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Sulla Montagna – Fantastico Italiano #1

di Massimiliano Mari

1

Batte i piedi ritmicamente, dondolando su sé stesso seguendo un motivetto immaginario, ciondolando. Ha perso il conto delle ore: non sa da quanto tempo sta aspettando, pazientemente in fila, arrancando per guadagnare qualche centimetro. Osserva la schiena della vecchietta di fronte a lui e capisce che ormai conosce ogni angolo, ogni cucitura del suo giaccone. Sbuffa. Non è per niente divertente, e dovrebbe essere in vacanza. Si gira, guarda dietro di sé e prova un piccolo piacere sadico nel vedere quanta gente non ha ancora raggiunto il punto che invece lui ha già conquistato.  Molto effimero. Manca ancora tantissimo per arrivare al traguardo, che sembrava così a portata e in realtà non si avvicina mai. La fila avanza. Un passettino, mezzo metro. Poi, ancora fermi. Stringe i pugni, infilati nei guanti, e gli viene voglia di urlare. Si concentra, cerca di pensare ad altro, lascia la mente vagare. Odia le file: è insopportabile questo starsene intruppati, ore e ore, ad aspettare inerti. Suda: il sole batte forte, impietoso, e oggi il cielo è limpido, senza la minima nuvola. Meglio così, dice a sé stesso. Un temporale senza la possibilità di un riparo sarebbe deleterio per il suo umore: poi sorride, pensando che, se si alzasse il vento, la vecchietta, minuta com’è, rischierebbe di volarsene via. Quello dietro si avvicina troppo, riduce lo spazio prossemico, spinge: dove vuole andare, accidenti? Si volta di nuovo e lo affronta, gli appoggia una mano sul torace, alza la voce. L’altro borbotta appena, abbassa gli occhi e ristabilisce la distanza. Così si fa, bisogna sapersi imporre nella vita. Più giù, un altro tafferuglio finisce a botte: gente meno accomodante, evidentemente. I due si azzuffano, escono dalla fila, rotolano. Cavolo, pensa lui, bisognerebbe avere un poco più di cervello. Non si risolve nulla, così. La tensione e la stanchezza sono alte, però: se ne rende conto. Sospira. Poi pensa: accidenti, io sono qui. Ce l’ho fatta. Allora toglie un guanto, prende il telefonino, sorride e si scatta un selfie.  Lo abbellisce, lo filtra e lo posta su Instagram: guardatemi! Il telefono è ricalcitrante, la foto non parte. Vai a fidarti della tecnologia. Sarà un punto in cui c’è poco campo, più avanti magari migliora.  Andiamo avanti, allora. Forza. Il problema è che là in fondo c’è un imbuto, una strettoia in cui si passa uno per volta con difficoltà, e bisogna fare a turno anche con quelli che tornano. Lentamente.  Si chiede come farà la vecchietta di fronte ad affrontare quel passaggio. Ha una bella fibra. Pensa a sé stesso e si accorge di quanto sia stanco in questo momento. Ha voglia di tornare indietro e andarsene a dormire.  Nessuno della fila rinuncia, però, e non sarà certo lui ad arrendersi. Una folata di vento gli colpisce il viso. Freddo, molto freddo. Si abbassa la cuffia sulle orecchie. Tutto a posto, si dice: a 7.000 metri è normale.

2

– Sei sicuro? Mi sembra un’idea stravagante…

Lei lo guardava con le mani intrecciate, morbide, in piedi vicino alla scrivania. Con i capelli scarmigliati e le ciabatte era al sicuro, a suo agio nella quotidianità della sua casa: era comunque bella, di una bellezza consolidata, senza dubbi. Una linea di preoccupazione le separava le sopracciglia e le tendeva lievemente le labbra. Lui, seduto al computer, non le badò e le lanciò a malapena uno sguardo.

– Ma no. Lo fanno tutti quelli che contano.  Persino il mio capo ci sta pensando.

