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Premio Strega – Emanuele Trevi, “Due Vite” – L’amicizia è la forma d’amore più sincera

Perché noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene 

E. Trevi, Due vite, Neri Pozza, 2020 pp. 83-84

Quando sentiamo nostalgia per un tempo passato, non la proviamo per l’evento in se, ma per le emozioni che essa ci suscitava. Ci manca come qualcuno ci faceva sentire, come lo sguardo altrui si rifletteva, con violenza o delicatezza, su di noi. Non ripensiamo teneramente ai micro-traumi infantili propri di ogni uomo,  come la visione di una maestra arrabbiata, ma guardando a ritroso ricordiamo i momenti di complicità, lo sguardo soddisfatto di un genitore alla recita di fine anno, o quello spensierato di un primo amore. Più che in ogni altro rapporto, è nell’amicizia vera, quella che si sviluppa nel tempo, fino a consolidarsi nello scrigno della memoria, che si colgono storie di profonda autenticità, capaci di mostrare, a chi le racconta, la sua evoluzione come uomo. Rispecchiandoci negli amici, “compagni di avventura” nel labirinto dell’esistenza, possiamo conoscere noi stessi più di quanto possa fare un intimo diario segreto. Quello che siamo stati, in un passato, cambia con l’andare del tempo, e così è la nostra relazione con il mondo: in questo “gli amici di lunga data” sono dei fari, delle costanti capaci di indicare la terra, anche quando si è dispersi in mare.

Proprio di amicizia parla Due vite (2020, Neri Pozza) l’ultimo romanzo di Emanuele Trevi, finalista al Premio Strega 2021. L’autore ha conquistato pubblico e critica raccontando una storia semplice, ma con una straordinaria capacità ritrattistica nel delineare il profilo di una lunga amicizia, quella con Rocco Carbone e Pia Pera, due scrittori la cui vita si è interrotta, lasciando a Trevi solo la possibilità di imprimere il loro ricordo nel racconto.

Trama e struttura del romanzo

Il romanzo si sviluppa linearmente, senza alcun artificio narrativo: fabula e intreccio coincidono delineando uno scorrere del tempo che propende verso una conclusione preannunciata e inevitabile. Nessun colpo di scena, nessun climax, nessuno stratagemma, semplicemente la sincerità di un ricordo dai tratti sfumati, realizzato con impegno e religioso rispetto. I capitoli alternano il punto di vista del narratore/autore su Pia, e sui suoi “tratti masochistici” e su Rocco, un “sadico” geniale, rimanendo collegati da un filo, che ricongiunge l’incipit all’epilogo: un viaggio, fatto dai tre amici a Parigi e la visione (nel Museo d’Orsay) de “l’Origine del mondo”, un quadro scandaloso. Una cartolina, notata da Trevi nella casa dell’amica, ormai prossima alla morte, riconduce l’esito al principio, a quell’estratto di felicità descritto nell’oggi con tutti i suoi tratti dolci-amari. 

Lo stile adottato dall’autore non è né semplice né banale ed è capace di sottendere, senza false umiltà, una profonda conoscenza dell’eloquenza narrativa. Tale accuratezza descrittiva viene però contestualizzata dalle parole del narratore stesso, dal suo bisogno di rendere questa breve sequenza degna delle persone che la compongono. Non è facile scrivere di mondi fantastici e inventati, in cui l’immaginazione può dare libero sfogo ad un’infinità di snodi possibili, ma ancora più difficile è amalgamare l’arte dell’esercizio narrativo ad un racconto pregno di una verità passata a cui rendere omaggio. In questa impresa Emanuele Trevi trionfa e ci spinge a provare una sana “invidia nostalgica” nei suoi confronti: Pia e Rocco sono due esseri umani che avremmo voluto imparare a conoscere e sotto lo sguardo dei quali desidereremmo esporci. 

Inevitabilmente l’impronta autobiografica dell’autore, che si sovrappone al narratore, si mostra con evidenza nel continuo ritorno al reale, messo in risalto da tutte le descrizioni di luoghi, caratterizzati da un’onomastica precisa che riporta il fruitore a Roma (ma non solo), in un preciso e connotato spazio-tempo. Ma la sua presenza fissa è messa in luce, più che in ogni altro frangente, dalla forte emotività con cui la totalità del racconto è articolato: inevitabilmente la dimensione del ricordo, guidando la narrazione, evidenzia aspetti che vanno oltre l’esposizione “giornalistica” dei fatti, addentrandosi così nella sfera dei sentimenti che l’autore ha provato in relazione alla vita e alla morte dei due amici. 

