Critica di Poesia,  Letteratura

Movimento e Stasi di Massimo Palma

di Vladislav Karaneuski

movimento e stasi

Quella che ci accingiamo a recensire è la plaquette Movimento e stasi, ossia l’opera poetica di esordio di Massimo Palma, professore di Filosofia Politica a Napoli e poeta, edita da Industria e Letteratura e vincitore del Premio Franco Fortini 2022.

Prima di addentrarci nella raccolta è necessaria una premessa, per così dire metodologica, ma si potrebbe anche dire legittimante rispetto ai vuoti e alla talora manchevolezza di lucidità del mio punto di vista storico ed esperienziale sull’opera dell’autore.

Perché infatti la plaquette di Palma ha come intenzione evidente quella di affrontare o riaffrontare, anche in diversi modi e sotto diversi punti di vista sia spaziali che temporali, un fatto storico particolarmente eclatante della storia d’Italia dell’inizio del nuovo millennio, il G8 di Genova. Perché metto in dubbio fin dall’inizio il mio punto di vista? Perché facendo parte di una generazione nata proprio in quegli anni non ho vissuto sulla mia pelle l’evento storico, l’ho solo subito a posteriori. E infatti, su questo punto più ”storico”, la mia critica vuole essere quella di chi il trauma di quell’avvenimento non lo ha subito ma ci è nato assieme e lo ha sempre avuto con sé senza capirne davvero la portata, di chi insomma non ha potuto vedere il mondo precedente al G8.

Ricordo quando da ragazzino mi capitava di andare alle manifestazioni, quelle che ancora si opponevano a temi come il capitalismo neoliberista, alla mancanza di diritti degli studenti, l’Expo, e ricordo in particolare il muro metafisico, trasparente, immateriale, ma in qualche modo palpabile, che si frapponeva tra me e i miei compagni di generazione con i manifestanti più anziani. Pareva insomma che tra noi e loro ci fosse da una parte qualcosa che ci legasse come gli ideali della lotta, ma dall’altra anche qualcosa che continuava comunque a dividerci. Nei loro sguardi, nei loro silenzi, c’era una sorta di vuoto che noi non comprendevamo fino in fondo, loro non ce lo spiegavano, non rispondevano davvero alle nostre domande. Negli anni, maturando una coscienza storico-politica attraverso gli studi e le esperienze, ho capito che forse al fondo di quel vuoto, di quel muro, vi era qualche cosa che aveva a che fare con un dato esperienziale, un fatto storico da loro vissuto e interiorizzato, ma mai superato del tutto.

Palma spiega tutto ciò nei versi finali di La preda, poesia contenuta nel primo capitolo della raccolta Still:

Non siamo qui a dare indietro. A odiare meno
in questa piazza ormai più piccola tutti più vecchi
schiacciati dietro a ragazze
e ragazzi sempre più giovani
che hanno preso i colori
di nessuno di noi.

La preda – Massimo Palma, Movimento e Stasi

Per lo più ciò che stava alla base di quel vuoto era un trauma. Un trauma che come tutti i traumi viene originato da un impatto con una realtà diversa da quella sperata o prospettata, insomma una disillusione.

E effettivamente basta prendere in mano un libro di storia contemporanea del secondo ‘900 per capire quale sia l’origine di questo trauma, quale sia dunque l’illusione di quella generazione.

Il G8 di Genova e la brutale repressione dello stato è quel momento in cui una generazione cresciuta in un clima politico e sociale dove parlare di diritti dei lavoratori, marxismo, comunismo, progressismo era normale e parte della quotidianità di ogni italiano. I titoli dei giornali, le folle oceaniche ad ascoltare i comizi di grandi uomini di Sinistra come Berlinguer, segretario del più grande partito comunista d’occidente del ‘900, dove parole come ”lavoratori, diritti, compagni, padroni, sindacati” avevano una forma concreta, nella vita di tutti i giorni, ed erano non tanto oggetto di per sé di lotta fine a se stessa, quando di rivendicazione concreta, con dei risultati altrettanto concreti.

Tutto ciò aveva fatto sperare a quelle generazioni nate tra gli anni ’70 e ’80 che il loro futuro avrebbe visto l’apogeo di quel progresso o progressismo se vogliamo, ma non fu così.

