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Punto di fuga di Mikhail Shishkin – Recensione Vincitore Premio Strega 2022

di Nicola Vavassori

La sensazione che si prova parlando di Punto di fuga di Mikhail Shishkin, probabilmente, è la stessa che si proverebbe dovendo recensire un romanzo come Memorie del sottosuolo prima che diventasse famoso come un capolavoro della letteratura di tutti i tempi, magari dopo aver cercato online qualche intervista di Dostoevskij.

Basterà questa iperbole per rappresentare la soggezione e l’imbarazzo che toccano un critico di fronte a un autore che è stato definito da The Guardian come “il migliore scrittore russo vivente”, nonché l’unico ad aver vinto tutti e tre i maggiori premi letterari russi: il Russian Booker Prize nel 2000 con La presa di Izmail; il Russian National Bestseller nel 2005 con Capelvenere; il Big Book Prize nel 2010 proprio con Punto di fuga. Con il romanzo in questione, quest’anno, Shishkin ha vinto anche il Premio Strega Europeo 2022 (in ex-aequo con Primo sangue di Amelie Nothomb, recensito qui).

È dalla prima pagina, dalla prima riga di Punto di fuga, che si percepisce la potenza di un’opera destinata – se davvero esiste una corrispondenza tra qualità e fama – a sopravviverci.

Apro il giornale di ieri, parlano di noi due. Scrivono che in principio sarà di nuovo il verbo.

Mikhail Shihkin – Punto di fuga

Come nei migliori proemi, in questa manciata di parole sono riassunti i temi centrali del romanzo. A partire da questa frase, dunque, giochiamo a tracciare una serie di linee prospettiche come dei moderni Brunelleschi, per sviluppare le campiture dell’opera.

Punto di fuga

Noi due

“Noi due” è la prima strada da seguire, la più immediata, la più semplice da comprendere, perché quando c’è amore la prima persona singolare si fa plurale, l’uno diventa due. Infatti Punto di fuga, prima di tutto, è un romanzo d’amore. Lui, Volodja, è un giovane scrittore arruolatosi come volontario in Cina, nella guerra dei Boxer del 1899, dopo aver bruciato tutti i propri manoscritti. Lei, Saŝka, lo attende in Russia barcamenandosi nelle vicissitudini della vita quotidiana. Entrambi, lungo il proprio cammino, esplorano il senso della vita e della morte, si scambiano lettere e riflettono sulla propria esistenza.

Volodja abita un mondo di morte e descrive gli orrori della guerra insensata. Ma più si avvicina alla morte, più si sente pervaso da un fremito di vita ungarettiano, che stringe le viscere e rivela tra le lacrime un profondo attaccamento sia al proprio passato sia alla sua amata Saŝen’ka.

È difficile spiegare, ma se sto ancora respirando e vedendo è solo perché ti amo.

Mikhail Shihkin – Punto di fuga

Saŝka abita invece la vita, la tranquillità della città, ma qui si trova ad affrontare la tragedia del lutto, il gelo della solitudine. Speculare e complementare al suo amato, Saŝka è il binario parallelo a Volodja: le riflessioni dell’uno integrano e sviluppano quelle dell’altra senza che tra i due ci sia mai un vero contatto. La vita che freme nella morte e la morte che irrompe nella vita.

Oggi ho camminato nel nostro parco. Stavano giusto coprendo le statue per l’inverno con pannelli di legno. Sembrava che le chiudessero dentro alla loro bara. […] Sono rimasta a guardare. Non riuscivo ad andarmene. Ero un pezzo di marmo. Era me che chiudevano dentro. Sono io nella bara.

