Letteratura

“La casa in collina” di Cesare Pavese: un viaggio dentro la solitudine della colpa

hill painting
Hunting Game in Shinnecock Hills, W. M. Chase (1895)

Non è che non provi una stretta se penso a chi è scomparso, se penso agli incubi che corrono le strade come cagne- mi dico perfino che non basta ancora, che per farla finita l’orrore dovrebbe addentarci, addentare noi sopravvissuti, anche più a sangue – ma accade che l’io, quell’io che mi vede rovistare con cautela i visi e le smanie di questi ultimi tempi, si sente un altro, si sente staccato, come se tutto ciò che ha fatto, detto e subíto, gli fosse soltanto accaduto davanti – faccenda altrui, storia trascorsa.»

C. Pavese, La casa in collina, Torino, Einaudi, 2020, p. 139

Sin dalle prime pagine, La casa in collina di Cesare Pavese si distingue dagli altri romanzi che raccontano la Resistenza e l’esperienza bellica dopo l’armistizio del 1943: il suo protagonista Corrado non combatte e non si schiera, ma ossessivamente riflette. La sua posizione è quella dell’astenuto che pur distinguendo il giusto dall’ingiusto, l’azione dalla passività resta sospeso in un limbo, colpevole di non aver scelto. Quali siano le ragioni intime e sofferte della rinuncia alla lotta è ciò che Pavese racconta, riversando nel suo parziale alter ego inquietudini e angosce che trascendono la contingenza storica. L’opera infatti si configura come una lunga confessione, intesa sia come ammissione di colpa che come dichiarazione del proprio disagio esistenziale. La guerra resta sullo sfondo mentre si compie il dramma di una coscienza lacerata, oppressa sotto il peso intollerabile della responsabilità.

La collina, gli altri

La vicenda è ricca di spunti autobiografici: ambientata nel 1943 in Piemonte, racconta la quotidianità del protagonista, che ogni sera abbandona Torino per sfuggire ai bombardamenti e sale in collina, dove lo attendono premurose due donne che lo ospitano. A differenza di molti altri, Corrado vive una condizione privilegiata: dorme in un letto caldo e può consumare tre pasti al giorno senza temere particolarmente per la propria incolumità. Il conflitto mondiale scalfisce la sua esistenza solo in superficie, permettendogli di passeggiare per la campagna con il cane Belbo. La collina, i muschi e il fidato animale: nient’altro serve a Corrado, che trova nell’isolamento forzato della condizione bellica conforto e rifugio. In un certo senso il dramma della distruzione e delle morti è per lui un espediente che giustifica il suo comportamento, legittimandolo.

Pur essendo consapevole della sua sostanziale indifferenza nei confronti di ciò che lo circonda, Corrado si sente impotente, immerso in quella che Montale definirebbe una disarmonia con la realtà. Peregrinando tra la radura e l’asfalto egli attende ansioso un evento, un’occasione di risveglio dal sonno morale. L’opportunità non tarda a giungere sotto le sembianze di Cate, un amore giovanile conclusosi in un modo brusco e goffo anni prima. La ragazza ha un figlio, Dino, che probabilmente è il frutto indesiderato di quella passione adolescenziale. L’incontro con Cate risveglia in Corrado la volontà di avvicinarsi al prossimo: nei giorni liberi accompagna Dino nel bosco e alla sera frequenta una vecchia osteria, dove la combriccola della donna si riunisce.

A differenza di Corrado, gli amici di Cate programmano di unirsi alla Resistenza, partecipano ai comizi in città, nascondono armi. Dopo dell’Armistizio di Cassibile la situazione prima relativamente tranquilla della collina precipita: tutti i componenti del gruppo vengono catturati dai nazisti, ad eccezione di Corrado e Dino, che si rifugiano in un collegio a Chieri. Per il protagonista ha inizio una fuga angosciosa che si conclude con l’arrivo al suo paese natio nelle Langhe. Uno scenario di sangue, violenza e lutto si dispiega di fronte a Corrado, che si interroga sul significato della strage umana a cui assiste senza trovare una risposta valida.

La non-scelta del limbo

Già nel 1937 Pavese annota in Il mestiere di vivere: «Un uomo vero, nel nostro tempo, non può accettare con cautele l’ananche della guerra. O è pacifista assoluto o guerriero spietato. L’aria è cruda: o santi o carnefici.»¹ Ancora prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale l’autore intuisce la durezza di un’epoca che traccia una linea netta tra gli uomini e li divide in oppressori e oppressi, in combattenti e codardi. I personaggi de La casa in collina rispecchiano perfettamente questa dicotomia. Da un lato si trovano Cate, Fonso e gli altri frequentatori dell’osteria, dall’altra Corrado, Elvira e la madre che gli danno rifugio. Dei primi nessuno si salva e agli altri, che si nascondono e perciò sopravvivono, resta il compito di proteggere, custodire e rimediare.

È la missione di Padre Felice, che nel collegio ospita orfani, giovani disertori e fuggiaschi come Corrado e Dino. Corrado stesso cerca di seguire l’esempio del religioso vegliando sul figlio di Cate, nella speranza di alleviare il senso di colpa e il rimorso che lo corrodono dall’interno. Dino infatti rappresenta per il protagonista l’unica possibilità di riscatto dalla vigliaccheria: prendersi cura di lui significa rendere sensata la fuga, darle uno scopo. Tuttavia, questi propositi non si concretizzano perché il ragazzo scappa dal collegio per unirsi ai partigiani. Così anche l’ultimo legame autentico con la realtà sociale è reciso e Corrado si riappropria del suo equilibrio solitario ed egoista. La libertà ottenuta dalla separazione è però solo apparente: la vergogna per la propria viltà marchia a fuoco l’uomo e lo segue ovunque egli si rechi.

