Filosofia

L’idealizzazione di una persona: amore o illusione? Una riflessione guidata da Galimberti attraverso ‘Le Notti bianche’ di Dostoevskij

Un Gioiello – Opera di Sassoraviolo
Un Gioiello – Opera di Sassoraviolo

L’idealizzazione come componente fondamentale dell’amore, spiegata da Galimberti

Umberto Galimberti è un filosofo e accademico italiano del 1942 tra i più conosciuti grazie alle conferenze ampiamente diffuse, inerenti temi riguardo la società contemporanea della tecnica e la condizione psicologica nichilista dei giovani. La sua formazione avviene all’ Università Cattolica di Milano in filosofia, ma la laurea è solo l’inizio di uno studio sempre più approfondito e appassionato che continua tutt’ora, spaziando anche nella psicanalisi, psicologia, psicopatologia e altri  ambiti che studiano lo scibile dell’umano.

La sua indubbia competenza conferisce autorevolezza alla penna che nel 2013 regala al mondo un piccolo capolavoro su uno dei temi più affascinanti, sfuggenti e comuni da quando la vita esiste: ‘Le cose dell’amore’ Milano, Feltrinelli.  In un capitolo Galimberti tratta un atteggiamento tanto diffuso quanto difficile da riconoscere : l’idealizzazione. Nonostante la reputazione da pessimista spesso associata al pensatore, si legge nella sua trattazione dell’amore una valorizzazione di tale azione ottimista che riveste di sogni e perfezioni la persona amata. Scrive infatti molto chiaramente: “Amore non è una condizione passiva, ma una costruzione attiva che trasforma una realtà per sé insignificante in una fascinazione, grazie a quell’idealizzazione che l’amore vuole realizzare”.

Può sembrare ai meno sognatori una forma di comoda illusione, ma non è così, in quanto è l’unico canale per innamorarsi davvero, infatti segue: “Attenti dunque al ‘sano realismo’. Esso è l’ultima illusione che costruiamo per difenderci anticipatamente dalla disillusione. Ma in queste regioni, abitate dalla prudenza scambiata per ‘esame di realtà’, non è dato incontrare le case d’Amore”. Queste poche parole sono sufficienti per rievocare in chiunque abbia superato la fine di un sentimento amoroso il ricordo della dolcezza degli occhi innamorati e l’amarezza del seguente disincanto.

Con questa concezione velatamente ambivalente dell’idealizzazione, sfiduciante per il rischio di delusione che comporta, ma desiderabile per l’emozione che regala, si può indagare la seguente storia ponendole le giuste domande. Chi è il vero sognatore? Ama più chi idealizza o il realista? E questa ambita realtà è davvero del tutto esente dalle nostre proiezioni?

‘Le Notti Bianche’ di Dostoevskij: innamoramento tra attesa e presenza

Fëdor Dostoevskij, letterato russo dall’inestimabile talento e ineffabile profondità umana, pubblica il libro ‘Le notti bianche’ in età giovanile nel 1848, poco prima di vivere la minaccia di una condanna a morte tramutata in lavori forzati. Il racconto qui analizzato si distingue dalle altre sue opere: è più aulico, ma non superficiale, degno di essere anche plasmato nel cinema di Luchino Visconti nel 1957.

Ambientato a San Pietroburgo si svolge in quattro notti, nelle quali si intrecciano le vite dei tre protagonisti: una diciassettenne orfana che vive rinchiusa dalla la nonna tirannica in casa sua, un vicino di casa affascinante, e un giovane solitario e sognatore. La prima sera la ragazza, Nasten’ka, passeggia su un pontile e viene salvata dal giovane che respinge alcuni passanti molesti. Lui le confessa di volerla rivedere perché quel primo incontro è stato l’istante più intenso e folgorante della sua vita di passeggiate contemplative senza meta. Lei accetta, ma con la clausola di rimanere solo amici.

La sera successiva, Nasten’ka promettere al nuovo conoscente che staranno stare insieme, forse per alleviare la propria solitudine. Ma il cuore della ragazza è già impegnato, dilaniato dall’attesa del vicino di casa della nonna che aveva frequentato una volta al mese per poco tempo, con la scusa di uscire a teatro, e che l’aveva fatta appassionare alla lettura consigliandole alcuni libri. I due si erano promessi l’unione nel matrimonio, e Nastn’ka aveva aspettato un anno affinché lui tornasse da Mosca con abbastanza soldi per sposarsi. Erano ormai tre giorni che il promesso sposo era a San Pietroburgo, ma lei non aveva ancora avuto sue notizie. Dopo un ultimo presunto appuntamento concesso, ma mancato, la ragazza si dispera e l’amico sognatore la consola, provando un misto di gioia e pena per saperla felice con l’amore di un altro uomo. Nasten’ka si rende conto di quanto il giovane sia buono con lei e si chiede perché il suo amato non sia come lui, tuttavia, pur provando dell’affetto per il primo, non può dimenticare la promessa fatta al suo innamorato.

