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“Randagi” di Marco Amerighi- Premio Strega 2022

Di Benedetta Ricaboni

“Ai miei tempi…”. Questo è l’inizio di almeno il 99% delle frasi che fa infuriare di più noi giovani. “Ai miei tempi eravamo disposti a fare sacrifici, voi giovani, invece, no”. “Ai miei tempi si andava a lavorare a tredici anni, a venti ci si sposava e si facevanoo figli; voi giovani, invece, pensate solo a divertirvi, non avete valori”. Ai miei tempi. Tre semplici parole a cui vorremmo rispondere con un enorme “Vaffanculo“. Sì, vaffanculo, perchè probabilmente nessuno di questi retori-polemisti improvvisati si è mai fermato a pensare ai nostri tempi: guerre, crisi economica, tasso di disoccupazione alle stelle, il peso della consapevolezza che ad ereditare un mondo martoriato, stanco e malato saremo noi, non loro. E come dovremmo reagire quando tutto ciò che ci circonda non fa altro che ricordarci quanto disorientante sia essere giovani di questi tempi? Cosa succede quando “l’età migliore”, “il periodo più bello della vita” ci vede in realtà smarriti, impauriti e incapaci di rimanere su quei binari che gli adulti danno per scontato debbano essere ben definiti e ritti, ma che in realtà sono sbilenchi, rotti, deviati, perchè ci stanno togliendo tutti i mezzi che abbiamo per costruirli? Marco Amerighi ,nel suo nuovo romanzo “Randagi“, con un’ incredibile dolcezza e, al tempo stesso, con una dolorosa crudezza, si fa carico di quella generazione di impauriti e sbandati a cui tutti sentiamo un po’ di appartenere, rendendosi portavoce non solo delle sue problematiche e dei suoi timori, ma anche di quella consapevolezza che è latente in ciascuno di noi: nonostante tutto sembri andare in pezzi, non siamo ancora disposti ad arrenderci.

Pietro Benati non è e è destinato a non essere

“Trovava insopportabile l’idea di scomparire”

Marco Amerighi, Randagi, Bollati Boringhieri, Torino, 2021,p.1.

Pietro Benati, protagonista di Randagi, non è : non è un bambino perfetto, nasce “prematuro, sottopeso, imbronciato, con […] l’espressione di chi se ne sarebbe volentieri rientrato da dove l’avevano cacciato…”, (Ivi, p. 27). Non si sente legato alla famiglia, anzi, se ne sente quasi scollato, e per spiegarsi questa lontananza adduce i motivi che solo un bambino potrebbe presentare, dai problemi alla vista che lo rendono l’unico in famiglia a portare gli occhiali, al difetto di pronuncia della s che emerge sempre nei momenti di imbarazzo. Non è uno studente modello, anzi, “… si era limitato a frequentare stancamente il liceo linguistico (Ibidem) “; non è bravo con le ragazze, tanto che la sua prima vera cotta è Edda Magnini, violoncellista nevrotica di trentasei anni che ,attraverso una roccambolesca serie di giochi erotici che terminano sempre con i crolli nervosi di lei e l’esistenza di un marito e una figlia che il giovane scoprirà nel peggiore dei modi, contribuirà a far crescere in Pietro l’amara consapevolezza che nemmeno nell’amore gli sia possibile realizzarsi. La cosa peggiore, però, è che Pietro Benati è consapevole di essere destinato a non-essere: i genitori, Tiziana, una casalinga ipocondriaca e asfissiante, e Alberto, un incallito giocatore d’azzardo che non perde occasione per mettere nei guai l’intera famiglia, hanno convinto i figli che il destino di tutti i Benati maschi sia quello, prima i poi, di sparire. E poco importa se le sparizioni dei maschi Benati siano semplicemente frutto della loro inettitudine e del loro egoismo, come nel caso di nonno Furio, sparito in Etiopia nel 1936 e ricomparso poche settimane dopo, con una nuova famiglia in una terra desolata dell’Africa, o del padre Alberto, volatizzatosi per un mese dopo aver perso l’ennesima scommessa e riapparso con un mignolo mozzato da qualche creditore spazientito: secondo i due coniugi, sugli uomini di casa Benati aleggia una maledizione che ,prima o poi, colpirà anche Pietro. Due certezze, però, il protagonista le ha: è fratello di Tommaso, giovane brillante che eccelle in tutto ciò che fa, ed è deciso a diventare un grande chitarrista. Questi due pilastri da soli, però, non bastano: Pietro continua a non-essere, non riesce a sfondare nel mondo della musica, nè ad entrare in quello dell’insegnamento, suo piano b, non riesce ad essere come Tommaso, bravo con le ragazze, simpatico a tutti, così brillante da vincere una borsa di studio per la Columbia University di New York, o ad essere il sostegno di cui sua madre Tiziana avrebbe bisogno quando il marito viene arrestato per aver truffato mezza Pisa, promettendo alle persone più disperate dei farmaci miracolosi che, a suo dire, avrebbero curato il cancro. Pietro cede davanti ad un mondo in cui non riesce ad orientarsi e in cui non c’è nessuno che lo aiuto a farlo (tutti “i grandi” che lo circondano si rivelano deludenti, pronti a fregarlo appena ne hanno occasione, come suo padre Alberto) e di cui ha troppa paura per poter prendere delle decisioni, così si autoconvince che lottare, vivere, non abbia senso.

Magari era quello il suo vero talento, lo scopo della sua esistenza. Piantare i piedi, restare immobie. Vivere al buio per smaltire un dolore […] Del resto, cosa gli avevano fruttato gli ultimi dieci anni di vita, se non una delusione dietro l’altra?

