: così si potrebbe definire il copione di Cormac McCarthy che dipinge il mondo come bianco o nero. I due colori identificano sia prospettive inconciliabilmente parallele, sia la carnagione dei protagonisti di Sunset Limited, corrispondente a due altrettanto opposte fedi: nel nulla e in Dio. La disperazione si coglie nell’inconscia consapevolezza, da parte di entrambi, che il proprio interlocutore non cambierà mai la sua opinione in merito al senso della vita ma, ciò nonostante, persiste in essi la speranza di convincere l’altro che la ragione sta dalla propria parte. La richiesta sottesa a ogni drammatica battuta e rivolta soprattutto al lettore è:

«mi mostri una religione che prepari l’uomo alla morte. Al nulla. Quella sarebbe una chiesa in cui potrei entrare.»

Il dialogo che si apre tra le due brillanti menti necessita di uno sfondo minimale, che contrasta la pienezza di significato delle loro parole: un tavolo e due sedie bastano per comporre la scenografia della trasposizione cinematografica di tale capolavoro teatrale. Infatti, lo scambio si conclude quando non rimane più possibilità di comunicazione, e il ponte fragile sostenuto da volatili parole verso il cuore dell’altro cede il posto al muro invalicabile della propria convinzione. Barriera che conduce l’uomo bianco (presumibilmente, anche se non esplicitato) al binario del Sunset Limited, e il nero a Dio. Il titolo dell’opera altro non è che la fermata del treno sotto al quale il bianco, professore colto, intelligente, cinico e misantropo, vuole buttarsi la mattina del suo compleanno, per porre fine alla sua insensata dolente esistenza. Il nero però, lo salva senza esitazione, portandolo a casa sua per capire cosa ha spinto un uomo a scegliere il nulla invece che Dio, come ha fatto invece lui dopo un’esperienza illuminante in carcere.

Il dramma di McCarthy non lascia spazio a facili soluzioni, anelando invece ad un’eterna lotta tra luce e ombra, tra l’istante in cui passa davanti agli occhi tutta la vita prima di morire e l’eternità a cui tende la vita ultraterrena promessa da Dio, tra vita e morte, verità e illusione, dolore e speranza, lotta e resa, riposo e rivolta. Nelle sue scorrevoli cento pagine McCarthy ha voluto prendere per mano il lettore e trattarlo da adulto, senza servire finali conciliatori su un piatto d’argento, ma mostrandogli due scenari alternativi: stare a casa col nero che prega un Dio, o uscire col bianco vagando senza nessun appiglio in cui credere. Nessuno resta sull’uscio della porta, ed è questa la difficoltà della sua lettura: obbliga a prendere posizione, con tanto di responsabilità.

Sunset limited: la ricerca di un Senso

Onde evitare accuse di giudizi infondati, è bene premettere che la questione dell’esistenza di Dio non è argomento della seguente analisi dell’opera, ma si affronta la tematica della religione e di Dio solo in quanto fondamentale alla trama e al significato del testo, senza pronunciarci su giudizi che esulano dalla presentazione di tale argomento operata dagli attori in scena. La prima visione da inquadrare è quella del prete afroamericano, che apparentemente si presenta come un uomo dalla fede innata, dalla sicurezza mai vacillante della presenza e del sostegno di Dio, tanto da affermare:

«io, nella testa, non ho manco un pensiero originale. Se non ha dentro la scia del profumo della divinità, allora non mi interessa.» (op. cit.).

Insomma un uomo devoto a Gesù, che crede nei precetti della religione in quanto risponde a interrogativi umani, che crede tutto abbia un senso, che le linee della vita seguano il percorso tracciato dal destino, che tutto nasconda un significato ulteriore, ultraterreno, divino. Egli crede che la possibilità di salvare il professore gli sia stata data dalla grazia di Dio, che gli ha affidato il compito di redimerlo, di convincerlo a credere in Lui, poiché è stato salvato dalle tenebre della morte.