Mikhail Shihkin – Punto di fuga

Entrambi, a modo loro, raggiungeranno una personale saggezza. È lo stesso autore a spiegare che attraverso la guerra gli uomini accorciano il proprio percorso verso la saggezza, perché l’incontro con simile atrocità permette loro di maturare più velocemente, nella comprensione dell’insensatezza della vita. Le donne, invece, devono attraversare un percorso più lungo e comprendono la vita attraverso il primo amore, il matrimonio, la maternità. Il filo rosso della scrittura, tuttavia, unisce Volodja e Saŝka, che crescono insieme attraverso le proprie lettere.

Questo è un libro che narra di ciò senza il quale non si può vivere: il calore umano.

Mikhail Shihkin – Presentazione della cinquina finalista del Premio Strega Europeo 2022, 18 Maggio

Il giornale di ieri

Una delle immagini più ricorrenti del romanzo è quella del giornale aperto, che mostra in prima pagina notizie dalla guerra e in ultima pagina un cruciverba. Questa immagine è la perfetta esemplificazione di Volodja e Saŝka, due binari paralleli che si incontrano in un punto di fuga e, pur trovandosi su pagine opposte, tornano vicini quando il giornale si chiude. Il concetto ricorre anche nei discorsi di Shihkin, che utilizza il giornale come metafora della vita.

La vita che stiamo vivendo, io la chiamo “giornalistica”, “da giornale”. Ciò che leggiamo oggi sui giornali, l’indomani è già passato. Così anche noi siamo transitori. Esiste però anche un’altra realtà: quella dell’arte e della letteratura, dove non esiste la morte. È in quest’ultima realtà che i due protagonisti si scrivono le lettere, senza attendere le reciproche risposte. Perché questo è il senso dell’arte: se un essere umano ascolta la musica, che è immortale, anche lui diventa immortale. Il privilegio che ha un autore è quello di far diventare le proprie opere immortali, mentre lui rimane mortale.

Mikhail Shihkin – Presentazione della cinquina finalista del Premio Strega Europeo 2022, 18 Maggio

Questa contrapposizione tra la vita transitoria e la parola immortale è esemplificata nel romanzo attraverso una discrasia temporale molto netta tra le lettere. I due amanti non si rispondo direttamente, anzi, per quanto ne sappiamo ricevono a malapena le lettere l’uno dell’altra. Ma comunque scelgono di scriversi interminate riflessioni, fiduciosi del fatto che si leggeranno a vicenda, scegliendosi come destinatario evanescente del proprio monologo interiore. Chi ha già letto il romanzo, poi, intravedrà tra le righe di questa recensione spoiler-free un ulteriore livello interpretativo dell’opera.

La scrittura diventa il mezzo con cui cogliere la realtà, ma al contempo la bugia che impedisce alla vita di scorrere in modo autentico. La parola è l’origine dell’esistenza, fin da quando qualcuno scrisse che “in principio era il verbo”, e insieme è il velo di Maya che non potrà mai rappresentare davvero il senso del creato. Come ci ricorda Shishkin, però, è anche l’unico strumento che permette all’amore di trascendere la solitudine, la distanza, la morte.

Le parole di Volodja a Saŝka ricordano quelle di Kafka a Milena:

Tutta l’infelicità della mia vita […] proviene, se vogliamo, dalle lettere o dalla possibilità di scrivere lettere. Gli uomini non mi hanno forse mai ingannato, le lettere invece sempre, e precisamente non quelle altrui, ma le mie. […] La facilità di scriver lettere […] deve aver portato nel mondo uno spaventevole scompiglio delle anime. E’ infatti un contatto con fantasmi, e non solo col fantasma del destinatario, ma anche col proprio che si sviluppa tra le mani nella lettera che stiamo scrivendo […] . Come sar nata mai l’idea che gli uomini possono mettersi in contatto tra loro attraverso le lettere? […] Scrivere lettere però significa denudarsi davanti ai fantasmi che ciò attendono avidamente. Baci scritti non arrivano a destinazione, ma vengono bevuti dai fantasmi lungo il tragitto.