Marco Amerighi, Randagi, Bollati Boringhieri, Torino, p.94

In suo aiuto, però, giunge ancora una volta il fratello Tommaso, che lo sprona e lo spinge a cercare una sua strada, perchè “La vita vera è fuori. E non è rifiutandoti di guardarla che smetterà di esistere” (p.95). Ed è così che Pietro Benati decide di non arrendersi, di raccogliere quel guscio vuoto che è stata fino ad ora la sua esistenza e provare, finalmente, ad essere: decide di abbandonare Pisa e quella famiglia disfunzionale che non fa altro che farlo sentire in difetto, iscrivendosi alla facoltà di lingue andando, come un randagio, a cercare la felicità altrove.

Il lungo periodo di disgelo: Dora e Laurent.

Pietro decide di concludere quello che chiama il suo “…lungo periodo di disgelo” (Ivi,p.124) con un Erasmus a Madrid, così da dimostrare a se stesso e a Tommaso, che anche oltre oceano continua a spronarlo, o meglio, a pungolarlo, di aver definitivamente rotto il guscio dentro il quale si era barricato per una vita. Ed è proprio a Madrid che Pietro inizia ad essere, ad accendersi e ad animarsi. L’aspetto più interessante di quella che Amerighi chiama “parte seconda” del suo romanzo è l’impredivibilità: ogni incontro, ogni conoscenza, ogni amicizia che Pietro stringe fa sorgere nel lettore il sentore che qualcosa stia per accadere, per cambiare nella vita di questa sorta di Martin Eden moderno, senza però sapere che, puntualmente, i risvolti saranno inaspettati. Ed è così che Pietro, inaspettatamente, non solo inizia a vivere, ma a riempire la vita degli altri, diventando il perfetto compagno di studi per Beatriz, giovane che finirà per innamorarsi di lui, senza però che Pietro se ne accorga davvero, e lo spettatore involontario dei monologhi etilici di Davide, compagno di studi che è fermamente convinto del fatto che lui e Pietro siano “… una specie di mutazione genetica tra Leopardi e Kurt Cobain…”, inclini alla sofferenza e destinati a non “…sentirsi a loro agio da nessuna parte“. (Ivi, p.104). Il protagonista, randagio in una Madrid descritta in maniera quasi cartografica, cerca di uniformarsi ad una normalità che non gli appartiene, fatta di feste in cui si sente a disagio e uscite con ragazze che puntualmente si rivelano deludenti, finchè non incontra le due persone che si scopriranno complici di quella sensazione di non-appartenenza che non lo abbandona nemmeno dopo aver abbandonato la propria casa pisana: Dora e Laurent.

Pietro, Dora e Laurent: storia di tre randagi che non si arrendono.

Cosa unisce una giovane impertinente e sfrontata con la passione dei film horror e un giovane gigolò francese che affronta la vita un quarto di droga alla volta? Inaspettatamente, uno come Pietro Benati. Dora è logorroica, spaccona, alle volte snervante, soprattutto quando insiste del ricordare a Pietro quanto lui sia “…un caso disperato“, ma il lettore fin dall’inizio sente che sotto la superficie Dora nasconde ben altro , “…un’altra persona, affetta dal suo stesso sperdimento e in attesa di un miracolo” (Ivi, p.148). È in quest’ottica che chi legge non riesce a non empatizzare con lei e a non comprendere il perchè si ostini così tanto a cercare la verità dietro al suicidio del padre, ad andare a letto sempre con l’uomo sbagliato e a vomitare addosso al primo conosciuto (Laurent) tutta la storia della sua vita: sta tentando. Sta tentando di trovare un appiglio, un punto di riferimento in una vita che, per la sua giovane età, è già fin troppo devastata. Laurent, invece è il coinquilino di Pietro e tra un appuntamento con una delle sue clienti, una sigaretta intinta nella cocaina e le serate passate a sparare col fucile a pallini, non solo aiuta Pietro a uscire dal suo guscio, ma condivide quotidianamente quella natura randagia che appartiene ad entrambi, quel loro essere simili ad un “… fiume […], che escorreva incessantemente avanti, senza punti di attracco“. (Ivi, p.122). I tre randagi diventano così l’uno il punto di riferimento dell’altro, anche se forse se ne accorgeranno solo anni dopo, quando, dopo essersi persi per anni, si ritroveranno a Viareggio, reduci da traumi, lutti e morti sfiorate, convinti di aver perso sì qualche battaglia, ma di poter ancora vincere la guerra contro un mondo che li vuole decisi, cattivi e affamati di qualcosa come i gli attori degli sconvolgimenti politici e sociali che fanno da sfondo alle loro vite, dal G8 di Genova del 2001 ai movimenti studenteschi dell’Onda del 2008. In quest’ottica, i personaggi del nuovo libro di Marco Amerighi diventano i protagonisti di un romanzo di formazione: disorientati, delusi e stanchi, in un mondo a cui sembrano non appartenere saranno in grado di trovare e coltivare le loro speranze e i loro valori , rifiutando l’idea di sparire e aggrappandosi alla consapevolezza che non devono “… smettere di lottare” (Ivi, p.375).


Bibliografia:

Marco Amerighi, Randagi, Bollati Boringhieri, Torino,2021.

Arateacultura

https://www.bollatiboringhieri.it/libri/marco-amerighi-randagi-9788833937366/

Benedetta Ricaboni

Redattrice di Letteratura