Psicologia,  Storia e Società

Il mondo dell’adolescenza – Il bisogno di comunicare nella conquista dell’identità


Quint Buchholz – “Abendvorstellung Evening Performance” (1999)

L’adolescenza: il momento della metamorfosi

La parola “Adolescenza” deriva dal verbo latino “Adolescĕre” che significa crescere, nutrire, essere in tensione verso una pienezza. Rappresenta l’età della transizione in cui non si è più bambini – anche se in parte ci si sente ancora tali – ma nemmeno ancora gli adulti che si desiderava tanto diventare. Qui si trova l’adolescenza, in questa terra di mezzo.        

Il rinnegamento dell’infanzia da una parte e la ricerca di una nuova identità adulta dall’altra costituiscono l’essenza stessa del turbamento adolescenziale. Come scrive il poeta romantico Victor Hugo:

« L’adolescenza è la più delicata delle transizioni »

è il momento più fertile e permeabile che costituisce una delle più proficue opportunità di crescita della persona. Una vera e propria metamorfosi (che avviene dai 10-12/18 anni per le femmine, dai 11-13/21 anni per i maschi), così la definisce il Prof. Vittorino Andreoli, di cui l’aspetto più evidente è indubbiamente la trasformazione fisica portata dallo sviluppo puberale (maturazione sessuale e psichica).

La contraddizione dello sviluppo adolescenziale

In particolare si assiste a un rapido scatto di crescita di peso ed altezza e alla maturazione dei caratteri sessuali primari e secondari tipici del proprio sesso che forniscono all’individuo la capacità di riprodursi (sviluppo della muscolatura, arrotondamento di seno, menarca per le femmine; produzione di spermatozoi, comparsa di peli sul corpo, maturazione della voce per i maschi). Tutto ciò è scatenato da una tempesta ormonale la cui gestione è affidata alla ghiandola dell’ipofisi, che ne assegna la produzione alle ghiandole endocrine (tiroide, ovaie, testicoli, surreni e pancreas).

Non mancano mutamenti del punto di vista cerebrale: l’elevata plasticità sinaptica del cervello dell’adolescente permette una particolare permeabilità osmotica alle esperienze vissute facilitando apprendimentomemoria. Quando le modificazioni di struttura e intensità delle sinapsi, in relazione alla loro stessa attività, portano alla selezione e al rafforzamento delle connessioni più importanti, quelle più deboli vengono distrutte attraverso il processo di “pruning” o potatura sinaptica. Durante l’adolescenza si assiste ad una brutale diminuzione delle giunzioni sinaptiche totali con il vantaggio di essere più selettive ed efficaci. (Giedd et al., Neuropsychopharmacol. 2015).

Mentre fino a quel momento ha predominato il cervello sottocorticale (aree dell’impulsività, del soddisfacimento dei propri bisogni), la maturazione delle aree della corteccia prefrontale (decision-making, pianificazione, regolazione emotiva) si avvia in pubertà ma sarà ultimata solo in età adulta.

Sono, invece, estremamente attivi i centri neurali della gratificazione. Ciò vale a dire che, nonostante i ragazzi comincino a sviluppare un corpo che permetterebbe loro l’autonomia, non sono però, ancora in grado di gestirla, a causa dell’incompiuta maturazione della corteccia pre-frontale.  Ecco che il fulcro della contraddizione adolescenziale si ritrova nella polarità tra desiderio di libertà e impreparazione nel raggiungerla, tra la curiosità di voler scoprire oltre, il timore e la mancanza di strumenti per farlo davvero.

Le sfide di un adolescente

In parallelo all’irrefrenabile maturazione ormonale e quindi fisica e neurologica, l’insieme di trasformazioni cognitive, socio-relazionali ed emotive rendono ogni nuova circostanza una sfida potenzialmente problematica per l’adolescente.

Ogni ragazzo è chiamato a far i conti con sé stesso, con il proprio corpo e modo di essere, per cui l’accettazione della propria persona sarà un obiettivo tanto astruso quanto fondamentale da raggiungere.  È il momento in cui si attraversa il passaggio determinante dalla dipendenza dalle figure genitoriali alla conquista dell’indipendenza, graduale conseguimento dei processi decisionali che permettono all’adolescente di decidere cosa fare della propria vita. In parallelo l’inclusione nel gruppo dei coetanei diventa uno degli elementi essenziali per la valutazione di sé. All’adolescente vengono richiesti comportamenti socialmente accettabili, aderenti alle norme civiche, l’assunzione di responsabilità e del concetto di dovere.

