Filosofia,  Rubrica - Inespresso

L’Inespresso – L’ironia della morte

Petronio
Petronio coe arbitro dell’eleganza nell’antica Roma

“Sono nato senza chiederlo e morirò senza volerlo. Almeno lasciatemi vivere come voglio” recita Jim Morrison in una delle sue poesie. L’imprevedibilità della sorte, a cui nessun vivente può sottrarsi, enfatizza sempre più lo stupore dei pochi eventi che sembrano architettati a regola d’arte. La casualità infatti guida sempre le nostre azioni, fino a quando nell’ultimo respiro viene sconfitta dal destino, che non è altro che la vita vista con gli occhi del suo esito. La fine ha il potere di evidenziare un filo conduttore che parte dalla nascita, giustificando ogni evoluzione con l’illusione che “doveva andare così”. Ed è un gioco che, come bambini, non vogliamo interrompere, tant’è che “ridiamo per mascherare il reale terrore della nostra mortalità” ci sbatte in faccia Woody Allen al cinema. ‘La certa’ si prende tutti, vincenti e falliti, padroni e dipendenti, artisti e visionari, e per quanto ogni vita sia degna di essere vissuta, c’è sempre un po’ di dispiacere in più quando si avverte il contrasto tra onorevoli imprese e miseri finali. Come i geni musicali di Amy Winehouse e Freddie Mercury, deteriorati dai loro stessi vizi, o promettenti rivoluzionari spenti da incidenti fatali o malattie crudeli. Si fatica ad accettare un evento di cui non si trova il senso. Ma ci sono modi anche memorabili e onorevoli di calare il sipario della propria recita, come quello di Petronio, nel primo secolo di un’antica Roma dilaniata dai vizi e dalla corruzione morale. Il poeta noto per la dedizione ai piaceri era in realtà un sognatore disilluso: criticava la decadenza della sua società, ma contemporaneamente non poteva sottrarsene, perché dipendeva dall’imperatore che aveva in mano il comando di tutti. Tra i godimenti della vita edonistica testimoniava comunque un alto senso del dovere, ed è infatti a testa alta, con onore e maestosità, che decide di mettere fine alla sua vita in un atto di completo dissenso. Si rivolta alla scelta subita della degradazione in cui viveva, con la decisione attiva della sua propria morte voluta: ribaltando la condizione umana, Petronio la vince. Si taglia le vene in mezzo a una festa, bevendo e ridendo, lasciando scritti scandalosi segreti di Nerone che condannavano la sua immoralità. Davanti a un fatto del genere, la morte acquista quasi un sapore di rivincita, di potere in mano all’uomo che non può eliminarla, ma può forse sfruttarla. Non per forza morendo per affermare sé stesso, ma vincendo la vita trovando almeno un valore per cui si sarebbe disposti a morire.

Anna Rivoltella

Redattrice di filosofia