Critica di Poesia,  Letteratura

Due grandi amici. I saggi “Per Vittorio Sereni” di Pier Vincenzo Mengaldo

di Simone De Lorenzi

Un grande amico che sorga alto su me

E tutto porti me nella sua luce,

che largo rida ove io sorrida appena

e forte ami ove io accenni a invaghirmi…

(da Un grande amico, ne Gli strumenti umani, 1965)

È in virtù del grande legame affettivo che li unisce che Pier Vincenzo Mengaldo si può permettere di intitolare in questo modo la preziosissima raccolta di saggi Per Vittorio Sereni (Quodlibet 2022). Non vogliono essere saggi su Vittorio Sereni, ma per lui: consegnati alla sua memoria come il regalo di un amico. Il volume aveva già visto la luce per Nino Aragno nel 2013, in occasione del centenario della nascita del poeta luinese, in una prima edizione che il critico – nella Nota introduttiva al recente volume – lamenta come «fantasmatica». Questa nuova edizione la riprende in toto, senza apportare modifiche ma con l’auspicio di vederle riconosciuto il giusto valore. E nonostante questi saggi (alcuni dei quali un po’ datati) vengano accolti dal suo Autore «con tante riserve» – a riprova dell’umiltà e dell’onestà intellettuale che lo caratterizzano –, ci confermano che Mengaldo rimane, tra gli esegeti sereniani ancora viventi, il più autorevole.

I diciassette testi qui riuniti – precedentemente apparsi in rivista o in volume, oppure preparati in occasione di presentazioni di libri; in alcuni casi il testo è stato riprodotto solo parzialmente – coprono un arco temporale che va dal 1972 al 2011, restituendo quasi quarant’anni di riflessioni riguardanti questioni tematiche (ad esempio quelle relative al tempo e alla memoria, o i riferimenti checoviani del Giardino dei ciliegi nel trittico Dall’Olanda), stilistiche, metriche. Com’è naturale, di Sereni viene privilegiata la produzione poetica (indugiando lo sguardo su raccolte, come nelle Note al Diario d’Algeria, o su singoli componimenti come Amsterdam e La spiaggia) e la sua attività di traduzione (da Williams, Char, Apollinaire; anche nel confronto con versioni adiacenti, in primis quelle di Caproni); ma guarda anche alla prosa de Gli immediati dintorni e alle sue “letture” di opere d’arte.

Nel suo procedimento Mengaldo lascia ampio spazio alle poesie, seziona i testi e fa parlare i versi, appuntando le sue considerazioni quasi a latere, in uno stile non eccessivamente arduo da comprendere ma che resta comunque rigoroso. Traspare l’enorme acume del filologo, che non si limita al poeta preso in oggetto nel libro ma spazia negli immediati dintorni della sua figura: l’esempio più evidente risiede nella Nota a “Festa d’Inverno” di Fernando Bandini, nella quale la traduzione sereniana è solo lo spunto per un esame puntiglioso del poeta vicentino.

L’ordine dei testi non è cronologico. Se lo fosse il punto di partenza risalirebbe al fortunato saggio Iterazione e specularità in Sereni del 1972, che tra le altre cose testimonia di un rapporto privilegiato anche a livello critico: lo scritto viene infatti rivisto da Sereni in persona ed è solo la prima traccia di una sodalizio che durerà fino alla sua scomparsa, nel 1983. Proprio in occasione della sua morte Mengaldo compone il Ricordo posto in apertura di libro: ed è significativo che l’incipit sia stato affidato a un testo, benché sempre di natura critica, intitolato in tal modo. È uno degli indizi che ci portano a notare come nel suo fare critico abbia a disposizione, oltre agli strumenti prettamente tecnici del lavoro filologico, degli strumenti umani eccezionali: ovvero colloqui e scambi epistolari (comprensivi di varianti poetiche inedite), chiarimenti privati e incontri personali; queste dinamiche – delle quali parla come un risvolto naturale del loro rapporto e non per farne sfoggio – emergono tra le righe e rivelano i punti di accesso tra i due uomini, ancora prima che tra il poeta e il critico.

Una chiave di lettura di questo rapporto può essere rintracciata nel testo – l’unico inedito – approntato per la presentazione orale de L’edizione critica delle poesie di Sereni (quella delle Poesie a cura di Dante Isella raccolte nel “Meridiano” Mondadori del 1995):

Sereni non è stato solo mio amico, è stato il mio grande amico: so che sto citando titolo e senso di una sua poesia, ma vorrei aggiungere subito che Vittorio, nella sua suprema discrezione e umanità, non ti stava mai “sopra”, anche quando molti anni e molta autorità lo dividevano da te, ti stava sempre accanto, come un fratello maggiore, anzi semplicemente come un fratello. (p. 75)

E Mengaldo, a sua volta, come critico non si pone al di sopra del poeta, ma entrambi si stabiliscono entro una relazione di stima reciproca. Né si pone al di sopra di altri critici: riconosce maggiori meriti a Dante Isella, «lo studioso per eccellenza del nostro e suo Amico» (p. 76), e Franco Fortini, «la voce più importante della bibliografia critica su Sereni» (p. 100), del quale è «il critico più acuminato» (p. 77).

In tutti i suoi interventi, a parlare è il Mengaldo critico ma è anche il Mengaldo confidente: lui stesso identifica questa amicizia come «condizione privilegiata per comprenderne l’opera» (p. 76). E ad essere scrutato è il Sereni poeta ma anche – e soprattutto – il Sereni uomo. Perché testi e vita vanno di pari passo; al punto che alcune citazioni sono sostenute non solo da un’analisi prettamente tecnica, ma da un raffronto con il suo carattere: «In Sereni [il tema] della memoria ha anzitutto uno stretto rapporto con la fedeltà, la qualità che l’uomo possedeva in modo fermissimo (come sa chi l’ha conosciuto)» (p. 44). Infatti nel libro trovano posto anche aneddoti che contribuiscono ad arricchire di vivacità la pagina, senza che i commenti perdano il loro spessore scientifico; l’autorevolezza del critico, anzi, ne guadagna in credibilità.


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