Il lettore si trova quindi a vivere un’esperienza di “tenera autenticità”. Una storia semplice, guardata dalla giusta prospettiva, si trasforma in un dolce “elogio dell’amicizia” vista dagli occhi di colui che è sopravvissuto al tempo e sperimenta una nostalgia senza possibilità di ritorno. “Due Vite” commuove perché delinea il più essenziale dei rapporti umani, descrivendo una realtà che inevitabilmente ci appartiene e ci descrive nel nostro essere uomini. 

Pia, Rocco ed Emanuele: quando l’amicizia è la forma d’amore più sincera

E. Trevi e P. Pera in Due vite, Neri Pozza, 2020

Inspiegabilmente, alla fotografia si associa l’idea dell’immortalare, ma è un modo di dire sbagliato, non c’è nulla che più della fotografia, in un modo o nell’altro sempre vincolata all’attimo e al presente, ci ricordi la nostra transitorietà e futilità. Come l’angelo con la spada infuocata (il più incazzato e inflessibile degli angeli) il tempo ci sbarra ogni via del ritorno a quel paradiso terrestre che vediamo nelle fotografie, trasformando ogni gesto e ogni presenza nell’emblema di una caduta inarrestabile

E. Trevi, Due vite, Neri Pozza, 2020 p. 23

Nelle prime pagine del romanzo Emanuele Trevi inserisce una vecchia fotografia, l’unica testimonianza che a noi spettatori è concesso osservare. È letteralmente impossibile non soffermarsi a scrutare il volto di Pia e dell’autore, così pregni di felicità, e rimanerne di conseguenza colpiti. I volti ritornano nella narrazione continuamente, accompagnati dal profondo senso di nostalgia che inevitabilmente caratterizza la totalità del racconto. 

A innumerevoli esseri umani è dato questo destino, di ottenere molta più felicità dall’amicizia che dall’amore 

E. Trevi, Due vite, Neri Pozza, 2020 p. 28

L’amicizia, nella sua accezione più profonda, è un rapporto tra due persone che possono conoscersi a fondo, condividendo una vita intera, o gran parte di essa. È una relazione essenziale che condiziona inevitabilmente l’io nel suo rapporto con il mondo circostante. Si distingue dall’amore per un “maggior grado di indifferenza reciproca” e dunque una maggiore libertà. Anche, e soprattutto, nell’amicizia ci sono storie di straordinaria intensità emotiva, ragione per cui questo tema si è consolidato nel tempo come un vero e proprio “topos letterario”. Lo vediamo già nell’Iliade di Omero, con Achille e Patroclo, una delle amicizie più significative della tradizione greca, capace di sopravvivere anche alla morte; nella tradizione latina Eurialo e Niso, nell’Eneide rappresentano un legame profondo, ormai canonizzato. Facendo un salto nella modernità (1800) è emblematica l’amicizia tra Athos, Porthos e Aramis, i tre moschettieri di Alexander Dumas, per non parlare del binomio Sherlock Holmes e Watson nei romanzi di Sir Arthur Conan Doyle. Ma anche i romanzi strettamente contemporanei vedono questo tema coloniale insediarsi nella letteratura: riducendo all’essenziale le trame è in fondo di questo che parlano le saghe di “Harry Potter” e “Lord Of Rings”. 

“Due Vite” non si limita però a seguire il filo della tradizione letteraria ma lo arricchisce con un sottotesto filosofico e introspettivo. Per Emanuele Trevi, scrivere questo romanzo non significa solo portare al mondo della letteratura una grande storia di amicizia, ma rendere due persone amate indelebilmente impresse nella memoria di coloro che, tramite le sue parole, li conosceranno. L’autore ha bisogno di questo romanzo più di quando può averne il lettore. È una sfida contro una memoria e un passato, destinato a cancellarsi definitivamente, quando più nessuno in questo mondo potrà raccontare la dolcezza di Pia e gli spigoli di Rocco. L’unico modo per ingannare questo inesorabile destino è imprimere sulla carta un senso di fratellanza che, nel suo essere parte del quotidiano, va raccontato. Al termine del romanzo, viene dunque spontaneo chiedersi se non sia questo il significato ultimo dell’amicizia: il desiderio di mantenerla viva per l’eternità.  