Scandagliato sempre più dalle domande dell’altro personaggio però, che non si lascia certo abbindolare da discorsi commoventi sul valore della vita, il nero confessa di avere avuto un passato più turbolento di quello che ci si potrebbe aspettare da un prete. Ed ecco che allora racconta le sue storie del carcere, confessa la sua precedente vita colpevole di crudeltà e violenze verso il prossimo. Ciò che lo ha cambiato è stata la voce di Dio, che gli ha parlato in quanto lui era disposto all’ascolto e a ricevere le sue parole. Con un aneddoto suggerisce al bianco di predisporsi all’ascolto divino, perché può arrivare in ogni momento la salvezza di una vita giunta al fondo del pozzo, se si è disposti a farsi illuminare.

Ciò che si nota in ogni domanda e risposta del prete è la capacità di affidare la sua vita a Dio, togliendone da dosso il peso, le contraddizioni, la disperazione, il giudizio, trovando la felicità e la salvezza perché «mica l’ho mai capito quanto pesava quel fardello, finché non me lo sono levato di dosso. Forse è stata quella la cosa più bella. Mettere tutto in mano a qualcun altro». (op. cit.). La fede libera dal peso dell’incomprensibilità della vita, perché la religione offre una spiegazione a ciò che l’uomo non può capire, ma che ha senso nel progetto di Dio: così, per il prete, si può essere felici. Ma tali risposte non accontentano il professore.

L’accettazione del nulla in Sunset Limited

«Niente di quello che succede significa qualcos’altro» secondo il bianco. Un suicidio è solo un suicidio, la vita è solo vita, l’esistenza c’è e la morte la fa cessare tornando al nulla. Anche questa sembra la visione di un uomo che con l’aridità d’animo ci è nato. Invece, anche in questo caso, è l’esperienza passata ad aver forgiato tali idee tanto radicali e radicate. Infatti, confessa al prete che un tempo credeva nei libri, nella musica, nell’arte, ma poi questi valori hanno iniziato a vacillare, almeno per lui: «Le cose che amavo un tempo erano molto fragili. Moto delicate. Ma io non lo sapevo. Pensavo che fossero indistruttibili. E mi sbagliavo.» (op. cit.).

Non si tratta di innato nichilismo, ma di disillusione, di delusione innescata dalla realtà in seguito alle richieste di un animo speranzoso. Il professore, tenuto in vita dalla bellezza infusa dalla “roba culturale”, si è stancato di vederla decadere e morire; quindi, preferisce non assistere più a quel degrado, scappando dalla vita, tuffandosi nei binari della sua negazione.

Il dialogo tra i due si fa sempre più intenso, non pare più una questione di sole prospettive, è ormai una questione di principio: se il bianco ha ragione e lascia il nero senza parole, allora egli sarebbe costretto ad ammettere la sensatezza del suicidio, la giustezza di tale atto, a concedere che l’ipotesi di Dio non sia poi così convincente.

Il professore vorrebbe solo essere lasciato in pace, scollarsi da tale inappropriata insistenza «perché voialtri non riuscite proprio ad accettare che certa gente non voglia neanche credere in Dio» (op. cit), rivendicando così il suo diritto a rifiutare quel dono che per un credente Dio ha regalato agli uomini: la vita. Perché rifiutarla? Perché in questa visione la felicità è contraria alla condizione umana, in quanto «ci siamo nati, in un casino del genere. La sofferenza e il destino umano sono la stessa cosa. L’una è la descrizione dell’altro.» (op. cit.). Sarebbe logico sottrarsi a tale crudele sorte e buttarsi sotto un treno sembra la conclusione più coerente per chiudere una vita vissuta come una condanna all’insensatezza.

La drammaticità estrema viene raggiunta quando il professore fa capire di aver compreso attraverso una vita intera fatta di studi, cultura, comprensione e fatica, di essersi spogliato delle storie consolatorie di cui sono intrisi i credenti, che vivono nella speranza di una vita eterna, giustificando la sua scelta di suicidarsi semplicemente così:

«penso di aver raggiunto il punto in cui si è costretti a guardare in faccia la verità, tutto qui»
(op. cit).

