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Fotogrammi di una giovinezza fantastica: l’inetto moderno di Bruno Pischedda 

di Valeria Lamastra

Con Muster. Una giovinezza fantastica, uscito nel 2024 per Zacinto Edizioni e ora nella cinquina finalista della quarantunesima edizione del Premio Bergamo, Bruno Pischedda chiude la sua Trilogia parallela, iniziata nel 1996 con Com’è grande la città e proseguita nel 2003 da Carùga blues.

Come già per le opere precedenti, l’atmosfera risulta incentrata sulla fervida scena dell’hinterland degli anni del boom, con tutte le sue sfaccettate dinamiche e relazioni di paese, andando a costruire una rappresentazione icastica del panorama adolescenziale e dei giovani adulti della periferia milanese in espansione.

Topograficamente, il cuore pulsante di Muster è il paese di Cesate, non distante da Saronno, investito dallo sviluppo architettonico e industriale di quegli anni, con inevitabili ricadute e conseguenze sulla popolazione locale, ora improvvisamente in una zona liminale tra il paesano e l’urbano, tra la campagna e l’industria.

A rendere particolarmente efficace la rappresentazione del caos adolescenziale e generazionale è la modalità di racconto. Retrospettivamente, il protagonista prosegue per strade collegate ma discontinue: senza creare un vero sviluppo cronologico narrativo procede per quadri, piccoli racconti, accosta fotogrammi minuziosamente descritti all’incrocio tra la propria percezione passata e la frammentarietà costitutiva del movimento memoriale. 

È infatti Umberto Beretta, Peretta, Berto, Muster a dare conto della vita del cesatese: uomo ormai adulto che ripercorre vicende e pensieri del sé giovane ragazzo, dal piglio pragmatico, a tratti goffo e dalla figuraccia e dallo scherzo facili che cerca di capire il mondo e le persone che lo circondano, pur non riuscendo sempre fino in fondo nell’impresa.

L’ancoraggio del lettore al suo punto di vista da adulto permette di restituire una descrizione e messa in scena degli episodi narrati particolarmente vivida, lasciando che la percezione dell’io adolescente, mischiata alla razionalità caratteristica del personaggio anche adulto, fornisca un flusso di pensiero genuino e mai banale.

L’immagine che risulta del protagonista è un po’ quella di un giovane inetto moderno, che si barcamena nelle relazioni interpersonali «derivando, ipotizzando»1 da bravo futuro matematico; non che sia uno sprovveduto, anzi, soprattutto grazie alla prospettiva adulta le analisi della realtà che lo circonda e degli eventi tendono a essere precise e pregnanti: tuttavia, non è difficile notare come il percorso di formazione di Muster si scontri in maniera difficoltosa con quello che è l’universo altro, il femminile, rappresentato in primis da Mirella, ma non solo.

Lo stesso soprannome Muster, mostro, infatti, deriva da una involontaria goffaggine nei confronti di una ragazza della quale complimenta insistentemente il leggero strabismo di Venere, senza rendersi conto del fatto che si tratti di un occhio di vetro e che tali attenzioni rechino alla ragazza non poco disagio. Ed è proprio riflettendo sul peso ingombrante dell’avere un soprannome come Muster che il narratore elabora la formula che meglio si fa emblema della percezione che il protagonista ha del ruolo delle relazioni con gli altri:

Al destino puoi rifiutarti, se credi, ma non alle coordinate personali, perché quelle le stabiliscono gli altri, convintamente o con la leggerezza del momento, con l’impulso, con l’estro, in definitiva con un minimo gesto artistico che la vince sulle rigidità anagrafiche.2

D’altronde, anche gli altri personaggi che abitano i luoghi di Cesate e la sua latteria sono definiti da soprannomi e nominati con frequentemente con familiarità: Luciano, Ruspi, Scordo, Peppo Parma, Momino, Billa, Tonino Forgione e molti altri sono i giovani che danno vita a episodi e bravate occasionali raccontate da Muster, dai rubinetti rubati all’amico che diventa star di film porno. 

L’accostamento delle vicende, evocate dalla memoria del narratore senza seguire un ordine temporale effettivo, permette di costruire un racconto per immagini e momenti salienti, un susseguirsi di fermo immagini e piani sequenza tipicamente cinematografico. La creazione di un simile effetto, inoltre, è sfruttata come perno per una costante e non invadente complicità con il lettore: in conclusione di una sezione dotata di particolare coesione contenutistica, la voce narrante tende a darne conto con espressioni come «Stop. Altro fermo immagine»3, «Stop. Fermo immagine numero tre»4, che, col proseguire della narrazione e in concomitanza del maggiore slancio emotivo, perdono precisione: «Stop. Fermo immagine, non so più se cinque o sei, e in che senso»5.

Inoltre, non poche sono le occasioni in cui il lettore assiste a confessioni e riflessioni del narratore, solitamente più distese in apertura di capitolo, in cui mostra platealmente tutta la propria consapevolezza di costruzione della trama: 

Non so perché tra le tante opzioni possibili ho iniziato proprio dalla notte del tortiglione. Anzi lo so benissimo, ma non mi sembra opportuno correre troppo avanti scoprendo carte e quarantotto. Ci vuole la velocità giusta, se si vogliono dire le cose: la velocità giusta e le soste, i rifiati, grazie ai quali uno capisce. […] Lineare o avvolgente o a testa-coda che sia, il racconto non cambia, e neanche il risultato.6

Non mancando di far percepire la postura dialogica e di orientamento nei confronti del lettore-spettatore: «Siamo a un dunque, in sostanza: a uno snodo essenziale per chi volesse comprendere la storia nel suo insieme e magari farne tesoro»7.

