Filosofia

Il gioco come forma d’arte e avventura – Tra Nietzsche, Fink e Simmel.

Di Anna Rivoltella

Introduzione al paragone

Il filosofo fenomenologo tedesco del ventesimo secolo propone un’analisi del gioco come pratica essenziale e connaturata all’uomo, tanto da distinguerlo dall’animale che invece non lo pratica. Eppure sembra che, con l’età adulta, una presunta maturità induca a eliminare dalla propria vita la pratica giocosa, ritenendola forse inutile, una perdita di tempo troppo infantile. È invece proprio per questo tipo di caratteristiche che tale azione detiene la sua importanza per la felicità – fine intrinseco e ultimo dell’essere umano, anche se indefinibile e irraggiungibile – e per cui denota una vicinanza con alcune forme d’arte. Si propone qui, infatti, una somiglianza tra il gioco visto come ‘oasi’ da E. Fink nel suo libro L’oasi del gioco, e il concetto di avventura riscontrabile in Georg Simmel in Stile moderno, nonché alla descrizione del dionisiaco di Nietzsche ne La nascita della tragedia. In tutti questi fenomeni, si riscontra la caratteristica di atemporalità, assenza di finalità esterna, distanza, riconciliazione con la vita.

Il gioco secondo Eugen Fink

In merito al gioco, Fink sostiene la sua essenza di “Impulso vitale: il gioco è, per così dire, l’esistenza che si muove da sé. Eppure è anche ciò che sottrae l’uomo dal paradosso proprio dell’esistenza, ovvero quel ‘’futurismo’’ per cui il soggetto è sempre alla ricerca della felicità, senza mai definire lo scopo finale in cui consiste. […] Non si svolge in funzione dello “scopo finale”, non è inquietato e interrotto, come invece il nostro agire, dalla profonda insicurezza della nostra interpretazione della felicità”. Tale pratica crea appunto un’oasi di spazio e di tempo in cui i problemi e gli affanni quotidiani non rientrano, perché “il gioco ci rapisce. Giocando veniamo sgravati per un momento dall’andirivieni quotidiano della vita”.

Impedendo il pensiero della ricerca alla felicità finale, ma catturando l’attenzione del giocatore sul suo presente, l’attività ludica regala appagamento istantaneo, senza alimentare il bisogno di cercare obiettivi ulteriori: “i singoli momenti nel corso del gioco hanno i loro scopi particolari, che si armonizzano gli uni con gli altri”. E questa prevalenza del momento presente, rispetto al pensiero incessante e angoscioso del passato e futuro che invece caratterizza la normalità, “implica una distanza. Proprio nella misura in cui sembra differire dal flusso unitario della vita, si riferisce invece significativamente proprio a questo, e cioè attraverso una sua rappresentazione”. Queste sono le peculiarità del giocare, che rendono il gioco un’oasi in cui si vive una dimensione quasi metafisica.

G. Simmel
G. Simmel

Paragone con l’analisi di Georg Simmel

Tale studioso è difficilmente classificabile in un unico settore disciplinare, poiché intreccia argomenti che spaziano dall’arte alla sociologia, dall’estetica alla filosofia, e quindi è utile all’analisi proposta per trovare un collegamento tra arte, quadri, avventure e gioco. Cardine del suo studio è la distinzione tra arte e il resto, cioè tra il quadro in un museo (arte) contenuto nella cornice, e il muro su cui è appeso (oggetto normale non artistico). La sua tesi è che elemento caratterizzante l’arte è la forma, ossia le leggi estetiche che all’interno della cornice rendono la figura perfetta, delimitata, conchiusa in sé stessa, un po’ come l’oasi di Fink. Simmel giunge a una tesi ulteriore, per la quale nello stesso modo in cui il quadro si distanzia dalla normalità, l’esperienza avventurosa si differenzia dalla quotidianità. Anche in questo caso, egli vuole enfatizzare la distanza delle due forme di vita e socialità, perché in una, l’avventura, l’uomo riesce a vivere l’istante, pensare al presente di un tempo sospeso e scollegato dal resto degli avvenimenti ordinari che hanno invece relazioni tra loro. L’avventura contrasta con la biografia di una persona perché isola il materiale della vita quotidiana in una forma conchiusa in sé stessa, perfetta, autosufficiente, atemporale e senza scopi ulteriori.