 I nostri amici sono anche questo, rappresentazioni delle epoche della vita che attraversiamo come navigando in un arcipelago dove arriviamo a doppiare i promontori che ci sembravano lontanissimi, rimanendo sempre più soli, non riuscendo a intuire nulla dello scoglio dove toccherà a noi, una buona volta, andare a sbattere 

E. Trevi, Due vite, Neri Pozza, 2020 p. 111

L’equilibrio dell’unicità nei ritratti: Rocco Carbone e Pia Pera

Per parlare di “Due Vite” è fondamentale focalizzarsi su quei ritratti che Trevi, magistralmente (e a suo dire, non senza difficoltà) ha dipinto per portare, un’immagine nitida e personale di Pia Pera e Rocco Carbone. L’autore non si limita a descriverli ma si “autorecensisce”, spiegando al lettore la corretta chiave di delineazione dell’identità:

Più ti avvicini ad un individuo più assomiglia a un quadro impressionista, o a un muro scorticato dal tempo e dalle intemperie: diventa insomma un coagulo di macchie insensate, di grumi, di tracce indecifrabili. Ti allontani, viceversa, e quello stesso individuo comincia ad assomigliare troppo agli altri. L’unica cosa importante per questo tipo di ritratti scritti è cercare la distanza giusta, che è lo stile dell’unicità 

E. Trevi, Due vite, Neri Pozza, 2020 p. 18

La breve vita (in)felice di Rocco Carbone

 Rocco apparteneva a una cerchia molto intima di amicizie, negli anni era diventato quello che si dice una persona di famiglia. In questo piccolo gruppo di persone sapevamo tutti gli uni degli altri, fin nei minimi dettagli, addirittura fisiologici 

E. Trevi, Due vite, Neri Pozza, 2020 p. 48

Fin dalle prime pagine, quando ancora il personaggio di Rocco non è definito nella sua totalità riusciamo a comprendere alcuni brevi tratti fondamentali che delineano la sua persona/personaggio. 

Parlare della vita di Rocco significa necessariamente parlare della sua infelicità, e ammettere che faceva parte della schiera predestinata dei nati sotto Saturno 

E. Trevi, Due vite, Neri Pozza, 2020 p. 17

Un profondo senso di infelicità accompagna Rocco già nell’infanzia, passata in un paesino di Reggio Calabria. In lui, fin dalla tenera età si poteva percepire il genio e la ricerca di un perfezionismo che prese vita successivamente, durante gli anni universitari e oltre, nella sua carriera da scrittore. Un animo sadico, nell’accezione sartriana, lo spinse alla continua ricerca della sopraffazione sull’altro, sia nell’ambito lavorativo che in quello sentimentale. L’autore ricorda i litigi e le discussioni, nelle quali Rocco si trovava sempre a voler prevalere, con una forte testardaggine, usuale per una mente così profondamente geniale. Lo sguardo della memoria del narratore non è candido, e forse, grazie allo scorrere del tempo, non reticente nel mettere in luce gli aspetti più contraddittori di quell’animo tormentato e troppo orgoglioso per ammettere di desiderare la felicità. 

 Solo dopo, con il passare del tempo, quando ormai non c’era più, tanti di noi si sono resi conto che quelle polemiche, quei puntigli, quell’aggressività che esplodeva spesso propiziata dall’alcool, avevano a che fare con lo stato più intimo e indifeso della natura di Rocco, erano un modo per occupare il centro dell’attenzione e chiedere quell’affetto di cui si sentiva sempre in credito. Non riusciva mai a percepire un voler bene silenzioso e privo di manifestazioni tangibili. E se il prezzo di ciò di cui più aveva bisogno era il fare sentire in colpa gli altri, ebbene, si sentissero in colpa! 

E. Trevi, Due vite, Neri Pozza, 2020 p. 46

Nelle lunghe porzioni di vita in cui il percorso dell’autore e quello di Rocco si sono incrociate vi è però un brusco allontanamento descritto come quel “rimorso” presente in ogni amicizia. Una decisione unilaterale, quella di Trevi, un allontanamento forzato e responsabile, anche se solo in parte, dell’incremento di quel senso di infelicità insito nell’amico. Per molto tempo neanche una telefonata, solo un vuoto che emerge nel racconto come la necessità, per proseguire, di “scavalcare il buco, lo strappo nel tessuto creato dalla mia colpa”. È l’ultimo romanzo di Rocco, “L’apparizione” ricevuto dal narratore nell’inverno del 2002, accompagnato da una breve dedica, a rinsaldare il vuoto che quella brusca interruzione dell’amicizia aveva lasciato: un lungo scambio di opinioni al telefono rimette in moto il desiderio, implicito, di volersi ancora bene, di litigare per poi riappacificarsi. Un incidente stradale toglie Rocco dalla sua vita terrena, lasciando all’autore il peso di un rimpianto, mai completamente superato. 

