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Un confronto tra “La bella confusione” di Francesco Piccolo e “Diario di un’estate marziana” di Tommaso Pincio

di Chiara Girotto

È il 1963. Negli stessi mesi due dei nomi più importanti della cinematografia italiana concepiscono e realizzano due film che passeranno alla storia come l’emblema non solo del nostro cinema, ma di un’intera epoca di fioritura culturale. I registi sono Visconti e Fellini, i film Il Gattopardo e . Raccontare la nascita e la creazione di questi due film come fa Francesco Piccolo nel suo ultimo libro candidato al Premio Viareggio Rèpaci La bella confusione significa raccontare un mondo intero, e con esso i personaggi che lo abitano, tutti irrimediabilmente implicati nelle vicendevoli storie. Claudia Cardinale, Suso Cecchi d’Amico, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Burt Lancaster, Giorgio Bassani per nominarne alcuni: tra questi figura anche Ennio Flaiano.

Esattamente come la Cardinale fa la spola tra il set di , dove la sua comparsa è breve ma cruciale, e Il Gattopardo, di cui è protagonista nei panni di Angelica, Ennio Flaiano risuona sia tra le pagine de La bella confusione che in Diario di un’estate marziana di Tommaso Pincio, candidato al Premio Campiello. Nel primo libro è presentato alla luce del suo rapporto lavorativo e umano con Fellini, mentre nel secondo diviene il perno della narrazione. Solo che Flaiano, a differenza della Cardinale, non è costretto a tingersi i capelli per passare da un’opera all’altra.

Risulta curioso, o perlomeno degno di nota, che nello stesso periodo due scrittori, Francesco Piccolo e Tommaso Pincio, abbiano deciso di dedicare parte del loro spazio letterario a raccontare gli stessi anni, lo stesso settore – il cinema -, lo stesso uomo. Certo, le differenze abbondano: Piccolo parla di Flaiano perché parla di cinema, mentre Pincio parla di cinema, e di Roma, partendo da Flaiano. Eppure, in entrambi si percepisce la fascinazione, l’incanto per quel tempo artisticamente fecondo dove il Premio Strega era culturalmente rilevante per il nostro paese, in cui Roma era la Hollywood sul Tevere, un tempo in cui l’editor di Feltrinelli sfidava la sorte pubblicando l’esordio di un nobile siciliano decaduto e Visconti ne faceva un film. La bella confusione e Diario di un’estate marziana, insomma, respirano la stessa aria, tanto che a volte si nutrono degli stessi ricordi.

Le analogie si riscontrano facilmente anche nella forma ibrida scelta dai due autori. Come suggerito dal titolo, La bella confusione si presenta come un pot-pourri ben calibrato di elementi saggistici, aneddotici, autobiografici, e il libro di Tommaso Pincio, dichiaratosi editorialmente come diario, gli somiglierebbe molto, se non fosse per il tono introflesso, malinconico e meditabondo ben distante dall’euforia di Piccolo.

È il tono, appunto, ancora prima del tema principale, a distinguere nettamente i due libri. Leggendo La bella confusione ci si sente travolti da quell’amore febbricitante che Piccolo prova nei confronti di e del Gattopardo, si resta strabiliati apprendendone le coincidenze, gli incastri, le asperità; ci si tormenta imparando a conoscere due esseri umani e registi agli antipodi, Fellini e Visconti, che odiano e ammirano il genio, le ossessioni, i capricci reciproci.

In Diario di un’estate marziana invece, il fervore si stempera per tramutarsi in una voglia, pigra ma ineluttabile, di passeggiare per Roma ad agosto, senza una meta precisa ma anche senza annoiarsi, immergendosi in una città che, come scrive l’autore, è sempre postuma a sé stessa, un cinema all’aperto dove tutto è già stato visto e fatto. Il languore è quello di Flaiano, prima ancora che di Pincio, Flaiano che dona un contributo fondamentale a quella bella confusione restando, tuttavia, un eterno outsider infastidito dalla sua futilità.

Si potrebbe affermare che il libro di Pincio funge da contraltare all’entusiasmo di Piccolo; l’impressione è che lo scetticismo di Flaiano sul panorama artistico della sua epoca rallenti la frenetica giostra di episodi, curiosità, commedia de La bella confusione: l’aggettivo inutile, tanto amato dallo scrittore abruzzese, piove come acqua gelata sulla vicenda di Visconti che riempie i cassetti di biancheria ottocentesca anche se durante il film non verranno mai aperti, o sull’aneddoto di Sandra Milo che ingrassa di sei chili per volere di Fellini. Il Flaiano raccontato da Pincio va oltre l’immagine stereotipata dell’aforista arguto con poca voglia di lavorare, per diventare il filtro critico di una generazione di artisti, di una città, di un’industria.