È facile notare, quindi, la proporzione e i rapporti di somiglianza e corrispondenza che sussistono tra gioco e normalità, quadro e muro, arte e non, avventura e quotidianità. Scrive Simmel: “L’avventura si ha quando una porzione dell’esistenza, seppure intrecciata alla concatenazione ininterrotta di una biografia, viene sentita come un tutto a parte, come un che di unitario e in sé conchiuso”. L’avventura, come il gioco, fa parte della vita e si conclude perfettamente, conciliando caso e necessità, è “Un’esperienza che ha luogo soltanto quando il primo aspetto, quello fortuito ed esteriore, si lascia decifrare in qualche modo a partire dal secondo aspetto, quello intrinseco e necessario” allo stesso modo in cui Fink racconta il gioco, che “Polarizza gli elementi di cui la vita è fatta e, portandoli alla loro espressione suprema, come se l’uno e l’altro non fossero aspetti di un’unica essenza misteriosamente indivisa, ce li rende intimamente più percettibili”. Anche riguardo alla temporalità si testimonia la prevalenza del presente, l’avventura infatti “è un presente assoluto, un’accelerazione talmente brusca del processo vitale che il passato e il futuro vengono meno e la vita si raccoglie in se stessa con un’intensità che non di rado risulta indifferente o quasi alla natura concreta del contenuto.”

Come Fink menziona la presenza un qualcosa nel gioco che sgrava l’individuo dalla sua preoccupazione per la felicità regalandogli per un istante un significato ultimo che basta a se stesso, così nell’avventura l’uomo trova pace, quasi una giustificazione delle contraddizioni della vita, in quanto essa sembra soddisfare pienamente il desiderio umano di perdersi in qualcosa di superiore alla mera individualità. Conclude infatti Simmel “L’avventura è solo un pezzo di esistenza accanto ad altri, ma appartiene anche al novero di quelle forme abitate da una forza misteriosa che per un breve attimo hanno il potere di farci sentire l’intera totalità della vita come loro adempimento e loro sostrato, del tutto a prescindere dal contributo che danno alla vita e alla contingenza dei singoli contenuti. Quasi che la vita stessa esistesse al solo scopo di realizzarle.”

Nietzsche
Nietzsche

Paragone con l’analisi della tragedia di Nietzsche

Per affrontare l’ultima analogia con il gioco visto come oasi, è interessante prendere un concetto alquanto complicato, che meriterebbe una trattazione con molte premesse ma che andrebbero fuori tema. Quindi prendendo gli elementi sufficienti per capire, basta sapere che il ‘dionisiaco’ in Nietzsche, è una categoria che lo studioso elabora ne La nascita della tragedia, per spiegare l’origine di tale arte greca antica. Egli vede la tragedia come connubio perfetto tra Apollo e Dioniso, nomi delle due divinità olimpiche utilizzati come espedienti per indicare due istanze presenti nella natura: il principium individuationis (Apollo) e l’Uno originario (Dioniso). In breve, la tragedia greca è stata capace di conciliare i due principi grazie alla trasfigurazione apollinea, ossia alla trasformazione in forme artistiche armoniose della sofferenza originaria. Secondo Nietzsche, la realtà nasce da un’unità della natura, Dioniso, che è stata frammentata nelle differenze cioè i singoli individui, da Apollo, causando una condizione umana sofferente e dolorosa. Le due divinità però nella tragedia collaborano, e regalano allo spettatore, grazie all’elemento artistico, l’effetto di un gioco, ovvero lo sgravano del peso della sua vita, della ricerca di uno scopo finale, dalla sofferenza della loro individuazione. La musica secondo Nietzsche è capace di trasmettere agli ascoltatori la speranza di un ritorno all’unità primordiale, sfuggendo alla frammentazione che fa tanto soffrire, riprendendo testuali parole infatti “L’uomo si presenta cantando e ballando come membro di un’unità superiore”, e “la potenza estetica di tutta la natura si rivela nei brividi dell’ebbrezza come massimo appagamento dell’uno originario”.