Di una cosa sono sicuro: tra le tante fortune della mia vita, una delle più grandi e inestimabili è l’aver potuto recuperare e godere dell’amicizia di Rocco ancora per qualche anno, fino a quando la sorte ce l’ha strappato via (…): averlo ritrovato, essere riuscito in qualche modo, sicuramente imperfetto, a esprimergli quanto gli volevo bene 

E. Trevi, Due vite, Neri Pozza, 2020 pp. 67-68

Pia, un essere incantevole

Posso solo dire che ai miei occhi Pia è sempre stata un essere incantevole, questa è la parola che sento più vicina a lei, “Pia” e “incantevole” per me sono quasi sinonimi. Tutto ciò che è incantevole produce una specie di perpetuo scintillio, e le persone incantevoli spesso si consumano e infine si dissolvono nel loro sciame vorticante di minuscole luci 

E. Trevi, Due vite, Neri Pozza, 2020 p. 85

Delineare i tratti di Pia, per l’autore sembra essere molto più difficile. Il lettore immagina, leggendo, il suo ritratto, quello di una donna dalla bellezza anticonformista, un essere mite e ostile al conflitto. Una personalità dal grande spessore intellettuale, una traduttrice di romanzi russi propensa a guardare fuori da ogni schema. Lei, a differenza di Rocco rappresenta il masochismo sartriano, è vittima volontaria nel confronto con l’altro, elemento che emerge particolarmente nelle sue relazioni amorose. Parlare di Pia è più difficile e proprio per questo a lei è dedicata una porzione minore del romanzo: non è una decisione di carattere gerarchico, quanto piuttosto l’esito di una profonda difficoltà da parte dell’autore nel dare vita al suo personaggio, al di fuori del nucleo della memoria. In questo caso la cicatrice non è ancora totalmente formata, la ferita è ancora esposta.

Era la prima avvisaglia della SLA, l’inizio di quell’inesorabile calvario che Pia ha affrontato sostanzialmente in solitudine, nonostante gli amici, la madre, le persone che lavorano ai suoi libri, tutte le altre che l’hanno aiutata, e certamente Macchia, il suo ultimo cane 

E. Trevi, Due vite, Neri Pozza, 2020 p. A

Il decadimento in questo caso non è fulmineo, e anche in questo la donna si contrappone nettamente a Rocco. È una lenta regressione verso un inevitabile a cui l’autore assiste senza alcun potere, senza poter far nulla per evitarne il triste esito. Negli ultimi anni della sua vita, racconta Trevi, Pia lascia la frenesia della città, per rifugiarsi nella mite culla della campagna. Man mano che perde la sua indipendenza motoria riscopre e recupera l’arte del giardino e del giardinaggio, non in una dimensione pratica ma come una filosofia del ritorno alle radici dell’esistenza, alla natura. Una filosofia del vivere all’aria aperta con solo il cielo sopra la testa. Questa nuova dimensione riflette la sua poetica e ne diventa il punto focale: i suoi ultimi romanzi parlano di una nuova e sorprendente concezione della vita. Pia, racconta l’autore nelle pagine conclusive del romanzo, lascia questa terra splendidamente,  pregna di bellezza e dignità.  

Mi pare che siano in corso due processi paralleli: da un lato il decadimento fisico di cui nessuno comprende la dinamica, dall’altro un movimento in avanti dell’anima che si libera 

E. Trevi, Due vite, Neri Pozza, 2020 p. 119

“Due Vite”: la presenza dell’assente

Ascoltando le interviste rilasciate da Emanuele Trevi comprendiamo il motivo per cui questo romanzo merita di essere letto. L’autore non crea l’opera in funzione del suo pubblico ma esclusivamente per se stesso, perché ha bisogno di dare vita a questo libro. Esso si realizza come un piccolo miracolo, quello della “presenza dell’assente”. Quando proviamo una mancanza e la proiettiamo nel sogno il nostro io proietta semplicemente un’immagine, mentre nell’atto dello scrivere la mente si sforza in una determinata direzione: ciò che è assente ha qui possibilità di riemergere, come se fosse dotato di una volontà propria. Rievocare e riportare a galla tutti quei ricordi che parevano annegati nel mare della memoria restituisce alla vita, anche se solo per breve e irreale tempo, Rocco Carbone e Pia Pera.

Saranno davvero esistite due persone come Rocco e Pia? E di chi possiamo dire con certezza che ha avuto una vita felice, o infelice? Non è forse, di ogni emozione che accade davvero in noi, di ogni parola davvero importante, vero anche il contrario? Dal più minuscolo composto di molecole alle mostruose grandezze dell’universo è sempre l’impossibile che genera il possibile, questo è il marchio indelebile, il difetto di fabbrica della nostra esistenza, e nessuno può evitare di farci i conti, di scontare nel suo limitato orizzonte la pena decretata dalla legge universale

E. Trevi, Due vite, Neri Pozza, 2020 p. 113

Bibliografia:

E. Trevi, Due vite, Neri Pozza, 2020 p. 113

Sitografia:

https://it.wikipedia.org/wiki/Emanuele_Trevi

https://arateacultura.com/

Francesca Manzoni

Redattrice di Cinema e Letteratura