Freud ragionerebbe in termini di passaggio dal principio di piacere – in vista del quale la vita psichica non conosce distanza tra il desiderio e la sua immediata soddisfazione – al principio di realtà, tipico della vita adulta, basato sul raggiungimento di un obiettivo a lungo termine in funzione delle condizioni imposte dal mondo esterno. Questo impegno implica la capacità di perseverare e rinunciare all’appagamento tempestivo in rispetto delle disposizioni culturali. Al fine di raggiungere i nostri desideri, Freud, sostiene necessario sviluppare la capacità di affrontare il “lavoro psichico” che porti a percorrere la distanza, ora esistente, che la realtà impone tra il mio desiderio e la sua realizzazione. 

I nuovi bisogni dell’adolescenza

piramide dei bisogni di Maslow

Nel 1954 lo psicologo statunitense Abraham Maslow propose un modello motivazionale dello sviluppo umano basato sul concetto di “Hierarchy of Needs” (gerarchia dei bisogni). Partendo dall’idea che il bisogno indica la mancanza totale o parziale di qualcosa che è fondamentale per la sopravvivenza e il benessere della persona, Maslow li organizzò in una struttura ordinata, dando alla luce la famosa piramide dei bisogni. Essi sono distribuiti in ordine di importanza decrescente, dal basso verso l’alto, per cui l’appagamento dei bisogni più elementari è la condicio sine qua non affinché i bisogni di ordine superiore possano soddisfarsi. 

Proprio nel periodo adolescenziale il giovane risente di una pressione impossibile da ignorare da parte di questi bisogni di ordine superiore e, al tempo stesso, si assiste ad una variazione ed integrazione di quelli primari. Per esempio: ciò che fa sentire al sicuro un bambino (secondo livello), come la vicinanza alle figure di riferimento (caregiver), non è più un’urgenza per l’adolescente; al contrario, diventa fondamentale far parte di una rete di amici intimi, riconoscere di avere delle particolari abilitàpiacere agli altri, ancor prima che a sé stessi e poter dire di esser apprezzato. Solo una volta affermati anche i bisogni sociali si potrà raggiungere l’autorealizzazione di sé, la più preziosa conquista dell’uomo, la cui ricerca persiste lungo l’arco della vita.

Questa transizione si vede molto bene nel progressivo distacco del ragazzo dalle figure genitoriali, che si rimarginerà solo successivamente nell’arco della vita. La conflittualità di questo rapporto è necessaria all’adolescente: egli deve allontanarsi dall’immagine che i genitori, giustamente, gli hanno fornito per guidare la sua scoperta del mondo durante l’infanzia. Ora, però, sente di aver lui il timone in mano ed ogni schema o regola precedentemente adottata non può che risultare inadeguata per la sua nuova meta: scoprire sé stesso

Il bisogno di comunicare dell’adolescente

L’adolescenza è il momento in cui si inizia a cercare di capire quale sia il proprio impatto sul mondo, cosa provoca la nostra presenza. L’ambiente viene esplorato con nuovi occhi e l’accentuata sensibilità permette al ragazzo di percepire nuove dimensioni del reale che fino a poco prima non gli erano accessibili. Immersa nel sentimento romantico della “Sehnsucht” (anelito, brama), l’esplorazione verso un che di vago e indefinito si compie tra il timore e la meraviglia del nuovo.

L’adolescente non ha solo bisogno di esprimere e di esprimersi ma è trasportato – mai come prima d’ora – dalla necessità di intraprendere uno scambio con la realtà che, per la prima volta dopo l’infanzia, diventa ricercato e profondo.

Si inizia ad instaurare una comunicazione di domande e rimandi con l’ambiente, che si fa specchio della nostra presenza, al fine di cercare conferma di ciò che realmente si riflette. 

Per la prima volta ci si sente parte di un corpo così in cambiamento da rendersi mostruoso, ci si chiede quale sia la propria forma e quindi il proprio posto. Perfino Leopardi, con slancio adolescenziale si chiedeva:

Ove tende questo vagar mio breve?”, “Perché tanto di stelle ed io che sono?

Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, 1831.

Quanto questo periodo può rivelarsi proficuo, grazie all’alto potenziale intrinseco di sviluppo dei giovani, tanto può essere occasione di elevata vulnerabilità

Tra squilibri ormonali, trasformazione di corpo e mente, dubbi e momenti di crisi lo scoppio del conflitto con gli altri e, ancor di più, con sé stesso diventa inevitabile.