L’ultima notte il promesso sposo non si presenta ancora e il giovane sognatore, vedendo la ragazza disperata, le confessa finalmente il suo amore. Lei si lascia andare all’esaltazione che le suscitano degli occhi innamorati e promette di ricambiare il suo amore, ora svelato, non appena il suo cuore sarà guarito. Neanche il tempo di baciarsi e la scena viene interrotta da un uomo che chiama Nasten’ka per nome. Lei trema: è il promesso sposo che si è appena concessa di dimenticare. Ma basta un richiamo e Nasten’ka dimentica i buoni propositi, si gira un’ultima volta verso il sognatore, lo bacia, e torna per sempre dal suo amato.

L’abbandonato resta dunque immobile nella solita routine, con due ricordi di quelle notti bianche: una lettera di ringraziamento di Nasten’ka per la sua premura, e il ricordo di un istante, uno solo, di beatitudine.

La difficoltà di distinguere realtà e illusione nell’amore

A primo impatto il racconto sembra concludersi con il il fallimento del sognatore. Probabilmente il lettore a fine storia patteggia proprio per lo sconfitto, perché nella lettura (o durante la visione del film) ci si affeziona e gli si augura più felicità rispetto all’altro pretendente, che non agisce direttamente nella vicenda, ma è motore della trama da lontano. Questa assenza è cruciale per capire il segreto indagato sotteso a ‘le notti bianche‘. Al che ci si chiede: il vero sognatore è il ragazzo che, vagando, si innamora a prima vista di una giovane? Oppure è Nasten’ka, che si convince di amare un uomo visto poche volte e ora lontano? O forse è proprio l’ultimo sfuggente protagonista il più idealizzatore che, dopo un anno di assenza, pretende di riprendere una relazione mai veramente iniziata?

Di certo lo scambio di storie che intrattenevano i due amanti clandestini (Nasten’ka e il vicino) rivestiva gli stralci di arida realtà di una fantasia addolcente. D’altro canto, c’è da domandarsi anche se l’atteggiamento più realista della ragazza sia confidare nella nascita di un sentimento nuovo, o ammettere di non riuscire ad andare avanti, abbandonandosi tra le braccia di una vecchia scelta. Nel secondo caso, quando si sa di essere vincolati sentimentalmente alla fedeltà verso un amore ormai lontano, una frequentazione concreta permette solo un’amicizia, poiché nel presente reale c’è meno spazio di immaginario piuttosto che nell’attesa di futuro ritorno, ignoto ma sperato, e quasi sempre idealizzato.

L’idealizzazione serve all’amore, ma deve avere un fondamento reale

Si può quindi azzardare un’interpretazione diversa da quella istintiva, che renda anche giustizia al concetto di idealizzazione di Galimberti come componente sana ed essenziale di un amore. La coppia finale (Nasten’ka e il vicino), secondo questo punto di vista proposto, è quella che si ama a livello ideale. Perché la loro relazione non si fonda su una condivisione effettiva di qualcosa, ma assomiglia più a una promessa sospesa che lascia spazio all’immaginazione a distanza, che alimenta la mancanza dell’altro, non tanto conosciuto quanto idealizzato.

Invece quello che la storia dipinge come sognatore è proprio colui che riesce a far combaciare ideale e reale, ritrovandoli e creandoli in una ragazza frequentata veramente, ascoltata, capita, contribuendo ad alimentare un’emozione appena nata. Questa immancabile immaginazione evidenzia che la realtà senza fantasia è forse semplicemente anonima, distante e sconosciuta, ma allo stesso tempo è necessaria per non vivere nell’illusione. Serve la combinazione perfetta tra realtà e idealizzazione, che il (quasi) sognatore realizza, per conoscere le cose dell’amore.

ABSTRACT “Canzoni che parlano d’amore, perché alla fine, dai, di che altro vuoi parlare?” recita Brunori Sas in “Canzone contro la paura”. Frase che con un’estrema semplicità sembra cogliere l’essenza della vita, il fine di ogni azione: l’amore. Proprio il più ineffabile sentimento infatti è stato trattato -e maltrattato- dalla letteratura, dalla filosofia, dall’uomo, in ogni salsa. Per l’ennesima volta ci sentiamo legittimati a riproporlo in questo articolo, senza il timore di risultare banali, perché la fonte di ispirazione dell’argomento è inesauribile. Dell’immenso autore che è Dostoevskij, prenderemo un breve racconto, ‘Le notti bianche’, per leggerne la vicenda amorosa che coinvolge i tre protagonisti attraverso gli occhi di Galimberti, che sa illuminarci riguardo a ‘Le cose dell’amore’. Sfida del lettore è accorgersi delle illusioni che quasi sempre Amore genera, rintracciando magari nella propria esperienza le volte in cui l’idealizzazione ha mascherato la realtà. Giudicare il ‘sognatore’ della storia rimane una scelta personale, così come in fondo l’amore non è una scienza esatta.

U. Galimberti, Le cose dell’amore, Milano, Feltrinelli, 2004

F. Dostoevskij, Le notti bianche, Russia, 1848

Anna Rivoltella

Redattrice di filosofia