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Lettere II – La coscienza sociale e i suoi determinanti

Cinzia Pedruzzi, Alter ego

Gentile Zeno Sguatteri,

la presente per continuare le lezioni ad personam cominciate lo scorso 24 febbraio.

Un incipit orrendo (non cominciare mai una lettera letteraria in questo modo), ma rasserenante, non fraintendibile. Almeno, questa volta non posso aspettarmi che i tuoi genitori mi facciano visita – che lo facciano nuovamente –, agitando la nostra prima lezione come una mazza e trattandola quale uno scartafaccio qualsiasi. Anzi, come lo scartafaccio sul quale ho osato rimproverare il loro bravissimo figliolo, che è impossibile che abbia gettato un libro nel cestino della classe. “La prima frase ci è bastata”, suonavano a ogni mia replica, vanificando ogni tentativo di spiegar loro che sarebbe stato sufficiente leggere oltre per capire che non ti scrivevo per vendicarmi – e, in assoluto, che la lettera non era rivolta a loro.

Per fortuna – mi dici – sei riuscito a leggere l’intero scritto prima che mamma e papà lo cestinassero, a loro volta emulando il tuo stolto comportamento. Mi auguro che sia così, dal momento che in questa lettera ho intenzione di riprendere il discorso dell’ultima puntata per chiarire alcuni particolari che ho volontariamente omesso per risparmiarti tragiche indigestioni.

Ricordi? Parlavamo dell’intellettuale, ovvero del pensatore indipendente. “Indipendente da cosa?”. Dicevamo, dai paradigmi della coscienza sociale maggioritaria, cioè dal pensiero preconfezionato e offerto a ogni individuo dalla cultura dei suoi tempi e della sua società. Occorre subito precisare questo snodo molto delicato: non per forza l’intellettuale prende le massime distanze dalla moda: può anche succedere che egli condivida tutti o parte dei costumi di pensiero tendenziali, ma a posteriori rispetto a una valutazione critica che abbia conciliato la propria sensibilità con gli assiomi societari, senza rinunciare all’interpretazione del mondo che gli pertiene in quanto soggetto, dopo aver messo in discussione il suo ambiente. Anche in questo caso egli è un individuo che fa valere la propria sensibilità, una sensibilità coerente con le circostanze che l’hanno plasmata. L’intellettuale è quindi indipendente non tanto dagli assiomi societari, bensì dall’insistenza con cui questi cercano di attecchire per conformare vari soggetti. I conformisti sono coloro che non mettono in discussione niente, e quindi sviluppano un pensiero semplicistico, che è l’esatto contrario di quello critico; li chiamo “conformisti” perché assumono deliberatamente tutti quanti quella forma d’uomo che stimola la coscienza sociale di una determinata società.

Ma che cos’è questa coscienza di cui parlo quasi dando per scontato che tu ne abbia una perfetta conoscenza? Per non rendere il discorso più astratto di quanto già possa sembrare – giuro di inserire un esempio, poi – è bene che io ridefinisca meglio il concetto. Nell’ultima lettera parlavo dei paradigmi – che ho anche chiamato “assiomi” – di quest’entità coscienziale, ovvero di informazioni che l’individuo che si sviluppa in una determinata società non può far altro che percepire come verità, dati di fatto che non hanno bisogno di essere dimostrati. Li percepisce come tali perché cresce in un mondo che glieli insegna senza ammettere repliche: durante la crescita del bambino, infatti, egli non ha una razionalità da opporre a queste fattualità, almeno fino a quando non matura intellettualmente. Si tratta quindi di un percorso, lungo fino alla maturità, in cui l’individuo è travolto da informazioni che appartengono alla sua società, alla sua cultura, al suo tempo. Tali informazioni coniano in lui una coscienza sociale.