– Ma se ha sessant’anni…

– Appunto. Oggigiorno è facile, con le nuove tecnologie. E poi è il trend del momento. Non sei nessuno se non dimostri che hai le palle.

Lei girò il viso verso la parete a destra, senza guardare nulla: – Potremmo andare al mare. Io e te. Magari ci farebbe bene. Farebbe bene a tutti e due.

– Abbiamo sempre tempo per farlo, magari l’anno prossimo. Sono mesi che ne stiamo parlando e che lo sto preparando, non vorrai polemizzare adesso, no?

– Tu, ne stai parlando – il tono si fece più aspro, più diretto – Ce lo possiamo permettere?  Costerà molto. Abbiamo l’università di Andrea. Il mutuo della casa.

– Quello è quasi finito. E poi userò la mia liquidazione dell’anno scorso. Così almeno spendo i miei soldi.

– Sono più di centomila dollari…

– Ma va’. Le cose cambiano. Guarda, ci sono compagnie che offrono pacchetti a trentamila. Tutto compreso.

Girò lo schermo verso di lei, mostrandole le offerte speciali lampeggianti. Una signorina in bikini reggeva un paio di occhiali da sole polarizzati.

– Ma cosa ne sai! – Sbraitò lei stizzita. – Tu non sai niente di queste cose! L’unica volta che hai visto la neve è stato per sciare a Cortina! Come fai a capire che quello che ti vendono è adeguato?

– Sono compagnie fidate. Vanno continuamente avanti e indietro, hanno le loro guide. E poi è per questo che mi sono preso un mese e mezzo di ferie. Ci vuole un periodo di addestramento, al campo. Loro lo sanno. Si fa così.

– Insomma, hai già deciso.

– Lo sai che ho deciso!! È importante, per il mio lavoro!

– Per il tuo lavoro. Certo. Sei un project manager…

Lui abbassò la voce, addolcendola, cercando di farle capire: – Sai cosa intendo. È una questione di immagine.

– Giusto, – sospirò lei- immagine. Andrai a salutare tua madre?

– Che c’entra questo, adesso?

– È tua madre….

– Ma se nemmeno mi riconosce. Non sa più nemmeno chi sono.

– Lo sai tu, però. – Sottolineò lei posandogli una mano sulla spalla, cercando un contatto.

– Vedrò. Mi irrita quel posto. Mi deprime vederla così: non è più mia mamma, è una vecchietta in un letto e basta, persa nel suo mondo. Secondo me a questo punto crede di avere dodici anni.

Lei staccò la mano, di colpo, espirando forte. Lui si irrigidì sulla sedia, preparandosi all’ennesima tempesta.

– Ciao papà, ciao mamma! – Una ragazzina uscì dalla cucina con il suo sorriso smagliante e uno zainetto rosa sulle spalle.

– Ciao tesoro, ci vediamo più tardi. – lei si distrasse dall’imminente litigio e si diresse verso la figlia, per sistemarle i capelli e darle una carezza.

Lui sospirò, grato del pericolo scampato. Tornò ad affondare lo sguardo nel pc, e Facebook lo gratificò con un’improvvisa pagina pubblicitaria: “Ascensioni full-optional a 35.000 dollari, compreso il Giro della Morte!” Wow.

3

Adesso il mondo è avvolto in una soffice coltre grigia. Nebbia. Una nuvola, forse. L’effetto è straniante: la fila, davanti e dietro, svanisce nell’indistinto, nell’indeterminato.  Senza fine, e senza inizio. Tutti fermi, ancora.  Sono ore che non succede nulla, che non si avanza più. Chissà là davanti cosa hanno combinato.  Ne fanno le spese tutti, accidenti. Dondola sul posto, lentamente, cercando di scaldarsi. Il freddo. Il freddo è terrificante. Non aveva idea, non si immaginava una morsa simile. Una gigantesca tenaglia che ti stritola le ossa. Non è di consolazione pensare che lo sta dividendo con gli altri.  Nuova folata di vento, nuova coltellata ghiacciata. Mamma mia. È strano: aveva pensato di trovare, verso la fine, cose come corde, chiodi, scalette. Forti pendenze.  Invece, niente. Dovrebbero essere quasi arrivati e sono in piano. In coda come alla cassa di un supermercato.  Ringrazia il cielo di trovarsi così, invece che appeso a una corda quasi in verticale.  Ci sarà tempo per arrampicarsi, quando la fila si muoverà. Un passo ancora, per favore. Non ne può davvero più di starsene fermo lì.

