Critica di Poesia,  Letteratura

Un verso da cui cominciare. “Non sappiamo come continuare” di Demetrio Marra

di Niccolò Gualandris

Demetrio Marra (Reggio Calabria, 1995), poeta, insegnante, collaboratore editoriale e direttore della rivista di ricerca letteraria e visiva Lay0ut è da leggere e da seguire per la sua attività culturale di rilievo e per il suo impegno civile e politico dentro e fuori la bolla intellettuale. 

Con Non sappiamo come continuare, Marra sceglie la strada dell’autopubblicazione, dopo aver esordito per Interno Poesia con Riproduzioni in scala (2019) e il contributo critico alla nuova edizione de Il pensiero perverso di Ottiero Ottieri (Interno Poesia, 2022). La scelta dell’autolibro non è semplice self-publishing ma un atto politico che, attraverso la scelta di esplicitare in appendice costi di produzione, retribuzioni di chi ha lavorato all’oggetto-libro e di provvedere personalmente alla distribuzione, problematizza il ruolo dell’editore istituzionale (specie quello di poesia).

Constatato l’ingolfamento della filiera che passa per lettori editoriali malpagati, redazioni smembrate ed esternalizzate, editing scarso e altrettanto scarsa attenzione per il prodotto finale, al sedicente editore rimane solamente l’aura del marchio e la garanzia, attribuitagli per patto sociale, di qualità dei manoscritti scelti (o spinti) per diventare libri. Visto che un libro si può scrivere, editare, pubblicare, impacchettare e distribuire in autonomia – con alcune difficoltà, ovviamente – ecco che l’autore, dalle solide credenziali di qualità acquisite in anni di gloriosa e malpagata gavetta culturale, può fare di questa scelta un posizionamento netto. 

È vero, come afferma Marra, che ormai si pubblica spesso più per posizionarsi e non perché si crede veramente in un testo (lo dimostrano migliaia di “mezzi chili di carta”, direbbe Learco Pignagnoli, che troneggiano inutili e già obsolescenti negli scaffali di novità librarie) ma è vero anche che quando qualcosa emerge dai flutti di questo oceano burrascoso e opaco è sempre compito del critico (e lo siamo ormai tutti, nella convergenza lettore-scrittore-recensore-promotore dei social network) tendere una mano e soccorrere un libro meritevole dalle onde degli instant books, dalle raccolte di post impaginati e spacciati per saggi, dalla narrativa scritta col pilota automatico (ancora quasi del tutto frutto della deficienza naturale e non della temuta IA).

Non sappiamo come continuare è un libro di poesie che, superate le cento copie vendute in preordine si assesta già sulle cifre medie dei titoli meno blasonati della Bianca Einaudi e della maggioranza di pubblicazione poetica di editori indipendenti. Il pubblico della poesia esiste ed esiste anche il pubblico pagante della bella poesia, oltre a chi riceve copie gratuite per recensioni. I testi di questo libro, i nove processi biofisici, sono il frutto di quattro anni di vita e lavoro, di attivismo, relazioni, fallimenti, transizioni, ripensamenti, rimuginii e ossessioni.La prefazione è a cura di Dimitri Milleri, altro pilastro di Lay0ut e poeta (si ricorda Sistemi, Interno Poesia, 2021 e i testi inclusi nel XVI Quaderno italiano di poesia contemporanea, Marcos y Marcos, 2023). 

Defining parody, apre tematizzando il rapporto di un laureando fuorisede con i genitori lontani:

è tempo ormai che non vi chiedo più niente:
solo soldi e poco tempo al telefono se dio Vodafone vuole
col pensiero reciproco in background
dove è, cosa fa, starà bene oppure l’avvolge una fiammata
ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ [di gas

Non sappiamo come continuare (p. 13)

Il distacco generazionale e affettivo è vissuto, insieme all’incertezza per il futuro e per la propria condizione, da un Io che si domanda “con quanti strati di ironia sto parlando?” (p.15). Questo dubbio è al centro della condizione esistenziale della voce poetica, sospesa tra un “dentro” di intenzioni, concetti, emozioni che deve confrontarsi con un “fuori” contemporaneo di incertezza e precarietà.

chi sia questo noi, e di chi è il mondo.

Viene la digressione sull’Antropocene, Apocalisse,

sorridendomi cerchi un verso da cui cominciare,

da cui poter, che non troviamo, e poi: di chi è il verso

(p. 17)

La riflessione metapoetica si mischia al linguaggio saggistico-apocalittico e un certo verseggiare indie (“ti riprendo al cellulare come le rivolte, / mi sei fuori estranea, piccione sulla cornice” (p.18) oppure “ti corre l’acqua sopra la parte / convessa di un cucchiaio, / mi rifletto sei di acciaio” (p. 54)) che realizza la convergenza tra i due poli di esteriorità ed interiorità (“l’involontarietà di testo e contesto, / siamo già, sempre, fuori di noi” (p.19)). Vi è convergenza di linguaggi, di orizzonti (individuale/collettivo) e di esperienze di vita; tutti elementi che concorrono ad una visione ideologica ed un risultato poetico inaspettatamente compatto e maturo, che trascende presto la posa da fallimento annunciato evocata a più riprese nei testi.