In tale atteggiamento il prete nota una rara eleganza avvolta da un velo di arroganza: bisogna sentirsi molto diversi e superiori per pensare che il proprio dolore sia più pesante di quello degli altri. È come se tutti avessero dei buoni motivi per potersi togliere la vita, ma solo chi è intelligente come il professore poi agisce, perché ha esattamente il motivo per cui la vita non vale più la pena, cioè la decadenza di tutte le cose che una volta avevano valore, e quindi ciò lo giustifica per il gesto estremo. Infatti, recita: «I miei motivi hanno a che fare con una graduale perdita delle illusioni. Tutto qui. Una graduale illuminazione circa la natura della realtà. Del mondo.» (op. cit.). Egli parla con la fredda apatia di chi sa di non poter recuperare le illusioni che un tempo gli davano pace e speranza, come la religione.

Viene qui in supporto un’analisi fatta da Ian Leslie nel suo libro Bugiardi Nati, dove sostiene che le illusioni sono un carburante per mantenere la sanità mentale, e il perderle induce alla follia, alla volontà di morire:

esiste un gruppo di persone prive di illusioni positive, che si avvicinano di più alla verità su loro stessi, hanno una percezione più realistica delle proprie capacità, delle svolte future, del controllo che esercitano sulle cose. Philip Larkin li ha chiamati i the less deceived, i meno ingannati […], gli psichiatri però le definiscono clinicamente depresse. Vari studi mostrano che i depressi sono più realisti rispetto alla maggior parte delle altre persone.

I. Leslie, Bugiardi Nati, Bollati Boringhieri Editore, Torino, 2016, pag. 162.

La disillusione di cui Ian Leslie parla come strada che porta alla depressione, sembra essere esplicitata dalle parole di McCarthy messe in bocca al suo personaggio fin troppo lucido:

«io non considero il mio stato mentale una visione pessimistica del mondo. Lo considero equivalente al mondo così com’è. L’evoluzione non potrà mai non condurre la vita intelligente alla consapevolezza di una certa cosa sopra tutte le altre, e questa cosa è la futilità.»
(op. cit.)

La richiesta di una religione che prepari alla verità

Alla fine di uno straziante dialogo tra il sostenitore di una verità che induce alla morte e il credente in un’illusione che perpetua la fede in una religione, le strade si separano e non si giunge a un accordo. Il prete, lasciato seduto in solitudine impotente e con la sua sola fede, si rivolge a Dio chiedendo il perché non è riuscito a salvare quell’anima tormentata e non credente in Dio, ma convinto che:

«se la gente vedesse il mondo per com’è davvero. Se vedesse la propria vita per com’è davvero. Senza sogni o illusioni. Non credo che troverebbe un solo motivo per non scegliere di morire il prima possibile.» (op. cit.).

E infatti è proprio la fine quella verso cui si avvia il professore uscendo dalla stanza. E quella che tutti, leggendo, hanno sperato scomparisse dalla scena. E invece McCarthy non ci difende, non ci concede la rassicurante promessa che alla fine tutto si risolve, no. Il suicidio rimane una possibilità, anzi, rimane l’unica scelta per chiudere le possibilità che apre la vita.

Prima di andare verso il suo giudizio finale però, il bianco sferra un’ultima domanda: cosa ci tiene in vita, se non il timore dell’ignoto?

Se si potesse bandire la paura della morte dal cuore degli uomini, non vivrebbero un giorno di più. Chi sarebbe disposto a sopportare questo incubo, se non per paura dell’incubo che lo seguirà? Sopra ogni gioia pende l’ombra dell’ascia. Ogni strada porta alla morte. O peggio. Ogni amicizia. Ogni amore. Tormenti, tradimenti, lutti, sofferenza, dolore, vecchiaia, umiliazione, malattie orrende e lunghissime. E alla fine di tutto una sola conclusione.

C. McCarthy, Sunset Limited, Einaudi Editore, Torino, 2016, pag. 111.

Cosa ci separa, quindi, dal nostro Sunset limited? Forse, una religione che ci prepari all’annichilimento della morte. Forse, un libro come questo.


C. McCarthy, Sunset Limited, Einaudi Editore, Torino, 2016.

I. Leslie, Bugiardi Nati, Bollati Boringhieri Editore, Torino, 2016.

https://it.wikipedia.org/wiki/Cormac_McCarthy

https://www.arateacultura.com/

Anna Rivoltella

Redattrice di filosofia