Un filtro, questo, che getta un’ombra opaca sulla fama e sul successo, su quei concetti esteriormente disprezzati, ma intimamente cari tanto alla repubblica delle lettere quanto al mondo del cinema di ogni epoca. Il Flaiano del Diario di un’estate marziana percepisce la vanitas di senso e proporzioni bibliche mentre si abbatte su qualsiasi impresa artistica, persino su opere considerate grandiose come Il Gattopardo e . Meglio preservarsi dalla gloria restando però nei suoi pressi, meglio assumere lo stesso atteggiamento che ha con Roma: detestarla senza mai schiodarsi dal suo irresistibile campo magnetico.

Il fatto, direbbe a questo punto Francesco Piccolo, è che e Il Gattopardo sono due film grandiosi, creati in circostanze incredibilmente parallele, e sono tali proprio grazie alle frivolezze e al bisogno di apprezzamento di Fellini, al rigore maniacale e alla severità implacabile di Visconti. La creatività senza una certa dose di megalomania non esiste, i capolavori non si sfornano se non ci si procura un po’ irragionevole, pura e inutile ambizione. Anche queste sono componenti fondamentali de La bella confusione che vale la pena raccontare.

Ennio Flaiano tutto questo lo sa fin troppo bene; è il motivo per cui spesso non muove un dito, lasciando che Fellini gli rubi le idee come se le succhiasse da una cannuccia. La sua lucidità è spaventosa nell’accezione letterale del termine, perché gli permette di intuire che ognuno e ogni cosa, anche Fellini e Visconti e i loro film, verranno prima o poi dimenticati. La Roma dei cinematografi, dei ritrovi di artisti e letterati in Via Veneto, resterà in eterno impietosa e indifferente di fronte alla sua vasta umanità.

L’attenzione e lo stupore dell’Urbe, e dunque del mondo, durano un attimo, come ha avuto modo di riscontrare il marziano nell’opera teatrale di Flaiano da cui Pincio trae il suo titolo. Atterrato a Villa Borghese, il marziano, dopo la curiosità iniziale degli abitanti, si ritrova a camminare in solitudine tra le rovine e le piazze, come Flaiano, come Pincio. Resi saggi dalla consapevolezza del grande segreto, ossia che è tutto un gioco, a volte anche sciocco, si aggirano per i vicoli, paghi del loro osservare il passato di Roma che si fonde con il presente.

Senz’altro anche Piccolo sa del gioco, con la differenza che ne è molto divertito. Basti pensare a come ne La bella confusione è riportato l’episodio in cui Flaiano, costretto a viaggiare in classe turistica verso Los Angeles per una svista della produzione di , rompe la sua amicizia con Fellini. Per esporre al suo pubblico le motivazioni di tale brusca sferzata, lo scrittore ripercorre le tappe salienti del rapporto tra i due riportando citazioni, lettere, reminiscenze con una precisione al contempo appassionata e disinvolta, la stessa che assumono i bravi narratori quando gli amici domandano com’è andata davvero quella sera tra quei due.

Pincio inserisce la faccenda del volo in classe turistica quasi alla fine, e lo fa in maniera completamente diversa. Si avvicina alla figura di Flaiano in modo cauto e rispettoso: la scrittura si fa circospetta, come se si volesse evitare di incasellarlo, di inchiodarlo a una volontà non sua. L’incidente che rovina il rapporto tra lo sceneggiatore e il regista viene solo accennato in modo neutrale, alla pari di molti altri episodi della vita di Flaiano. È l’impressione generale, composta da una miriade di frammenti, a ricostruirne la figura di uomo sarcastico e ombroso, suscettibile, malinconico e disilluso.

Nonostante il divergere delle rispettive posture esistenziali, Francesco Piccolo e Tommaso Pincio condividono, almeno in queste ultime due opere, la tendenza a fondere il proprio vissuto personale con quanto raccontato. Così lo sguardo ironico e umbratile di Flaiano si riflette nella scrittura di Pincio, e il soprannome “Fellini” affibbiato a Piccolo, ammaliato dall’onirismo di , dal fratello sembra calzare alla perfezione. Per entrambi raccontare la magia a tratti oscura, a tratti miracolosa di quegli anni Sessanta in Italia significa mettere a nudo sé stessi e i presupposti più profondi del proprio lavoro.

La bella confusione e Diario di un’estate marziana andrebbero letti insieme, oppure uno dietro l’altro. L’esaltazione che provoca il libro di Piccolo, con quel suo saper riportare alla perfezione la magnificenza e le minuzie di quell’epoca dorata, va ponderata con la saggezza contenuta nel diario di Pincio. In questo modo dietro i walzer del Gattopardo e la scena dell’harem di si avverte il presagio del declino, lo splendore caduco che si confà al momento culmine del nostro cinema, e forse anche della nostra letteratura novecentesca.


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https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Piccolo

Chiara Girotto

Redattrice in Letteratura Reels Manager