È come se Nietzsche dicesse in termini molto più elaborati, complicati, profondi e metafisici, che l’arte vera e propria dona sollievo e piacere all’uomo perché egli durante la visione della bellezza si dimentica di se stesso e della sua vita, del tempo, e si sente parte del mondo, di un’unità superiore alla sua individualità, viene sgravato dai suoi problemi. Solo così, esteticamente, grazie all’arte, la vita viene giustificata. La stessa vita che impone il desiderio della felicità senza però soddisfarlo, permette qualche attimo di sospensione nel tempo e fuga da questo contrasto di affanni quotidiani. Nietzsche, in teoria, vede all’origine del sentimento di unità il dio greco Dioniso, ma in sostanza intende indicare quel sentimento di comunione che investe, ad esempio, i fan a un concerto, quando tutti cantano la stessa canzone, in un’estrema e paradisiaca solidarietà, vicinanza, fratellanza, e nel presente, distante dal resto delle abitudini. Apollo è, invece, la divinità che fa soffrire, perché relega ogni individuo nel limite della sua soggettività, nella sua vita, nel suo tempo inquieto, facendogli desiderare di vivere istanti in cui dimenticarsi della sua sofferenza, come ad esempio sono i momenti del gioco, dell’avventura, dell’arte. Persino nella riconciliazione con la vita, sentimento dionisiaco e gioco trovano un connubio: “Il gioco è attività creativa – e tuttavia ha una qualche somiglianza con le cose eterne e quiete” (Fink). “L’esistenza e il mondo appaiono giustificati soltanto come fenomeno estetico” (Nietzsche). Il gioco e l’arte rendono la vita – inquieto dolore – degna di essere vissuta, dimostrando che, a volte, essa appaga.

Conclusioni

Si vuole dunque proporre in questa sede un’azzardata, ma giustificata, proporzione tra oasi del gioco e ciò che gioco non è, tra la completezza delle forme di un quadro e la casualità del muro che lo sostiene, tra la concentrazione di vita dell’avventura e la routine quotidiana della normalità, tra le forze di unione originaria di Dioniso e la sofferenza per la propria individuale differenziazione propria di Apollo. Si ravvede in tutti questi fenomeni (gioco, arte, avventura, dionisiaco) le peculiari caratteristiche di atemporalità, presente, soddisfazione degli scopi in sé stesse, distanza dal resto delle forme di vita e socialità, unicità dell’esperienza, e sentimento di appartenenza a una comunità superiore che sgrava l’individuo del proprio affanno personale.

Con la tesi avanzata, forse si riesce a ricoprire il gioco di una qualche serietà in più rispetto allo sguardo diffidente degli adulti, che si preoccupano più dell’affermazione di sé, invece che dell’adesione a una sospensione in un’oasi o comunità. Così persino quel tanto denigrato gioco di fare filosofia viene rivestito di un ambizioso e nobile compito: l’attitudine a creare un ritaglio di mondo dove giocare alle proprie regole, a comportarsi “come se”, dove ognuno è libero di spaziare nella libertà dell’altro, con rispetto, e scoprire anche qualcosa di sé. Il gioco, come il dialogo, permette di superare il confine tra ‘me’ e ‘altro’ rientrando in una dimensione superiore di partecipazione, di appartenenza a un qualcosa di più unitario rispetto alla propria mera volontà individuale. Per questo motivo è importante, sempre, creare delle oasi di gioco: alla fine, si scoprirà che anche ciò che sembra privo di scopo aiuta a raggiungere l’obiettivo più ambito dall’umanità: essere felici.


Bibliografia

E. Fink, L’oasi del gioco, Cortina, 2008

G. Simmel, Stile moderno, Einaudi, 2020

F. Nietzsche, La nascita della tragedia, AcQuarelli, 1996


Anna Rivoltella

Redattrice di filosofia