Corrado dunque sembra soffrire di quella malattia della volontà tipica dell’inetto di sveviana e tozziana memoria. Contempla ma non combatte, si strugge nell’intimo ma è incapace di tradurre il tormento in azione: la sua esistenza scorre ai margini della Storia senza penetrarla. In un mondo che impone una visione bianca o nera, la scala di grigi dell’intellettuale non è tollerata, anzi, è il segno inequivocabile dell’impotenza. «Chi lascia fare e s’accontenta è già un fascista»²: sono parole del protagonista, che si condanna ancora prima che lo possano fare gli altri. Sarà poi Cate a esplicitare il verdetto, dichiarando «Sai tante cose, Corrado, e non fai niente per aiutarci.»³

La casa in collina come tragedia del singolo

Nel romanzo al dramma civile della mancata partecipazione alla Resistenza si affianca quello personale: Corrado è tormentato dal dubbio che Dino sia effettivamente figlio suo. Cate non sarà mai esplicita in merito, ma il solo fatto che il ragazzo si chiami come lui (Dino altro non è che un diminutivo di Corrado) è un indizio sufficiente. Più volte il protagonista tenta di instaurare un rapporto affettivo con entrambi i personaggi, fallendo. Il divario che lo separa dai due, coraggiosi, concreti e poco inclini alla riflessione, è troppo ampio.

Una dinamica simile, in cui il conflitto interiore del singolo e quello collettivo si intrecciano in una morsa di sofferenza, contraddistingue la struttura di un’altra grande opera della Resistenza, ossia Una questione privata di Beppe Fenoglio. In questo frangente la “questione” riguarda la ricerca disperata che il partigiano Milton intraprende per rintracciare Giorgio, suo rivale in amore. Da questa odissea personale trabocca l’esperienza della vita da resistente, che si infiltra ovunque, dai dialoghi alla descrizione paesaggistica. Questo accade perché la lotta partigiana richiede una dedizione totale alla causa, dove non c’è spazio per i rancori e le passioni del passato. Anteponendo la dimensione privata a quella pubblica Milton tradisce i suoi ideali e ne paga il prezzo: la guerra reclama un ruolo egemone nel suo quotidiano. Al contrario, ne La casa in collina al centro si collocano le meditazioni tormentate di Corrado, che filtra la sua visione gli eventi attraverso la lente di una lucida passività. Abbandonato Dino, la comunità perde qualsiasi importanza.

Il ritorno

In questa solitudine totale ha inizio il viaggio di Corrado verso le Langhe. la terra della sua infanzia. Non è un caso che la meta finale coincida con il luogo delle origini, quasi a suggerire un parallelismo tra il romanzo e i Nostoi epici del ciclo troiano. Diversamente da quel che accade agli eroi greci però Corrado torna a casa che sotto certi aspetti è ancora bambino. Il suo ritorno pare animato dal desiderio di ritirarsi in un universo ancora puro, non deflorato dalle atrocità a cui è stato costretto ad assistere. Non essendo stato in grado di lanciarsi in avanti adempiendo al proprio dovere morale ripercorre la strada all’indietro sino al grembo materno, invano. Durante il cammino infatti scopre che nessun paese è stato risparmiato dalle brutalità.

All’innocenza tanto agognata subentra l’amara consapevolezza:

«Guardare certi morti è umiliante. (…) ci si sente umiliati perché si capisce – si tocca con gli occhi – che al posto del morto ci potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione.»

C. Pavese, op. cit., p. 140

Corrado si domanda quale sia il valore effettivo da attribuire alla scomparsa di tutte le vittime che per mera fatalità si sono spente, lasciando ai vivi l’arduo ma irrinunciabile compito di attribuire loro un senso. Per questo arcano non esiste responso, così come per l’animo del protagonista non esiste pace. Pavese si serve del suo personaggio per trasferire altrove quanto di più problematico e tormentato vi sia nella sua mente e lo presenta al lettore, costretto a porsi gli stessi quesiti. Ha senso schierarsi di fronte all’insondabile crudeltà del reale? Come può una mente incline all’introspezione tollerare il fardello della consapevolezza e decidersi ad agire? In questo senso Corrado si presenta come un personaggio-antitesi, come un monito di fronte al quale ciascuno dovrebbe sentirsi chiamato in causa nel suo presente. La Casa in collina infatti valica i confini del tempo per raggiungere il lettore odierno senza proporre facili soluzioni, ma invitandolo alla riflessione critica e offrendo una prospettiva lucida quanto sofferta sui temi della guerra, della partecipazione civile, della colpa.


Bibliografia:

A. Casadei, M. Santagata, Cesare Pavese in Manuale di letteratura italiana contemporanea, Bari, Editori Laterza, 2007

C. Pavese, La casa in collina, Torino, Einaudi, 2020

B. Fenoglio, Una questione privata, Torino, Einaudi, 2014

¹ C. Pavese, Il mestiere di vivere, Torino, Einaudi, 2020, nota del 7 dic. 1937

²C. Pavese, op. cit., p. 26

³C. Pavese, op. cit., p. 77

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Chiara Girotto

Redattrice in Letteratura Reels Manager