La combinazione di tali elementi dà forma a una retrospettiva non lineare, come se Muster adulto stesse stretto nella continuità caratteristica del medium libro; allo stesso tempo, il virtuosismo linguistico denota un profondo amore per le parole, volto, ancora una volta, a creare un racconto attento all’immagine e al montaggio visuale attraverso iconiche descrizioni: ne sono esempio l’iniziale scena del tortiglione («Il deposito era massiccio, e rimuoverlo avrebbe comunque comportato un danno, un residuo di mollizie e lordura da cui sarebbero discesi oneri ulteriori»8), le descrizioni della latteria e dei personaggi che la popolano, o ancora l’episodio relativo alla nube scaturita dall’esplosione alla vecchia polveriera. 

Se di Muster il lettore riesce a farsi un’idea più o meno chiara a livello caratteriale, delineando un giovane ragazzo che tende allo scherzo e alla brutta figura ma comunque ragionevole, futuro matematico, di difficile decifrazione resta il personaggio di Mirella. Come è inevitabile: ancorati al punto di vista di Muster, adulto o ragazzo che sia, non possiamo mai uscire dalla comprensione sfumata e chiaroscurale di Mirella che ha effettivamente il personaggio. 

Tutto quello che Mirella è, tutto ciò che rappresenta, a Muster rimane estraneo, incomprensibile: il senso di pesante responsabilità che grava sulle spalle di Mirella a causa della povertà della famiglia, la passione impossibile per l’arte, la gelosia non sempre perfettamente dissimulata nei confronti di Muster, l’emotività repressa nei suoi confronti, l’intento di trasgressione che non viene mai davvero compiuto. 

Ciò non vuol dire che il personaggio di Mirella rimanga passivamente un’incognita irrisolvibile per tutto il romanzo: il mistero che la avvolge dal punto di vista del protagonista è comunque fonte di stimoli e interrogativi per lui inediti, come l’idea della credenza religiosa come una scommessa che non si può perdere. Allo stesso modo, anche quando non è lei a offrire direttamente spunti di riflessione, diventa spesso oggetto di interrogazione per Muster: ne osserva attentamente movimenti e reazioni sia dopo aver bucato con la moto, sia quando vanno a visitare Mombello (esperienza traumatica che la rende ai suoi occhi una «non-Mirella»9, privata della sua consueta vitalità), e non è immune a cercare di capirne lo stato d’animo dopo che si trova nella condizione di abbandonare gli studi artistici.

L’ambivalenza del loro rapporto si mostra nella maniera più chiara per quanto riguarda le dimostrazioni di affetto e di amore più propriamente carnale, che non si consumano mai pienamente a causa di una ritrosia di Mirella che Muster non comprende ma di cui non si sorprende più: sono infatti situazioni ricorrenti che vengono presentate sia nei primi capitoli del romanzo, sia verso la fine, quando in maniera contraddittoria sembra quasi il protagonista a porre un freno a uno slancio particolarmente promiscuo della giovane e dell’amica.

Eppure, nonostante Mirella costituisca per lui un enigma, è tassello fondamentale della sua vita e delle sue memorie: le sequenze conclusive, che successivamente alla morte di Mirella contrappongono immagini di vita e morte, permettono al protagonista di unire i tasselli della propria memoria, rivelando nuovamente il ruolo fondamentale e pervasivo di Mirella, che si scopre mente gelosa dietro alla vicenda del tortiglione: «Ma in definitiva, Mirella ci teneva a me, non tollerava sviamenti, questo il succo del discorso»10.

A mostrare in maniera concreta l’affetto di Mirella e l’impatto che ha sullo scaturire della narrazione è il ritratto che fa di Muster, unico elemento a lei ricollegato che resiste la prova del tempo. Un’effige, «o se non un’effige, una fototessera, ma lungimirante, protesa con qualche rimpianto dal momento della realizzazione vero l’infinito», in cui Mirella si rappresenta e stabilisce un legame quasi profetico con il protagonista con le frasi I’m trying to remember e Remember me: «Intendendo: io ovunque mi trovi sto cercando di fare questo, tu dovrai fare quest’altro»11.

Nonostante lei venga meno a questo contratto, Muster la ricorda e la ricorderà sempre come pezzo fondamentale della propria esistenza, come emblema vitale di ragazza creativa ed energica che rimane ancorata al nucleo provinciale.


  1. B. Pischedda, Muster. Una giovinezza fantastica, Zacinto Edizioni, Milano, 2024, p. 87 ↩︎
  2. Ivi, p. 73 ↩︎
  3. Ivi, p. 43 ↩︎
  4. Ivi, p. 72 ↩︎
  5. Ivi, p. 132 ↩︎
  6. Ivi, p. 15 ↩︎
  7. Ivi, p. 65 ↩︎
  8. Ivi, p. 9 ↩︎
  9. Ivi, p. 129 ↩︎
  10. Ivi, p. 215 ↩︎
  11. Ivi, p. 198 ↩︎

Aratea Cultura

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Valeria Lamastra

Redattrice in Letteratura

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