Arte,  Ekphrasis - Le parole dell'Arte

EKFRASIS Le Parole dell’Arte – Modigliani

Ti guardo mi guardi mi guardo. 

A. Modigliani; Ritratto di Jeanne Hébuterne con cappello, 1917

Ti guardo mi guardi mi guardo

L’ovale dolce del tuo volto, il triangolo rilassato delle tue spalle, i tuoi lineamenti essenziali e gentili.

Il tuo collo è la torre d’avorio sensuale del cantico dei cantici, il naso deciso e fine, la bocca chiusa e silenziosa lascia parlare la visione della tua persona. 

La tesa dorata del cappello ti fa da cornice, da aureola. 

Dai colori densi e scuri dello sfondo, dalla cupola del copricapo, dal vestito nero emergono i colori sinuosi della tua pelle, del tuo volto, della tua chioma morbida.

Ti ho impastato l’incarnato e le ciglia e i capelli come Raffaello per le sue madonne, lui me lo ha lasciato nelle mani e tu negli occhi. 

Sei tu Jeanne la mia vera Beatrice, tutta italiana: come le malinconiche donne angelo e le madonne del Rinascimento reclini appena il capo e sollevi la mano graziosa ad adornarlo. 

Eccole, impastate nel colore, la grazia e la melancholia dell’arte si fanno materia. 

Le ho viste in te, le ho scrostate dalla mia anima e le ho messe lì, sulla tela. 

Le tue linee di contorno sono nitide: so tracciare con sicurezza le tue forme, conosco bene i limiti e i contorni del tuo volto, della tua personalità, della tua anima.

Sono linee primitive, originarie, tribali. La modernità le ha scelte, intorno vedo che il mondo in questo nostro nuovo secolo abbandona i classici di tutti i racconti e sceglie il momento primordiale, l’istinto, la materialità, il caos nell’istante in cui è preso nelle mani del demiurgo.

L’essenzialità che vedo nelle tue forme mi allontana dalla verosimiglianza, ma mi avvicina al vero. L’ho capito non tanto ascoltando o discutendo l’arte a Parigi, ma respirandone l’aria insieme agli amici ai caffè e vivendo questa molteplicità di visioni, come allenando l’occhio, congiuntamente a quella dei miei occhi dentro ai tuoi. Tu sei questa, come ti vedo. Una madonna rinascimentale nei tratti e nei disegni di questo presente che cambia rapido e rompe col passato già stabilito, scegliendosene un altro, ancestrale, per progettare il futuro.

Ti guardo mi guardi mi guardo

Mi appari nitida e irraggiungibile attraverso un vetro di luce che si effonde tutta sulla tua figura per catalizzarsi nel tuo sguardo.

Lo sguardo profondo, infinitamente enigmatico e indefinito.

I tuoi occhi nocciola color del mare aprono l’accesso all’oceano senza orizzonte, mi ci immergo, ma nuoto senza fine e senza direzione.

È uno sguardo che mi ha accompagnato anche prima che ti conoscessi, uno sguardo che mi appartiene, che è la mia visione del mondo, una visione maturata e cresciuta con me assorbendo ed esplorando i luoghi della mia vita. 

Uno sguardo che è unione, intreccio dei nostri occhi, che indaga il mondo come lo vivo io: lo sguardo dell’altro e verso l’altro, il diverso, il non-io. é nei non-io che cerco il mio io.

Dipingo te, Jeanne, e i miei amici, solo ritratti uno per volta; ogni tela è un incontro. E meglio conosco il diverso da me, meglio riesce l’indagine: così possiedo i contorni dell’io tanto quanto quelli del non-io al punto di poterli confrontare e avere un pari livello di familiarità e mistero tra l’uno e l’altro. Questo scarto di indagine è lo scarto della percezione. Il darsi del mondo al mondo. 

È uno sguardo appassionato, delicato, malinconico, infinitamente indefinito.

Come te, come me, come noi, come tutti.

Nel futuro Jeanne, altri occhi diranno retrospettivamente che è appena cominciato il Novecento, abbiamo appena incominciato a guardare dentro e oltre l’uomo nelle sue più recondite profondità. Sono gli occhi che indaga Freud, gli occhi delle macchine fotografiche e delle cineprese che Benjamin, Ejzenstejn e i primi fotografi artisti studiano, direzionano, sperimentano. 

Il vetro impalpabile e luminoso che ci mantiene distinti è il gioco della verità: ti illumina, mi permette di vederti, conoscerti, contemplarti, dipingerti. Non-io.

Ha un doppio effetto di trasparenza e al contempo di specchio. Mi rifletto. Io.

Eppure, invincibile, tiene tra noi una minima e diafana distanza, qualcosa di te e qualcosa di me non possiamo afferrarlo. Scappa e si rifugia negli occhi, nell’anima, dove rivela intensamente la sua presenza, ma nulla di più. O meglio, nulla di meno. O forse, mai abbastanza.

Non ti ho trattata da dea, da madonna, da Beatrice, non ti avrei detto queste parole in vita. Non appartengono alla nostra biografia tormentata, di eccessi, di passioni violente. 

Questa non è la mia voce. Io ho lasciato le mie tele, che hanno il suono di queste parole: alla ricerca di significato, di una pace inquieta, di una comprensione mai esaustiva, come d’altronde non è esaustiva nè precisa la mia eredità artistica. Io ho lasciato i miei segni a generare corrispondenze aperte nel mondo. DIfatti, cara Jeannette, la nostra piccola Jeanne ha lavorato molto per ricostruire la nostra vera eredità, ma l’ho sparsa talmente bene che anche lei è entrata nel gioco delle corrispondenze e si è dovuta confrontare con gli entrlacs tra falsari, critici, direttori museali, ragazzi burloni, giornalisti…

È un’altra voce infatti che parla ora e sono passati da poco cent’anni da che ti ho dipinta, la nostra storia d’amore tragica e il mio personaggio Modì si sono mescolati al mare dei tuoi occhi senza che aggiungessi una pennellata, è bastata quella della firma. Anche altri racconti, altre visioni, altri occhi, come ti ho detto, si mescolano ad essi ormai: quelli del mercato e dei collezionisti, dei falsari, dei critici e dei libri di storia dell’arte, dei media, della cronaca, dei curatori, di altri artisti. Forse il nostro amore è stato romanzato, non lo sappiamo che noi com’è stato. Forse la nostra storia è stata fatta leggenda, mito, non l’abbiamo vissuta che noi; forse la teorizzazione e la critica hanno aggiunto intenzionalità o rimandi,astrazioni, che non avremmo saputo vedere; forse chi passeggiava nei musei ha sognato più grande di me e te. 

Ma dopotutto, Jeannette, non è nell’unità di molteplici sguardi e di diversi occhi, la chiave della visione?

Riferimenti:

Il testo è tratto dal racconto breve “Arte e amore, il frutto di due dipinti. Lo sguardo dei figli.” della stessa autrice, vincitore del primo premio Il fascino del racconto 2022 nella sezione a tema artistico ed edito nella raccolta del premio.

Premio ALA 2022 I risultati – ALA Libri

Aratea Cultura

Arte Archives – Aratea Cultura

Ekphrasis – Le parole dell’Arte Archives – Aratea Cultura

Beatrice Buratti

Redattrice in Arte

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