Attualità

“London Bridge is down”: Perché la morte della regina Elisabetta ci tocca cosi da vicino ?

Di Francesca Manzoni e Chiara Girotto

La Regina Elisabetta II in uno scatto di Annie Leibovitz

L’8 settembre 2022 nel castello di Balmoral, in Scozia, si è spenta la regina più longeva della storia: Elisabetta II dopo 70 anni e 214 giorni di regno lascia una corona che difficilmente riusciremo a vedere al capo di un altro sovrano. La sua morte segna un punto di rottura non solo negli equilibri socio-politici della monarchia inglese, ma anche nella società in cui noi, cittadini del mondo, viviamo. Negli ultimi giorni, grazie anche al potente tramite dei social network, siamo stati spettatori di grandissime dimostrazioni d’affetto, messaggi di cordoglio provenienti non solo dai massimi esponenti del panorama politico e sociale odierno, ma anche da parte di moltissimi civili che, pur non avendo sangue londinese, sono rimasti turbati dalla morte di un icona. Ma perché , allora, avviene tutto ciò? Perché ci sentiamo “toccati” così da vicino ?  

In primo luogo, con la sua morte, ci rendiamo conto che, come lei, non c’è mai stato nessuno, e mai nessuno ci sarà. Il motivo di tale popolarità, che attorno alla sua figura dipinge una cristallina aurea di sacralità, pone le sue radici in sette decadi di storia, all’interno delle quali, la monarca britannica, si è sempre saputa contraddistinguere, diventando, in breve tempo, l’unico pilastro, fermo e indistruttibile, nella tormenta dello scorrere del tempo. 

In 70 anni di regno, è infatti sopravvissuta a numerose crisi politiche, sociali ed economiche, riuscendo a mantenere intatta l’aura della corona inglese anche nei momenti di maggiore difficoltà. È riuscita a confrontarsi con i maggiori leader mondiali della storia, portando sulle spalle il peso di essere l’unica donna in un panorama politico prevalentemente maschile, rispettando i limiti del suo ruolo, e abbracciando, con anima e corpo, l’eredità che suo padre, Re Giorgio V, si era trovato a sostenere, pur appartenendo al ramo cadetto della casata. Nonostante il suo ruolo di regina fosse, nella pratica, privo di concreti poteri politici, seppe esporsi, nelle situazioni di maggiore tensione: è ormai storia, la sua opposizione alla volontà della Iron Lady, Margaret Thatcher, di non sanzionare il Sudafrica per i crimini commessi durante l’apartheid. Non si può prescindere dal fatto che, andando oltre le simpatie e i pareri personali, la sovrana britannica, sia stata, per la storia contemporanea, una figura chiave, capace di muoversi, come una presenza attiva, attraverso le principali tappe di quei drastici mutamenti che hanno caratterizzato il ‘900. 

Allo stesso tempo Elisabetta II è riuscita, straordinariamente, a preservare la credibilità della casata Windsor, nonostante i numerosi scandali che hanno colpito, nel corso degli anni, i membri più stretti della sua famiglia. Figura emblematica di tale precarietà fu Diana Spencer (ricordata dal mondo come “Lady D”) che, dopo il divorzio con Carlo, criticò pubblicamente la corona inglese. Nonostante gli attriti, e le pubbliche accuse mosse contro la corona nel 1997, dopo la morte della “principessa del popolo”, Elisabetta seppe, seppur per pochi secondi, svestirsi dei suoi abiti da regina, per indossare quelli di una donna, che abbassa gli occhi, e s’inchina, al passaggio del feretro di una delle personalità più amate dal suo popolo. La sua tempra e la sua devozione alla corona seppero così sopravvivere al tempo, agli scandali, e al mutare delle ideologie. 

E se questo non bastasse per renderla degna dell’affetto che ha ricevuto e che ancora oggi, nel giorno del suo funerale, riceve, pensiamo anche al “quadro metodologico” con cui la sovrana ha saputo gestire e amministrare la monarchia. Elisabetta ha saputo risollevare l’immagine della corona, rimanendo sempre al passo coi tempi, accettando – non sempre con facilità – le spinte di una società proiettata verso il progresso. Ricordiamo come la sua incoronazione, trasmessa per la prima volta in televisione, è ancora oggi ricordata come il primo evento mediatico della storia della monarchia. Nel corso degli anni, i “video messaggi” alla popolazione, trasmessi in occasione delle festività più importanti, hanno saputo dare manforte, nei momenti di maggior sconforto, a una popolazione, quella britannica, legata atavicamente alla sua regina. 