La situazione che si venne a creare fu invece un’altra. Col crollo del muro di Berlino, la fine del sogno comunista e la vittoria del modello economico neoliberista americano e della globalizzazione economica, tutte quelle belle parole che si citavano precedentemente vennero praticamente messe al bando. Al loro posto solo: profitto, denaro, disparità sociale, disuguaglianza, forbice dei redditi. Fino a parole purtroppo parte della quotidianità della mia generazione come ”stage, voucher, tirocinio, apprendistato, disoccupazione giovanile, crisi” ovvero sinonimi del termine meno usato, forse perché proprio messo al bando, di ”sfruttamento”.

Ma il punto di rottura, il trauma, tra il prima e il dopo, tra il mondo progressista, idealista e forse illusorio e il mondo della fine delle illusioni, della crisi perenne, è proprio il G8 di Genova.

Qui per la prima volta dei giovani vennero caricati, oppressi, picchiati, uccisi, dallo Stato e dalle sue forze dell’ordine, che non volevano più sentire parole che giusto un decennio prima erano la quotidianità. Ed è proprio qui che sta il trauma: l’aver improvvisamente scoperto che il mondo era cambiato, era divenuto ingiusto, e la democrazia non esisteva più, i valori della costituzione erano stati sostituiti, e una generazione, come quella di Palma, era stata destoricizzata, perché tolta dalla storia. Non aveva più un ruolo e non poteva fare nulla per cambiare il presente e il futuro. I genitori insomma avevano deciso che era venuto il tempo di cambiare i valori dei nonni e per fare ciò bisognava opprimere le generazioni più giovani. Anche purtroppo con l’uso della violenza.

Non ricordare più la gioia il giorno prima
solo l’angoscia dopo a uscirne
le corse ai pullman gli occhi rossi
e ancora divise che salgono prelevano.
I manganelli i cortili morti nel sudore tra i sedili.
E urla riviste di notte e carceri.
(…)
Uscire ancora vigili
dal ricordo. Dalle sue lingue dall’asfalto.

Mezzi per un fine – Massimo Palma, Movimento e stasi

Dopo il sangue

Nella prefazione l’autore fin da subito mette in evidenza un elemento importante dell’opera, il sangue. Questo sangue che ritroviamo addirittura fin da subito nella parola ”poema” (ema) e che connota in qualche modo il fare poesia, come qualcosa che abbia a che fare di per sé con il sangue, come se i versi venissero stillati da una ferita aperta direttamente sul foglio.

Il dolore in questo senso si manifesta in contemporanea con l’azione dello scrivere e ha più fasi, relativamente alla posizione temporale dell’io. Infatti la raccolta ha tre capitoli, che sono essenzialmente tre momenti diversi che l’io si trova a sperimentare: still, movement e stasis.

Still è una sorta di momento fermo, dove nulla si muove ma c’è. Come se qualcosa accadesse, o continuasse ad accadere in relazione con un passato che vuole continuare nel presente, ma che allo stesso tempo trova spazio solo in una statica riflessione e in un silenzio meditativo. Ma in questo silenzio c’è il sangue, che continua a stillare, tutto il resto rimane fermo.

Anche il tempo si ferma e un io che non c’è mai lascia spazio nella situazione enunciativa a volte a un noi, altre volte ad un loro, o a un lui, come quello di passaggio a due, che però in questo caso riusciamo effettivamente a capire a chi si allude. Infatti quel ”lui” è Edoardo Parodi, il miglior amico di Carlo Giuliani, morto giusto un anno dopo i fatti di Genova per una malattia conseguente a dei gas inalati durante un corteo a Zurigo, ma che vide certamente in quel suo ultimo anno di vita la mente affollarsi dei ricordi di Carlo, ucciso dalla polizia durante gli scontri.

Invece sappiamo erano due. Edoardo è alto
ha pelle bianca e da Luglio Carlo
gli occupa ogni notte
e lui incide i muri di vernice di mani stanche
scende al porto in curva canta
il suo lutto che indiviso e non conta sulle ore.

Passaggio a due – Massimo Palma, Movimento e stasi

E forse Edoardo è la voce più rappresentativa di questa parte della raccolta, perché rimane lì, nel limbo, nell’intermezzo che vi è tra il subire qualcosa e accettarlo, o almeno lasciarlo nel passato. Quel momento di elaborazione e di lutto, che sta nel travaglio di ogni trauma, e che è fermo, statico, immobile, senza forma e suono, ma dove tutte le vicende dolorose assumono una fisionomia piano piano più nitida, più ragionativa e il sangue in qualche modo inizia anche a raggrumarsi.

Altre volte lo spazio enunciativo viene lasciato a un soggetto impersonale, che però pare rappresentare tutta una collettività che non ha divisioni al suo interno ma è un unicum che prova la stessa e medesima cosa, nello stesso tempo sospeso.