4

Finalmente si iniziò l’ascesa, dopo più di quaranta giorni passati in fase di adattamento al campo base, dormendo in tenda e in alberghi terribili. Si accorse presto che il “tutto compreso” programmato comprendeva ben poco: se voleva per esempio assistenza medica, anche minima, avrebbe dovuto mettere mano al portafoglio. E lo fece, quando l’aria rarefatta di oltre 5000 metri gli regalò una brutta tosse maligna.  Per i primi giorni fu davvero brutta, talmente violenta da rischiare di rompergli una costola. Gli inconvenienti della montagna.

Anche i portatori che gli erano stati assegnati si dileguarono nel nulla, quindi per riuscire ad avere tutta la sua roba al campo dovette assoldarne altri, dopo un’estenuante trattativa. Ma alla fine la tosse guarì, e lui terminò il suo periodo di acclimatamento circondato da tutte le sue cose. Ogni giorno si permetteva piccole escursioni, di volta in volta più impegnative, in mezzo a panorami spettacolari, e fece amicizia con diversi compagni di viaggio: erano davvero in molti ad aggirarsi da quelle parti.

Non riuscì a godersi la finale di Champions League come aveva programmato: nonostante avesse pagato per la connessione internet questa si rivelò poco affidabile.  Ma l’atmosfera del posto piano piano, giorno dopo giorno lo catturò: la montagna lo osservava dall’alto, spettacolare e minacciosa, e irresistibilmente affascinante. Così, quando gli dissero che il giorno dopo sarebbero partiti era eccitato come un ragazzino, e quasi non dormì la notte.

Si era immaginato di essere solo, di fronte all’immensità del creato e della natura, ma non andò in questo modo: il suo gruppo era di sei persone, poi ce ne furono molti altri alla partenza; la giornata prometteva sole, quindi tutti quanti si misero in marcia.  Partirono molto presto, per affrontare il ghiacciaio iniziale prima dell’alba: il sole avrebbe reso instabili e pericolose quelle immense lastre di ghiaccio. Immediatamente con il fiatone, iniziò a salire, e la fatica si fece sentire quasi subito, ma strinse i denti e proseguì: era solo all’inizio, sarebbero occorsi diversi giorni per arrivare in cima. Lentamente, arrivando in tutti i campi intermedi di sosta fino all’ultimo, prima della vetta, prima di sentirsi finalmente padrone del mondo.

Arrivando al primo campo, ebbe la prima delusione: affollatissimo, come una spiaggia ad agosto, offriva uno spettacolo desolante. Aveva immaginato una natura incontaminata, uno spazio meraviglioso, ma il piccolo angolino che poteva occupare era pieno di grossi mucchi di immondizia. Tende rotte di vari colori, corde, bombole di ossigeno esauste, libri e carta, piatti di plastica, lattine. E merda. Montagne di merda umana ghiacciata che si scioglieva al sole e che nessuno poteva anche solo immaginare di portare via da lì.  I rifiuti lasciati da centinaia di scalatori prima di lui, tutti i turisti che affrontavano la spaventosa scalata armati di soldi e di coraggio. 

Bestemmiò sommessamente e si adattò, pronto a passare qualche nuovo giorno di attesa in una discarica.