« Alle volte uno si crede incompleto ed invece è soltanto giovane »

Italo Calvino, Il visconte dimezzato

Il potere dell’adolescenza: essere fragili

Nell’adolescenza si parla di sfide e di fragilità. Come potrebbe una propria debolezza esser l’elemento essenziale per la conquista di questa età? Una fragilità pura, vergine ed irrequieta diventa condizione esistenziale per eccellenza dell’adolescente, che il Professore Alessandro D’Avenia definisce come un’arte.

Ne “L’arte di essere fragili”, libro pubblicato nel 2016, l’autore porta alla luce quel che per lui è il segreto della gioia quotidiana parlando di “rapimento”, un eco impreciso ma totalizzante verso cui l’adolescente è in completa tensione, che lo salva dalla noia, fornendogli così un senso da perseguire e a cui esser fedeli.

“Rapimento” è ciò che si cela nelle “improvvise manifestazioni della parte più autentica di noi”, “È una cosa da poter abitare ovunque, così luminosa da far riferimento per la nostra navigazione del mare della vita”. 

– Alessandro D’Avenia, “L’arte di essere fragili”

La conquista dell’identità, un processo dialogico

La corrispondenza tra l’adolescente e una realtà per lui in continuo mutamento è volta a costruire rappresentazioni del mondo e di sé. Con questo, ogni tipo di linguaggio a disposizione dell’esser umano, sia fatto di parole, immagini o movimenti, diventa l’ingrediente fondamentale per la formazione dell’identità.

Il termine “identità” venne utilizzato per la prima volta dallo psicologo tedesco Erikson (1968), per descrivere i disturbi di veterani di guerra che mostravano sintomi di perdita del sentimento di essere sé stessi (sameness) e di continuità della propria esistenza. Tale costrutto riguarda la concezione che un individuo ha di sé stesso ed è formata dall’insieme di caratteristiche che rendono l’individuo unico. 

Al contrario di quanto accadeva nelle società premoderne, nelle quali l’identità era ascritta dalla nascita, nelle società odierne (occidentali) essa si costruisce interiormente attraverso un processo dialogico in cui le modalità di riconoscimento da parte di coloro con i quali direttamente o indirettamente interagiamo risulta determinante nel definire i caratteri di ciò che siamo e di ciò che vogliamo essere. (Anna Rita Calabrò, 2013)

Erikson, nella sua teoria psico-sociale, suddivide lo sviluppo umano in otto fasi in cui il periodo adolescenziale è caratterizzato da una condizione di acquisizione dell’identità versus diffusione dell’identità.

A determinarne la conquista sarà un processo di ricerca e costruzione dell’identità stessa chiamato “moratoria psico-sociale attraverso cui la volubilità del Sé fluttuante permetterà all’adolescente di conoscere sé stesso esplorando diversi modi di essere, condizione che si consoliderà solo in tarda adolescenza o in prima maturità (Harris, 2006).

Importante è tenere presente che l’identità non resta immutabile, ma si trasforma con la crescita e i cambiamenti sociali per cui, accanto all’identità individuale (identità corporea, sessuale, di genere, “chi sono io”), coesiste quella collettiva (l’identità culturale, nazionale, sociale), un noi in cui mi identifico.

L’acquisizione dell’identità rappresenta la risoluzione positiva delle crisi a cui ogni adolescente è sottoposto, significa trovare un filo conduttore, una coerenza tra gli eventi del passato. Il processo di formazione dell’identità viene descritto da Erikson come il fenomeno più significativo dell’esistenza che si conclude soltanto quando il soggetto è in grado di selezionare alcune fra le sue identificazioni infantili scartandone altre, in accordo con i propri interessi, talenti e valori. Quando, invece, questi conflitti si risolvono in modo negativo, si assiste alla diffusione del sé e quindi si va incontro a quella che Erikson chiama confusione di ruolo, l’incapacità di impegnarsi in un ruolo preciso. 

Il mancato sviluppo dell’identità

Non sempre l’obiettivo di questa età viene raggiunto: si può intendere la fase adolescenziale come un periodo critico decisivo, una finestra di rischio dedita alla formazione degli elementi identitari fondamentali per la strutturazione della futura personalità adulta. La mancata concretizzazione di alcuni aspetti importanti entro la fase di sviluppo interessata può recare gravi complicazioni all’individuo.  