Ed è proprio questo senso di sacralità collettiva, la visione di un popolo unito attorno al suo nome, l’ingrediente segreto: Elisabetta II ha sempre avuto al suo fianco una società multietnica e multiculturale, capace però di sentirsi, al suo cospetto, unita, coesa, indistinta. Quel popolo britannico capace di rimanere più di dodici ore fermo, in fila, ad aspettare, solo per rendere omaggio al feretro della sua regina, per ringraziarla un ultima volta. Nessuna di queste persona l’ha mai conosciuta personalmente, ma la sensazione è quella di aver perso una persona cara: il lutto collettivo riesce a rompere ogni barriera, fungendo, un ultima volta, da profondo collante culturale.

I sudditi londinesi a Buckingham Palace rendono omaggio alla regina.

Tale sentimento riesce, straordinariamente, a travalicare i confini del Regno Unito, arrivando fino a noi, rendendoci partecipi di un lutto che non ci riguarda ma ci appartiene. Il ricordo della regina Elisabetta che, con il suo humor tipicamente britannico difendeva una tradizione capace di resistere al mutamento, rimane impresso non solo nelle nuove generazioni – che trovano in lei una delle ultime commistioni tra ciò che si studia nei libri di scuola e ciò che si vive nel quotidiano – ma anche nei nostri genitori, legati alla corona dalla  figura di Lady. Per non parlare dei nostri nonni, cresciuti con le immagini di una sovrana capace di mantenere stabilità e valore nel turbinio del cambiamento. 

La regina resterà un’icona venerata anche oltre i confini del Commonwealth anche per il senso di dignità e fermezza con cui ha rivestito il suo ruolo istituzionale e sociale. In un’epoca in cui chiunque gode di una visibilità pubblica cerca di far parlare il più possibile di sé, indirettamente o direttamente, Elisabetta II è riuscita a preservare la propria sfera privata dalla pubblica piazza, dove molti sarebbero stati a dir poco bramosi di notizie e gossip riguardanti il suo quotidiano. L’immagine che la regina ha dato di sé combacia perfettamente con il suo incarico di regnante, assunto in giovane età e portato avanti con abnegazione fino alla morte. Forse ciò che colpisce della sua figura – e della sua dipartita – è l’umiltà con cui si è posta al servizio della propria nazione, senza sfruttare il prestigio conferitole per soddisfare il proprio egocentrismo.

Se questo comportamento appare scontato è solo perché Elisabetta II ha abituato il mondo a pensare che lo fosse, ma in un periodo storico basato sull’«economia del sé», come scriverebbe Guia Soncini, la sua scelta risulta tutt’altro che banale. La forza dell’immaginario attuale legato alla corona britannica deriva, in parte, da questa straordinaria capacità di anteporre la propria missione di regina alla spettacolarizzazione legata allo sfarzo, alla popolarità e alla casata. Un equilibrio, questo, difficile da mantenere; in occasione dei funerali solenni sorge spontaneo domandarsi se i suoi successori saranno all’altezza del suo esempio.

Arrivate a questo punto ci siamo poste un quesito fondamentale: partendo dal presupposto che la regina Elisabetta segna, drasticamente, la fine di un era, arriviamo a chiederci se noi, o le generazioni a noi successive, saranno mai testimoni di una figura capace di tale universalità. La morte di un identità così anti-polarizzante, fautrice di sacralità collettiva, ci porta a riflettere sulla mancanza, nel nostro contemporaneo, di personaggi storici iconograficamente riconoscibili, capaci di identificarsi come una costante assoluta in un fluire indeterminato e precario. 

Gli ultimi anni, tra guerre e pandemie, hanno portato la popolazione a vivere l’oggi con incertezza e turbamento, e più il tempo passa, più questo vuoto si percepisce. Fino ad oggi, l’Inghilterra ha avuto un potente connettore sociale, diventato globalmente simbolo di staticità, in opposizione alla dinamicità degli equilibri sociali, politici ed economici. La morte dell’ultimo pilastro del ‘900 acquisisce, a questo punto, un significato ulteriore: è la fine di un epoca storica fatta di ”grandi icone”, capaci di superare le frontiere nazionali, diventando un simbolo per intere generazioni. Nella nostra contemporaneità manca un’altra figura che sappia sopperire a questa perdita: il mondo risulta composto di piccole o grandi nicchie, caratterizzate da gusti, interessi e fedi politiche contrastanti. Le idee e i principi continuano a esistere; tuttavia, la fine del regno di Elisabetta II coincide, forse, con il tramonto dell’ultimo mito collettivo della nostra storia europea.

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https://en.wikipedia.org/wiki/Elizabeth_II

Francesca Manzoni

Redattrice di Cinema e Letteratura