Cinquanta giorni dopo i fatti di Genova
i fatti restarono nelle teste delle persone
per diventare fotografie

Stills – Massimo Palma, Movimento e stasi

E questa sospensione di chi in qualche modo è rimasto nel dopo di qualcosa che non per forza doveva avere un dopo, poiché non lo ha avuto per tutti, non lo ha avuto per Carlo Giuliani, porta a sentire la necessità viva di parlare, anche nel silenzio, di provare a dire qualcosa. E questo atteggiamento sembra molto simile a quello che Calvino in una prefazione degli anni ’80 dei Sentieri dei nidi di ragno dà come fatto scatenante del neorealismo italiano.

E’ come se chi subisce un colpo doloroso, come nel caso di Calvino la seconda guerra mondiale, e sopravvive lo deve poi raccontare. In psicologia questo è un momento chiave dell’elaborazione di un dolore o di un trauma, ed è il momento in cui il soggetto, raffigurando l’evento con le proprie parole lo rende per se stesso reale. Esiste insomma, e realizza davvero la sua esistenza, superando una fase di negazione, per approdare ad una fase di dolore più intenso ma anche di elaborazione.

Alle sagre e nei treni regionali si
discuteva ancora si litigava – ci si spartiva il campo come si fosse ancora
in quelle strade come se poi tutti ci si fosse stati davvero.

Camminavamo in fila – Massimo Palma, Movimento e stasi

Però quando lo si è detto e dunque si è compreso che è vero, che c’è stato, si supera la negazione, allora subentra solo il silenzio dell’elaborazione e del sangue stillante.

Infatti nella stessa poesia il poeta la continua così:

Venne l’autunno e poi l’inverno e gradualmente il movimento di parole
rallentò – improvvisamente si parlava d’altro.

Camminavamo in fila – Massimo Palma, Movimento e stasi

La dimensione con cui quest’io impersonale si trova a dover dialogare è quella memoriale. Una memoria che però è guastata dall’impatto del trauma e non lascia riaffiorare tutto in modo nitido e vivido, a volte lascia sgorgare solo vuoti privi di colore e forma.

La memoria
è magra misura i vuoti
la chiarezza è di parte

Divisione – Massimo Palma, Movimento e stasi

A volte sono le foto, il rapporto che quest’io collettivo e impersonale ha con le documentazioni visive, le prove dell’accaduto, che in qualche modo aggiungono pezzi al puzzle di un tutto che non è mai completo ma sempre vuoto di una parte. L’elaborazione insomma vuole tutto, vuole che ogni istante abbia una forma visiva, che ogni ricordo riemerga dal profondo così, come se fosse qualcosa di presente, in presa diretta, ma il trauma pone confini alla mente, e il ricordo è destinato a dissolversi.

Quando qualcuno mostrava una foto sconosciuta
(…)
ci perdevamo dentro e l’immagine restava era
brutale ci condizionava. Non era raccoglimento né devozione ma solo
smarrimento uno sprofondarsi da soli in un’immagine.

Isolamento – Massimo Palma, Movimento e stasi

Il trauma dissolve, spezzetta e annega i ricordi perché sono pieni di dolore. E a questo proposito il trauma è essenzialmente una difesa ad un colpo subito, e ogni immagine che in qualche modo può far riaffiorare dei pezzettini di passato provoca una voragine interiore nel soggetto, anche se questo, nella fase dell’elaborazione, pretende in ogni modo che la verità gli si mostri in tutta la sua forma più piena.

Le immagini di Genova erano inserite in una serie psichica precisa erano dati documenti ma anche
ricordi che parlavano di altri ricordi. Per alcuni erano insopportabili
perché l’immagine il volto che ne usciva era legato a una ferita che nel quotidiano era invisibile.

Isolamento – Massimo Palma, Movimento e stasi

Poi sono altri i pezzetti di memoria che riaffiorano piano piano nell’elaborazione, come la sete.

Ogni notte di Genova ricordano la sete
e nel sogno dicono sarebbe bello non morire nel fuoco
ma in acqua
(…)
a due inglesi che chiedono acqua dateci l’acqua
le guardie dicono che è un carcere
non un caffé.

I sogni non finiscono – Massimo Palma, Movimento e stasi

Infine viene la rabbia e l’odio verso chi dovrebbe difendere e invece si trova ad aggredire, chi vede nella divisa soltanto un pretesto per dare una giustificazione alla propria brutalità.