Franz Kafka – Lettere a Milena, Praga, fine marzo 1922

In principio sarà di nuovo il verbo

Alla fine tutto converge nello stesso punto di fuga, la morte, che annulla le distanze di spazio e di tempo. Questo è il messaggio centrale dell’opera di Shishkin, un tema ricorrente in filosofia e letteratura, ma raramente esemplificato con tanta dolcezza ed eleganza come in quest’opera. Punto di fuga, di conseguenza, non è un romanzo semplice e richiede grande pazienza e meditazione. La trama è quasi assente, ma ciò non penalizza affatto il racconto di due protagonisti tridimensionali e sfaccettati come Volodja e Saŝka.

È un romanzo di ossimori, come suggerisce la stessa espressione “In principio sarà di nuovo”. Ed è soprattutto un romanzo di ricordi e di immagini. Shishkin infatti riproduce con maestria tutti quei giochi di metafore e di riferimenti segreti che due innamorati si rivolgono in confidenza. Leggendo questo libro sembra così di essere inclusi come spettatori evanescenti in un dialogo tra due intimità che comunicano attraverso un proprio codice linguistico, accennando con uno sguardo di intesa a qualcosa che solo loro – e pian piano anche il lettore – possono comprendere. Nelle ultime lettere, addirittura, l’immaginario favolistico di queste metafore, generato gradualmente dalla sola potenza della parola nel corso di quasi 400 pagine, conduce il lettore fino ad un luogo metafisico dove si conclude la vicenda.

Scrivere tutto ciò senza risultare stucchevoli o ripetitivi è forse il principale segnale dell’originalità di quest’opera.

La critica alla dittatura di Putin

Punto di fuga, infine, è anche un romanzo visionario e tristemente profetico. Infatti l’opera è stata pubblicata per la prima volta nel 2010, mentre nel 2022 è stata tradotta in italiano da Emanuela Bonacorsi per la casa editrice 21lettere (a cui va un plauso per la scelta editoriale di pubblicare ogni anno solo 6 libri, di grande qualità – ma a anche una piccola critica per la scelta grafica della copertina che, a mio parere, non rende onore al contenuto).

Già 12 anni fa Shishkin aveva mosso un’aspra critica alla politica del proprio paese, intravedendo per il futuro prossimo della Russia una guerra imminente con l’Ucraina (che sarebbe poi iniziata nel 2014 proprio con l’annessione della Crimea e culminata nei tragici eventi del 2022). Per evitare la censura completa, però, l’autore scelse di ricorrere al più classico degli espedienti letterari che si utilizzano per criticare la contemporaneità: ambientare la propria opera non nel futuro, ma nel passato.

Prima ancora che io mi mettessi a scrivere questo romanzo, avevo previsto e detto: credetemi, la futura guerra sarà contro l’Ucraina per la presa della Crimea. Ma io avevo bisogno di una metafora per questa guerra futura, e allora ho ambientato Volodja, il mio protagonista, in quella guerra inutile, senza senso, sanguinosa che fu la Rivolta dei Boxer. E adesso vediamo migliaia di Volodja che stanno morendo nella guerra che viviamo oggi.

Mikhail Shihkin – Presentazione della cinquina finalista del Premio Strega Europeo 2022, 18 Maggio

Dalla metà degli anni Novanta, Mikhail Shishkin, di padre russo e madre ucraina, vive in Svizzera, a Zurigo, lavorando come traduttore e insegnante per i rifugiati.  Nel 2013 si è rifiutato di rappresentare la Russia all’EXPO degli USA e ad oggi nella sua terra natale è considerato un dissidente politico. Le sue parole condannano duramente il regime dittatoriale di Putin che, come l’autore ci tiene spesso a ribadire, hanno reso il russo la lingua degli assassini. Il suo discorso in una delle serate di presentazione del Premio Strega Europeo 2022 esemplifica il suo pensiero. Lo abbiamo riportato integralmente qui sotto.


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