Poi, giorno dopo giorno, finalmente si arrivò alla prima delle grandi attrattive del viaggio: il Giro della Morte sembrava il nome di un ottovolante ma era tutt’altro. La ragazza gliene preannunciò l’inizio. Era seduta contro il sole, appoggiata a uno spuntone di roccia, nella sua tuta rossa sgargiante. I capelli biondi, liberi, le volavano intorno al viso. Le mani guantate sembravano stringere qualcosa di invisibile al seno. Lo guardava, guardava direttamente lui con i suoi occhi di ghiaccio. La bocca, semiaperta, sembrava quasi doversi tirare in un sorriso.  Un cadavere senza nome, imprigionato nel tempo dal freddo. “Che cosa ci fai, qui?”, gli diceva.

Il secondo faceva più impressione. Steso a terra, scomposto, supino: il viso rivolto alla vetta della montagna, le braccia piegate in modo innaturale, snudava i denti in un ghigno di agonia che somigliava quasi a una risata. Gli occhiali da sole, neri, lucidi, sembravano messi sul naso per accentuare il lato grottesco della scena, sottolinearne l’irrealtà.  Sforzo inutile: il tutto era tangibile, definitivamente reale, e terrificante.

Rabbrividì, e non solo per il freddo.  Aggrappato alla sua scaletta era circondato dai morti: tre, quattro, sette, e ancora. Più di 200 morti che la montagna aveva preteso, un gigantesco cimitero ai confini del cielo.

5

È notte. Il sole è tramontato quasi ritroso, e ha colorato di un rosa tenue le cortine di nebbia. Il buio è arrivato improvviso, compatto, tangibile. Le lampade degli scalatori sono poca cosa di fronte alla massa dell’oscurità: piccole lucciole nel prato notturno. Nessuno parla più, lungo la fila, nessuno litiga, nessuno si muove. Si risparmiano le energie. Si aspetta, ancora. Improvvisamente, lui si accorge di un dettaglio.  La signora di fronte avanza nel ghiaccio senza scarponi, senza calze. I piedi nudi scivolano sul fondo gelato. Gli viene un’idea. In equilibrio su un piede, inizia a slacciarsi uno stivale. Poi, l’altro. Allunga il paio di scarponi all’anziana di fronte, che gli sorride, grata. Lui distende i piedi nei calzettoni di lana sul suolo gelato. Sollievo. Li sente caldi, non gli fanno più male. Improvvisamente, la nebbia si solleva. Un grande squarcio mostra le stelle. Non ha mai visto niente di simile.  Brillano, accese, a migliaia. La luce riempie gli occhi. Si sente padrone di sé stesso e si sente insignificante.  Pieno di infinite possibilità e allo stesso tempo infinitamente piccolo.  Incantato. Poi, all’improvviso, arriva: un lampo, un’istantanea, quasi un ricordo. Una bombola scarica, un calcolo sbagliato. Una terribile esplosione di dolore, secca, enorme e definitiva, al lato sinistro del torace. Quanto tempo prima? Così abbassa lo sguardo. La vecchia signora si è girata verso di lui. Lo fissa, con i suoi occhi privi di iride. La cosa che gli sta di fronte sa che lui ha capito. Gli sorride, un sorriso soddisfatto, sadico e cattivo. Poi la lunga fila, davanti e dietro, si avvicina, lo raggiunge, lo circonda. E tutti i fantasmi della montagna iniziano, lentamente e meticolosamente, a divorargli l’anima.


L’autore, Massimiliano Mari

“Sono nato a Mantova, terra dei Gonzaga e dei tortelli, ma sono milanese d’adozione da parecchi anni, e con gli Sforza vado d’accordo. Sono cantautore da una vita, con all’attivo più di cento canzoni, testo e musica; sono chef e sommelier. Ho fatto il giornalista pubblicista, principalmente per Gazzetta di Mantova, occupandomi di spettacoli e cultura, cinema in particolare. Sono ispettore, e scrivo le relative recensioni, della guida Osterie d’Italia di Slow Food. Adoro i libri: ne posseggo migliaia, di ogni genere. Amo la letteratura, in particolare quella fantastica, e la musica: il cinema, infine, è la mia seconda casa.”

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