C’erano camionette all’angolo di Corso Torino
che rilasciavano uomini allenati per mesi
in un luogo isolato nelle spiagge di aprile
deserte tenuti fermi
soltanto dall’invito a strozzare
appena a Genova.

In luogo isolato – Massimo Palma, Movimento e stasi

Movimento e stasi

Dopo l’elaborazione, dopo che la memoria ha lasciato riaffiorare tutto ciò che poteva c’è la presa d’atto e la sentenza. Il tono cambia, non è più solo un ricordare un passato assoluto e finito ma lasciare che questo sia continuativo e superi la barriera del semplice ricordo, ritornando in qualche modo nel giudizio del presente.

Ma nessuna parola parla nei vicoli.
Sei puro movimento e il movimento ora è la pietra
lanciata ormai ferma nel ricordo.

Urla e voci – Massimo Palma, Movimento e stasi

Da qui il verso prende una forma più sentenziosa e tagliente, e tende a voler sentenziare una realtà che rimane nel sangue ma è più vivida, meno nebulosa, meno affranta entro i confini del garbuglio interiore iniziale. La voce di quest’io che continua ad essere renitente nel mostrarsi nella situazione enunciativa, pur rimanendoci all’interno, ma preferendo sempre o l’impersonale o quel vago noi che continua a dare una sfumatura d’insieme quasi prendesse in sé un’epoca, una generazione e un mondo interiore universalmente condiviso.

Non ci sono confini d’altronde tra l’io e il resto, il ricordo e tutto ciò che ne scaturisce nel presente si fa universale come se ci fosse una continuità sottesa e nascosta tra una moltitudine di io che si ritrovano a condividere lo stesso silenzio, le stesse imposture, la stessa pelle, e lo stesso sangue.

Ora dicono che è uguale per tutti
in tribunale la colpa
di un paese devastato dalla scritta.

Cerimonia – Massimo Palma, Movimento e stasi

La moltitudine di questi io ha dentro un fuoco di odio che si è visto spegnere sotto i colpi dei poliziotti e ora lo vuole rivendicare, ma allo stesso tempo lo vuole tenere per sé, come chi si è guadagnato qualcosa dall’esperienza e non vuole fino in fondo trasmetterla ad un altro. Perché quest’io collettivo, quest’io che mette assieme tutta una moltitudine generazionale ha in fondo una barriera molto spessa con l’alterità, a cui non vuole aprirsi perché ne conosce l’inutilità. D’altronde sarebbe come provare a spiegare un dolore ad un altro che non l’ha provato e quindi alla fine ciò che continuerebbe ad emergere sarebbe un’incomprensione di fondo, ma solo un accettazione del dato apparente, come fatto accaduto e storicamente rilevabile in dati temporali amorfi e privi di un’esplicazione sensibile.

Tanti negli anni senza legami
a scambiarsi sorrisi senza
più rabbia
senza baciarsi come fecero in strada allora.

Cerimonia – Massimo Palma, Movimento e stasi

Ma la rabbia poi rimane e incomincia il tempo in cui bisogna trovare il colpevole, che c’è, che ancora svolge il proprio lavoro senza macchia né colpa, come se nulla fosse accaduto. I processi non arrivano sempre però, poiché la lotta forse ha visto sul campo troppi sfidanti, anche chi sul campo non c’era. Come si diceva nell’introduzione, è stato anche un punto di rottura tra due generazioni. La conseguenza è che rimangono i ricordi, e rimane la rabbia, ma quella rabbia sorda di chi non ha fino in fondo trovato giustizia, ma ha dovuto accontentarsi del silenzio.

I funzionari passati in giudicato hanno invece dei cognomi che per
pudore venivano taciuti dalla stampa perché di giudizio esistono tre gradi.
Allontanati una volta arrivati al terzo grado dopo una piccola pausa sono
stati nominati a nuovi incarichi. E ogni anno promossi.

Cognomi – Massimo Palma, Movimento e stasi

Ma anche il silenzio è lotta, perché qualcosa che rimane c’è, il giudizio c’è. Non è poi il tribunale che riconosce il colpevole, non sempre, poiché la legge alla fine la fa sempre il padrone, ma anche il sottoposto nel silenzio ha la sua parte di giudizio.

Noi scaviamo il ricordo
risucchiamo l’oppio appena sotto la lingua
amiamo le pause perché sappiamo
che ogni giorno ha fame Gianni ha fame Gianfranco
ha fame Benito ancora fame.
Ci piace ogni volta vedervi digiuni.