Pier Paolo Pasolini scriveva, nelle sue Lettere luterane (che ti consiglio come lettura se fatichi a capire questo snodo: lui lo spiega meglio di me), che ciascuno apprende gli assiomi di cui ti parlo grazie a una conoscenza per oggetti; che cioè una specifica coscienza sociale si sviluppa in seguito al rapporto che un bambino di una determinata società intrattiene con quel contesto di cui fa parte. Così un ragazzo del Guatemala cresce con principi diversi da quelli che forgiano un suo coetaneo italiano, poiché vive la sua infanzia – e non solo – circondato da oggetti pertinenti a due consorzi sociali distinti. Pasolini diceva anche che un ragazzo borghese del Nord assume valori diversi da quelli che plasmano un meridionale di origini contadine: tutto ciò è verissimo, ma non corrisponde più all’odierna situazione italiana – il che è una spia di come le società cambino nel corso del tempo. Avremo modo di parlare anche di questo, più avanti: per ora è importante che tu abbia bevuto la polpa del discorso.

Non solo gli oggetti costruiscono la coscienza sociale di un individuo: anche l’insegnamento dei coetanei gioca un ruolo di spessore. È ancora Pasolini a dirlo: questa volta lo cito, così magari ti viene veramente voglia di leggerlo.

Dopo il linguaggio pedagogico delle cose, che tanta e così definitiva influenza ha avuto nel farti come sei, passiamo al linguaggio pedagogico dei tuoi coetanei: i quali, in questo momento della tua vita (quindici anni) sono i tuoi più importanti educatori. Essi esautorano ai tuoi occhi sia la famiglia che la scuola.

Pier Paolo Pasolini, Lettere luterane

Essi ti insegnano tutto, da come vestirti a come comportarti nelle diverse occasioni che riserva la vita a un adolescente della tua età. Oserei aggiungere che l’”atteggiarsi come il branco” è un tratto antropologico, che non varia nel tempo e resta tale in tutte le epoche e società: si tratta di una costante sociale, come ne vedremo altre nel percorso epistolare.

Banalmente, sei influenzato dai tuoi amici, alla tua età, quando iniziano a prenderti in giro perché sei l’unico, tra di loro, che indossa un giubbotto vecchio, non di marca, magari viola o di un colore che piace solo a te, e dunque costringi i tuoi genitori a comprartene uno che sia esattamente come quello che hanno i tuoi coetanei – che seguono presumibilmente la moda. Non ti importa se i tuoi genitori ti dicono che non è veramente importante quello che pensano gli altri: tu vuoi assomigliar loro perché altrimenti rischi di essere emarginato dal gruppo. Così i tuoi compagni diventano degli autentici maestri di portamento, superando per autorevolezza professori e famiglia.

Quando la coscienza sociale diventa la tua coscienza, senza che tu la metta in discussione o cerchi di analizzarla alla luce della tua sensibilità, ovvero di ciò che tu – e non gli altri – pensi e desideri, allora puoi considerarti – tuo malgrado – un conformista. All’insegnamento dei coetanei, così come anche a quello degli oggetti, si può reagire – chiaramente, quando si raggiunga la maturità intellettuale – attivando le competenze critiche che sono potenziali in tutti, evitando in questo modo lo sviluppo di un pensiero semplicistico, acritico.

L’ultima e più importante costante che influisce nel determinare la coscienza sociale è l’informazione, intesa come voce d’aggiornamento sui fatti che riguardano la vita di tutti i giorni. I vari comportamenti e suggerimenti dei coetanei possono essere spinti dalle informazioni che questi recapitano, dunque qui i due problemi si intrecciano.

Facciamo un esempio. Ipotizziamo che un giorno tu inizi a desiderare di frequentare l’università di Lettere dopo il diploma: ne sei entusiasta e lo racconti ai tuoi compagni, i quali ti rispondono però che è una brutta scelta, che devi stare bene attento perché non frutta occupazione, e che loro non ti aiuteranno quando finirai per strada a mendicare, dal momento che ti hanno avvertito. Se chiedi loro le motivazioni di quelle risposte, essi non te le sanno dare; asseriscono, al massimo, che hanno sentito dire tutto da altri e che si avverte come atmosfera in una società di tal fatta.