Per quanto riguarda l’inefficace acquisizione di un corretto assetto identitario si possono incontrare rischi rilevanti nella discrepanza tra sé reale (come sono), sé ideale (come mi piacerebbe essere) e sé normativo (come dovrei essere) (Higgins, 1987). Lo stato di acquisizione dell’identitàsecondo il modello degli stati d’identità di Marcia (1980), è raggiunto attraverso un processo di esplorazione che viene regolato e si conclude attraverso il raggiungimento di un senso di continuità e di coerenza tra le esperienze e i disparati modi di essere esplorati in fase adolescenziale. Tale processo permette di incorporare le identificazioni incorporate in un tutt’uno, frutto delle esperienze passate che è, per l’appunto, l’identità. Una rappresentazione di sé frammentaria e distorta, al contrario, è esito della mancanza di esplorazione delle diverse possibilità d’esser a cui l’adolescente può attingere (Marcia, 1980).

Un’opportunità che può venire a mancare al momento in cui l’ambiente si rivela estremamente povero di stimoli e che non presenta alternative da esplorare. In questo caso il soggetto è forzato da fattori contestuali a definire la propria identità nell’unico modo che la situazione gli impone. Pensiamo a bambini nati in culture povere, in cui la vita è basata sul principio di sopravvivenza, ben lontano dal bisogno di raggiungere l’identità personale. Un esempio riscontrabile nei paesi sviluppati, si può ricondurre ad uno stile genitoriale autoritario, iperprotettivo e controllante che tende a reprimere e trattiene il bambino da esperienze proficue in cui ha la possibilità di scoprire sé stesso in relazione a ciò che lo circonda. In quest’ultimo caso, la configurazione identitaria si andrà a strutturare sul modello delle figure principali di riferimento, al contrario, l’assenza di figure stabili durante la crescita porterà l’identità a risentire fortemente dell’influenza sociale a cui il soggetto è sottoposto.        

Il ruolo centrale dell’ “altro significativo”

La strutturazione di un’identità solida dipende dalle risorse che l’ambiente familiare e sociale in cui vive l’adolescente dispone per rendere realizzabili le sue aspirazioni. In questo processo entrano in gioco fattori cognitivi, sociali, e quindi valutativi, per cui la riflessione sul proprio valore richiama esplicitamente quello della stima di sé. 

La tesi di James e Mead (1890, 1934) sostiene che la stima di sé è basata su come il soggetto avverte di “funzionare” in ambiti per lui importanti, una concezione ampiamente basata su giudizio di coloro identificati come gli “altri significativi”. Di conseguenza, spesso l’individuo introietta gli atteggiamenti che gli altri assumono nei suoi confronti risentendo della loro influenza e considerandoli parte integrante per la valutazione della sua persona.

Secondo William Damon (2008), professore alla Stanford University, è determinante che le principali figure adulte, tra cui genitori, insegnanti, allenatori, forniscano modelli, feedback ed esperienze che stimolino lo sviluppo di un’identità positiva. La costruzione dell’identità necessita di esperienze di autoaffermazione intese come il riconoscimento da parte del gruppo di appartenenza delle caratteristiche più autentiche della propria personalità. 

Educazione e supporto sociale che insegnano a vivere

Durante questi periodi è determinante che i giovani acquisiscano consapevolezza del proprio valore in quanto esseri unici. A servire questo compito entra in gioco l’educazione, compito fondamentale della famiglia e della scuola.

Educare, aldilà dello stile decorativo che comunemente si attribuisce nella parola posata o nel comportamento corretto, significa, come scrive il professor Vittorino Andreoli nel libro “L’Educazione (Im)possibile”, insegnare a vivere.

Dal momento in cui l’adulto vive un tempo condiviso con l’adolescente, di breve o lunga durata che sia, l’educazione diventa relazione e scambio. Per far sì che questo esempio rappresenti per il giovane un insegnamento, la relazione non può esimersi dalla costruzione di un legame basato sulla reciproca volontà di soddisfacimento dei propri bisogni. Il bisogno di un giovane è quello di imparare e colui che diventa insegnate sente il bisogno di trasmettere la sua conoscenza. Solo in questo modo un adolescente, così scettico e oppositivo, restio, smarrito e timoroso dinnanzi ad un mondo che gli appare nuovo, può aprire le porte di questa importante corrispondenza tra due mondi solo apparentemente in antitesi.

