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“Mordi e fuggi” di Alessandro Bertante – Premio Strega 2022

Di Niccolò Gualandris

Comunista, certo: già solo ascoltare il suono della parola mi esaltava. Era vera e potente, proiettata verso un futuro radioso che sembrava vicinissimo e a portata di mano. E io avevo bisogno di futuro, avevo bisogno di sentirmi in grado di cambiare qualcosa, di non sprecare la vita come mio padre e tutti gli uomini come lui.

La storia di Alberto Boscolo, si dipana nel triennio 1969-1972, tra la coda delle rivendicazioni studentesche e operaie, l’inizio della strategia della tensione e i prodromi degli anni di piombo. Sicuramente la distanza storica sta moltiplicando il numero di opere, fiction e non, ambientate in questo periodo di forti polarizzazioni e fermento politico e sociale. Tra gli autori c’è chi cerca un paragone forzato con i tempi che stiamo vivendo, ci sono gli eterni nostalgici della prima repubblica e chi vorrebbe provare a recuperare una parte del lascito dei ‘70: una politica più partecipata, gli ideali (forse) più trasparenti, un coraggio di esporsi pubblicamente che sicuramente manca. Chi non ha vissuto quegli anni -come chi scrive- non può immaginare il clima che si respirava allora ma l’abbondanza di approfondimenti, informazioni e retrospettive recenti contribuisce a creare un interesse verso la storia di ormai mezzo secolo fa, i cui echi si sentono spesso nel pubblico discorso.

Il libro di Alessandro Bertante riesce a raccontare, con ritmo, stile e stratagemmi del tutto romanzeschi, la storia di un ventenne che da studente si ritrova a far parte del primo nucleo della Brigata Rossa (in origine singolare), per poi abiurare la lotta armata dopo i primi arresti ai danni dei compagni.

Il protagonista, è frustrato dall’esaurirsi della spinta rivoluzionaria dei collettivi studenteschi milanesi e vede nei gruppi extraparlamentari a sinistra del PC la speranza di  un futuro migliore per la propria generazione, piena di speranze ma già delusa dalle promesse mancate del partito comunista italiano. Con naturalezza viene a contatto con il nascente Comitato Politico Metropolitano e lì conosce il primo nucleo brigatista, tra cui Renato Curcio.

Il passaggio dagli slogan alla lotta armata viene esposto dal narratore, che racconta in prima persona a una distanza imprecisata di anni, in maniera molto efficace. Si segue il filo di una logica che chiaramente può non essere condivisa dal lettore ma che ha una sua lucidità. Lo studente è frustrato dalla vuotezza dei discorsi dei compagni, intrisi di ipocrisia borghese e sconnessi dalla realtà che accade fuori dal centro di Milano, nei sobborghi di Quarto Oggiaro, nei nascenti quartieri-dormitorio per sottoproletari e immigrati meridionali, negli ambienti senza speranza nei quali al degrado imposto dai padroni si reagisce con tossicodipendenza e piccola criminalità. Dopo un primo anno di università passato “dentro a una sorta di allucinazione collettiva” decide che è arrivato il momento di staccarsi dall’entusiasmo sessantottino.

Poi c’è la strage di Piazza Fontana e la conclamata connivenza dello Stato con i neofascisti, gli attentati, i depistaggi e l’omicidio di Pinelli; tutto per preservare lo status quo del dopoguerra democristiano. Nel 1970 la notizia di un tentato colpo di stato da parte dell’ex-generale fascista Junio Valerio Borghese fa nascere in tutti gli ambienti di sinistra il sospetto (e per alcuni la certezza) che, da parte dei vertici nazionali ci sia la volontà di ritornare indietro, alla dittatura che aveva devastato il paese e portato alla guerra civile. La neonata Brigata Rossa fa una scelta radicale: la lotta armata contro i nemici del proletariato, sapendo di inimicarsi gran parte di quella che oggi chiameremmo “opinione pubblica” e una fetta importante della sinistra istituzionale.

Il lettore è invitato ad assistere allo sviluppo e ai primi anni di vita delle BR, da piccolo gruppo a organizzazione radicata e capillare; al crescendo di azioni eclatanti e simboliche che le porteranno alla ribalta ma anche alla profonda solitudine e al disagio esistenziale di chi sa di aver compiuto uno strappo irreversibile con la società.

Lungi dall’essere un romanzo apologetico o un’analisi storica, il racconto termina bruscamente con la fuga da Milano del protagonista nel 1972, durante la quale egli riflette su se stesso e su ciò che è successo:

Mordi e fuggi, scrivevamo aggredendo il presente. Colpire e scomparire per poi colpire di nuovo più forte, facendo breccia in un mondo ostile che poteva e doveva essere cambiato. Ma non c’era nessun futuro a nostra disposizione, nessuna domanda chiara, nessun dubbio che potesse mettere in forse le nostre sicurezze. C’era solo un esaltante presente, un presente che continuava all’infinito, colmando con la sua furia il nostro spazio vuoto. Non è la rivoluzione questa, non le somiglia neanche.

Alessandro Bertante restituisce uno spaccato sfaccettato e credibile della vita del giovane Alberto, riuscendo nell’importante compito  di districare parzialmente i nodi causali della nascita delle BR. Aiuta così i lettori a comprendere meglio le origini di uno dei fenomeni sociali principali degli anni ‘70 romanzando la storia di un anonimo brigatista. I limiti maggiori del testo si riscontrano però proprio negli elementi romanzeschi: accorgimenti stilistici rodati, storie d’amore, dubbi e ripensamenti, monologhi interiori del protagonista che trainano la narrazione e che potrebbero far storcere il naso ad alcuni lettori.

Mordi e fuggi. Il romanzo delle BR (Baldini+Castoldi, 2022, 130 pag, 17€) di Alessandro Bertante è candidato al Premio Strega 2022


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Niccolò Gualandris

Vicedirettore e redattore di Letteratura