Colonia – Massimo Palma, Movimento e stasi

Superata la rabbia c’è la stasi, il ricordo fermo e mobile allo stesso tempo, un qualcosa che c’è, che vive sotto la pelle dei tanti io, ma ha anche un’apparenza di finito pur non essendolo. Il ricordo in fin dei conti è questo: un qualcosa che rimane sempre anche nella quotidianità del presente e permane anche in quella futura. E allora il tempo si riduce e rimane sempre lo stesso, come se tutto fosse sempre presente. Anche nella poesia di Palma il tempo non ha più una forma cronologica ma viene scandito solo dal ricordo, e categorie come ”presente” e ”passato” lasciano spazio al movimento e alla stasi, alla mobilità e allo stare fermi. Due categorie che però non hanno una vera regolarità, sfumano una nell’altra come se il tempo non fosse più divisibile in anni, ore, minuti ma solo da ciò che quest’io collettivo prova dentro di sé.

L’ingiustizia è aver scritto dopo quei giorni l’epitaffio sull’agitazione
che c’è dentro la parola al moto frenetico dentro la stasis. Averla fatta
significare nostalgia per un moto del passato quando invece un tempo
richiedeva amnesia.

Esercizio uno – Massimo Palma, Movimento e stasi

E anche la lotta va di pari passo a questa visione del tempo. La lotta tra lo scontro e l’equilibrio conseguente, tra il moto, il movimento e poi l’immobilità e il nuovo giorno, la nuova dimensione, il nuovo spazio. Il tempo in questo senso arriva ad avere effetti sullo spazio, che viene percorso e rotto dalla lotta, dall’agitazione e dal movimento, per poi sfociare in un qualche cosa di completamente diverso e nuovo. Palma vede tutto ciò nella riscoperta del lemma greco stasis, che proprio per questo è il titolo dell’ultima parte della raccolta.

L’ironia è aver riscoperto proprio in quegli anni una parola greca che dice
la lotta intestina e il suo bilanciamento. La battaglia il mondo inquieto
del conflitto la sedizione che spacca in due la città. E pure l’equilibri
intenso tra le due fazioni che tese si arrestano a guardarsi. L’equilibrio
che si sente quando prendiamo posizione e fronteggiamo i vicini la parte
opposta e sbagliata appena fuori oltre il muro – o dentro la casa quasi
dentro.

Esercizio uno – Massimo Palma, Movimento e stasi

Lo poesia di Palma è versoliberista, e in questo senso il verso non rispetta la tradizione metrica, ma anzi assume forti caratteri narrativi che lo ampliano graficamente. Lo stile è ragionativo, quasi volesse seguire le fasi di un’argomentazione e la chiarezza e la schiettezza del verso portano ad allontanare lo stile dal simbolismo per lasciargli una forma grezza e reale immediatamente riconoscibile.

La lingua è volutamente di registro colloquiale, scevra di preziosismi della lingua poetica, in qualche modo per riportare un reale grezzo, ma allo stesso tempo talora il verso è incalzato da frequenti interiezioni che lasciano trasparire una sfumatura ragionativo-filosofica.

Ciò a cui è tutto volto è alla chiarezza, sia lo stile che la forma, di versi scritti con la coscienza di chi vuole testimoniare, ricordare ma allo stesso tempo continuare in una lotta fatta quasi a sentenze e aforismi.

In questo stile sicuramente si vede la lezione brechtiana, del verso volutamente chiaro, razionale, ma allo stesso tempo profondo, tagliente e doloroso. E allo stesso modo si può rivedere la poesia di Franco Fortini, che similarmente a quella di Palma ha un rapporto della poesia col reale che ”è inteso come parte della vicenda universale degli uomini nel corso del tempo” (Testa, 2000), e in questo senso è una poesia che rimane nella sua dimensione storica, lasciando però spazio anche alla percezione sensibile.

Per concludere

La poesia di Palma è dentro la storia, in particolare quella della sua generazione, ma ne rimodella i confini temporali per non marginalizzare la percezione sensibile del ricordo in una dimensione di puro passato assoluto. E in questo sta il movimento dentro la stasi: in un passato che fa ancora parte del presente, che agisce sul presente e ne ridà poi un equilibrio sempre diverso. Così la poesia, nel suo disequilibrio equilibrato, di un tempo mai definito del tutto, di una stasi e un movimento, riporta al lettore una percezione chiara di ciò che è stato per quella generazione il G8 di Genova.

Vladislav Karaneuski

Redattore di Letteratura e Critica Contemporanea