Se in infanzia lo scopo principale delle figure di riferimento era accudire, nell’adolescenza diventa destinare: far percepire al giovane il futuro come suo e di nessun altro, portarlo ad impadronirsi del proprio desiderio. L’etimologia della parola “desiderio” è una delle più affascinanti del nostro vocabolario: deriva dal latino ed è composta dalla particella de-, che indica privazione, e da sidus, “stella”. “Desiderare”, quindi, significa letteralmente “assenza di stelle”, e allude alla distanza tra il soggetto e l’oggetto del desiderio, quindi si potrebbe tradurre letteralmente nella metafora: “volere ardentemente qualcosa che è lontano come una stella”.

Sta nell’innescare questo sentimento di ricerca appassionata del proprio desiderio il compito di ogni genitore ed insegnante, al fine di far coincidere l’io attuale con l’ ”io ideale” – come li chiamerebbe Freud – fino al raggiungimento dell’espressione massima di sé stessi.


Credits:
Abendvorstellung Evening Performance” fotografia di Quint Buchholz

http://www.quintbuchholz.de/bildarchiv/alle/


Bibliografia:

D’Avenia, A. (2016). L’arte di essere fragili. Mondadori

Andreoli, V. (2014). L’educazione impossibile. Rizzoli

Calvino, I. (1952). Il visconte dimezzato. Enaudi Editore

Canto notturno di un pastore vagante dell’Asia. 1829-30, Napoli, Biblioteca Nazionale di Napoli

Neuro sviluppo in adolescenza. Blakemore, S-J., den Ouden, H., Choudhury, S., Frith, C. (2007). Adolescent development of the neural circuitry for thinking about intentions. Social Cognitive and Affective Neuroscience, 2, 130–9. 

Neuro sviluppo in adolescenza. Giedd JN, Raznahan A, Alexander-Bloch A, Schmitt E, Gogtay N, Rapoport JL. Child psychiatry branch of the National Institute of Mental Health longitudinal structural magnetic resonance imaging study of human brain development. Neuropsychopharmacology. 2015

Cervello in adolescenza Casey, B.J., Getz, S., and Galvan, A. (2008). The adolescent brain. Developmental Review, 28, 62–77. 

Harris, P. L. (2006).  Social cognition.  In W. Damon & R. Lerner (Eds.), Handbook of child psychology (6th ed.).  New York: Wiley.

Damon, W. (2008). The path to purpose New York: The Free Press.

James, W. (1890). The principles of psychology. Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1983; trad. it. Principi di psicologia, Milano, Società editrice libraria, 1901.

Mead, G.H. (1934). Mind, self and society. Chicago, Ill., University of Chicago Press; trad. it. Mente, sé e società, Firenze, Giunti-Barbera, 1966.

Higgins, E. T. (1987) Self-discrepancy: a theory relating Self and affect, in “Psychological Review”, 94, pp. 319-340.

Marcia, J. E. (1980). Ego identity deve- lopment. In J. Adelson (Ed.), Handbook of adolescent psychology. New York: Wiley.

Identità in adolescenza. Anna Rita Calabrò, « Di che parliamo quando parliamo d’identità? », Quaderni di Sociologia, 63 | 2013, 85-104. https://journals.openedition.org/qds/422

Sitografia:

https://www.stateofmind.it/2017/11/lobi-frontali-corteccia/

https://it.wikipedia.org/wiki/Bisogno

https://it.wikipedia.org/wiki/Pubertà

https://www.lefrasi.com/frase/victor-hugo-adolescenza-piu-delicata-delle-transizioni

https://www.treccani.it/enciclopedia/desiderio_(Universo-del-Corpo)/

https://www.arateacultura.com

ABSTRACT

La parola “Adolescenza” significa crescere, nutrire, essere in tensione verso una pienezza. All’alto potenziale di sviluppo degli adolescenti si accosta un’elevata sensibilità che gli permette di credere in un’ideale e combattere per conquistarlo. In una metamorfosi di tumulti e fragilità, ogni ragazzo intraprende il viaggio verso la conquista della propria identità. L’arrivo dell’adolescenza coincide con la prima volta in cui si inizia a cercare di capire quale sia il proprio impatto sul mondo, cosa si riflette. Attraverso lo sguardo di occhi curiosi, la necessità di intraprendere per la prima volta uno scambio ricercato e profondo, nasce una nuova comunicazione, fatta di domande e rimandi con l’ambiente, che si fa specchio della nostra presenza.

Linda Barberis

Redattrice in psicologia