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Primo Sangue di Amèlie Nothomb – Recensione Vincitore Premio Strega Europeo 2022

di Nicola Vavassori

La panoramica di quest’anno su tutti i principali premi letterari italiani si conclude con i due vincitori in ex-aequo del Premio Strega Europeo 2022: Primo Sangue di Amèlie Nothomb e Punto di fuga di Mikahil Shishkin (recensito qui). Questo riconoscimento per Primo Sangue – già premiato nel 2021 con il Prix Renaudot – è solo l’ennesimo successo che figura sui risvolti di copertina delle opere di Amélie Nothomb, autrice belga che di libri ne ha già pubblicati 30, ma afferma di averne scritti 100. Un curioso esito dell’inconscio – spiega a tal proposito l’autrice – è stato intitolare l’opera Primier sang, molto simile nella pronuncia a Primier cent, “primo cento”. Questo numero – continua la Nothomb – sarebbe piaciuto molto anche a suo padre Patrick, che adorava le cifre tonde, finite, piene.

Primo sangue

È proprio di Patrick Nothomb che parla il romanzo Primo Sangue. Rampollo di una delle famiglie più influenti della nobiltà belga – seppur decaduta -, Patrick diventò un diplomatico a 28 anni e, al suo primo incarico, venne inviato in Congo all’epoca della rivolta di Simba del 1964. Qui, nella città di Stanleyville (attuale Kisangani), i rivoltosi avevano radunato 1500 ostaggi nella hall del Palace Hotel. Fu la più grande presa di ostaggi della storia, ma ebbe “solo” 100 vittime grazie al ruolo di mediatore di Partick che, come un moderno Sheherazade, intrattenne i rivoltosi nel corso di infiniti colloqui e trattative inesistenti, per 4 interi mesi prima dell’arrivo dei soccorsi.

Patrick però ha un problema non da poco per un diplomatico in terreno di guerra: è emofobico, sviene alla vista del sangue. Nel codice cavalleresco, accanto ai duelli all’ultimo sangue, esistono anche quelli al “primo sangue”, dove basta ferire l’avversario per vincere lo scontro. Così la vita per Patrick si trasforma proprio in un duello al primo sangue, dove basterebbe ricevere una sola ferita per svenire insieme a tutta la sua credibilità di diplomatico.

Il romanzo si apre in medias res in questo contesto storico, con una scena iconica che richiama il racconto di Borges, Il miracolo segreto (in Finzioni). Qui si racconta la vicenda dello scrittore praghese Jaromir Hladìk che, condannato a morte, chiede a Dio un altro anno di vita per terminare la propria opera; così, nell’istante in cui sta per essere fucilato, l’universo intero attorno a lui si immobilizza, il tempo smette di scorrere al di fuori della sua percezione, dandogli modo di concludere l’opera nella propria mente, prima che il piombo lo raggiunga uccidendolo. Anche Patrick Nothomb nell’incipit di Primo Sangue si trova di fronte a un plotone di esecuzione e, aspettando la morte, ricorda il resto della vita.

Veniamo così catapultati nell’infanzia di Patrick, cresciuto prima da una giovane madre vedova di un soldato, poi dal nonno paterno, capostipite dei famigerati Nothomb, nobili decaduti che muoiono di fame in un castello. Due personaggi – la madre e il nonno – caratterizzati con una raffinatezza notevole: i loro chiaroscuri sono pregni dell’ambiguità degli esseri umani al di fuori di un libro. Mamma Claude, ad esempio, si dedica meno del necessario a un Patrick che, con la sua spensieratezza da neonato, sembra dover rimpiazzare la felicità del matrimonio. Mentre frequenta l’alta società si fa fregio del lutto precoce, senza mai accettare avances di altri uomini. Quando un famoso pittore realizza un suo ritratto, raffigurandola più bella di quanto fosse, ma soprattutto “consenziente” ad un flirt che si era gradualmente creato tra i due, Claude schifa il quadro – che pur adora – giudicandolo irrealistico, vergognandosi di esser stata colta in flagrante.

La sublime caratterizzazione dei personaggi, però, non è l’unico pregio che ha assicurato a Primo sangue la vittoria dello Strega Europeo. Infatti ciò che più rende apprezzabile quest’opera è forse la sua leggerezza. Amélie Nothomb – potremmo dire – realizza la prima “lezione americana” di Calvino e rende Primo sangue – così come anche la maggior parte dei suoi precedenti romanzi – un capolavoro di leggerezza, che scorre senza prendersi sul serio, ma senza sacrificare alcun significato. Non servono tomi chilometrici, sembrano dire le 117 pagine di questo libro, per raccontare una storia che faccia ridere e che faccia piangere. Così come basta mezza pagina per caratterizzare la figura della mamma Claude nell’episodio del ritratto, allo stesso modo il resto della vicenda si spoglia di qualsiasi appesantimento. Le immagini rievocate sono filtrate dallo sguardo sognatore di un bambino, ma non per questo si indugia sui particolari crudi di una società alla Dickens, dove la povertà e la morte stanno dietro l’angolo. Le riflessioni impegnate – come quella sul valore della poesia oggi, centellinata tra le pagine centrali del romanzo – non sfociano in un romanzo saggio o in un romanzo a tesi, ma si lasciano raccontare da un’autrice senza pretese da vate.

L’autrice è riuscita a immedesimarsi negli occhi del padre raccontando la sua storia alla prima persona singolare. Una sinergia che, a detta della stessa Nothomb, si è realizzata con naturalezza, senza sforzo. In questo modo l’autrice ha potuto rendere omaggio a suo padre Patrick, venuto a mancare il 17 marzo 2020, primo giorno di quarantena in Francia: per questo Amélie non aveva potuto salutarlo e, un anno dopo, ha deciso di rielaborare il lutto nel modo migliore che conoscesse: scrivere.

Ma c’è anche un altro elemento che fa tirare una boccata d’aria fresca: in un’epoca come la nostra, piena di proteste sociali e di critiche al conservatorismo, per una volta il protagonista è un uomo; un uomo reale, senza stereotipi, rappresentato con coerenza lungo le avversità della sua vita; un uomo normale, rispettoso delle donne, capace di sognare, semplice nei propri desideri (“voglio fare il portiere di calcio”), umano nelle sue paure. Assurdo pensare che ultimamente nella letteratura contemporanea ci sia stato sempre meno spazio per le figure come questa. E non è un caso che un protagonista simile compaia anche nel secondo vincitore dello Strega Europeo, Punto di fuga: entrambi i romanzi si distinguono dalle altre 3 opere in gara, che invece sono fortemente incentrate su figure femminili vittime di figure maschili.

Con ciò non si vuole dire che episodi come quelli raccontati in Un amore, Euforia  e Atti di sottomissione non meritino di essere raccontati perché parlano di donne. Al contrario: il loro valore è indiscutibile. Ma, dal punto di vista dell’originalità, il pubblico quest’anno sembra aver prediletto le opere di un altro tipo.


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