A questo punto tu potresti reagire in tre modi diversi: potresti lasciarti convincere da loro e rinunciare alla tua sensibilità, senza informarti sulla veridicità di quanto ti è stato detto – non occorre che ti dica come ti qualificherei se tu adoperassi questa scelta (un semplicista); potresti disinteressarti di quanto dicono gli altri, iscrivendoti subito a Studi Umanistici – in questo caso, però, compiresti un gesto che potremmo giungere sino a definire fascista, perché rifiuteresti il dialogo: un mancato confronto potrebbe avere serie conseguenze sul tuo futuro in caso di fallimento; potresti infine valutare la realtà dei fatti, informandoti, e scoprire che forse non è davvero il caso di frequentare l’università di Lettere, poiché non hai poi così tanta voglia di impegnarti per diventare uno scrittore, e non faresti il professore per nessuna ragione al mondo.

È fondamentale che tu conosca la fonte delle informazioni su cui si basano i consigli dei tuoi coetanei, per distinguere quanto esse possano essere accreditabili. Se l’informazione ha dei fondamenti sinceri e validi, non ti si potrebbe considerare un sempliciotto qualora tu decidessi di iscriverti a una facoltà diversa da quella che in cuor tuo desidereresti. Se non sei in grado di discernere l’informazione dalla falsità – in gergo fake news –, e accetti dunque il consiglio dei tuoi amici perché, confrontandoti con il sito bufale.it, leggi che hanno effettivamente ragione, sei un semplicista anche in quel caso, nonostante tu decida di attivarti per valutare la tua sensibilità alla luce dei fatti – questo attivarsi, infatti, non significa far valere le proprie competenze critiche. In genere il pensiero semplicistico viene alimentato dalla disinformazione – e la genera al tempo stesso –, poiché chi non mette in gioco la sua capacità critica accetta facilmente tutto quanto vede e sente, senza filtrare l’informazione veridica.

Dunque informati, Zeno, e fallo bene: impara a riconoscere le fonti affidabili, perché la disinformazione oggi dilaga, ed è capillare più che mai. Solo distinguendo le verità dalle falsità, facendolo come esercizio del tutto personale, applichi la tua facoltà critica, ti confronti e conosci.

                                                                                                                                              8 marzo


Credits:
Cinzia Pedruzzi, Alter-ego – pastello, matita e gessetto su cartoncino, 30*40

Autodidatta sin da giovane, Cinzia Pedruzzi viene indirizzata alla scuola d’arte del maestro Ernesto Doneda da Brembate.
Sotto la sua guida perfeziona la tecnica della pittura ad olio, esprimendo uno stile figurativo moderno, paesaggi e nature morte. La ricerca delle forme la spinge allo studio del disegno e alla rappresentazione del corpo umano, dedicandosi successivamente al ritratto. Interessata allo studio dell’arte e curiosa di formarsi su nuove tecniche espressive, apprende la tecnica dell’affresco e la manipolazione plastica della materia, rappresentando in terracotta figure umane e busti. Insegna in corsi di disegno, pittura ad olio e manipolazione della terra.
Collabora per la realizzazione di corsi scuola con due amministrazioni locali. Ha partecipato a varie rassegne d’arte, mostre collettive e tenuto esposizioni personali in svariati centri culturali. Iscritta al Circolo Culturale Bergamasco dal 1997, partecipa alla collettiva annuale presso la sede di Bergamo.

Sito Web di Cinzia Pedruzzi
Pagina Instagram


https://it.wikipedia.org/wiki/Lettere_luterane

https://www.arateacultura.com

Diego Ghisleni

Vicedirettore e redattore