In Quattro incipit senza data si affrontano discorsi sulla salute mentale, sui disturbi d’ansia e nel mezzo c’è una laurea in pandemia e la prospettiva fumosa del lavoro culturale. Il punto di arrivo di un posto di lavoro nella scuola, nell’editoria, nel giornalismo contrasta con l’anelito personale e politico “voglio liberarmi del tempo non nel tempo!” (p. 27). È il desiderio di una vita che non sia solo progressiva emancipazione economica (superato un interregno di precariato e insicurezza di durata indefinita).

mi laureo e vuol dire

impastarmi nella voglia di

trovare un luogo che non sia l’alibi

del mio cementarmi nella Scuola,

nel Libro, nel Quotidiano

(p. 27)

Permeato dalla tentazione della prosa è anche Avantesto, quasi-incipit romanzesco nel quale la visita ai genitori in Calabria fa scaturire una conversazione, nei fatti un monologo, nel quale il figlio affronta nuovamente il tema del futuro e della fine del mondo, accettata con sofferta rassegnazione.

nel duemilaecinquanta vedrete la fine del mondo

[accanto a me,

microscopici in foto o qui in terrazza, come spazio inoccupato

(p. 31)

Tautoromanzo è l’episodio centrale e più compiuto (in termini di compattezza tematica, narrativa e qualità della resa poetica) del volume. Il tragitto-odissea tra la casa e la scuola dove lavora il protagonista è il punto di partenza per l’esplorazione del rapporto dell’Io con la città, la realtà urbana milanese attraversata come in una corsa ad ostacoli. Il basso continuo dei podcast nelle orecchie che si alternano ai pensieri. L’incontro con “un culo in pantaloni termici / che attende alla fermata – / […] costa dieci secondi di Costa” (p. 34) e pause, click e riavvolgimenti audio sono la metafora di una sensazione di sconfitta percettiva che si fa imperante: ci si rende conto delle cose solo a posteriori.

Esce da scuola con la sensazione

di avere compulsato ancora,

di aver lasciato che il pensiero lo trattenesse,

non gli permettesse di rivoltarsi

come un calzino in aula, di darsi

invece è già dopo 

(p. 39)

E sempre dietro l’angolo è il terrore di trasformarsi in quello che si è sempre odiato, come se il titolo di insegnante precario proiettasse già il protagonista verso una maturità maschile problematica e inscalfibile: a giudicare le ragazze su Tinder, ad accettare la gentrificazione, il classismo, le uscite sessiste altrui o a non interrogarsi sui propri pregiudizi per eccesso di buona educazione. La riflessione finale è la svolta, la convergenza dentro/fuori che permette una realizzazione, se non una vera e propria epifania.

si chiede se è solo l’ambiente che cambia,

camminando dentro camminando fuori,

perché una volta fuori e dentro gli era sembrato uguale

(p. 48)

Se dentro e fuori sono uguali allora è possibile uscire dalla gabbia in cui ci si è rinchiusi e annichiliti e iniziare a cambiare ciò che non combacia con quello che vorremmo vedere dentro e fuori di noi.

In Spostamenti le esperienze sociali e collettive del volontariato si mischiano al racconto di una relazione finita, toccando l’apice di lirismo all’interno della raccolta. Fa da contaltare al soggettivismo lirico del testo precedente Fuori, dove viene presentata con rabbia la Milano dei grandi eventi, del turismo forsennato e dove i moduli dell’invettiva la fanno da padrone. L’attenzione alla realtà circostante è sufficiente per generare un’immaginazione rivoluzionaria a cui si oppone la persona del “padre di famiglia senza famiglia e senza figli”, un uomo medio spaventato dalla politica, da ciò che vede intorno a sé e che decide colpevolmente di non voler comprendere, nonostante disponga degli strumenti per farlo.

Il testo che chiude Non sappiamo come continuare è Per tenerci lontano. Riflessivo e malinconico, l’alter-ego Demetrio ritorna al dialogo interiore con i genitori.

(Ciao mamma papà, sì, non mi spiace

questa ambiguità di tempi della vita.

Lavoro come se potessi

rifare l’adolescenza,

in assoluto, riscattarmi dall’odio,

trovarvi giovani. Riposati).

(p. 64)

La fuga dal dentro rassicurante, dai caloriferi che “col loro caldo genitale” (p.65) rappresentano la zona di comfort, verso il fuori “senza acqua corrente, / senza filtri anticalcare. / Senza luce artificiale, / poltrone imbottite e librerie verniciate, / senza agende che non riesci a usare” (p. 66) è difficile ma necessaria. Un ultimo moto di resistenza:

Vorrei solo essere bello. No,

tu… vogliamo essere visti

e non c’è niente di male

(p. 66)

L’autore definisce l’andamento ondulatorio della sua poesia “un movimento che alterna scomodità individuale e sistemica a comodità individuale e sistemica” (p.70). Questo continuo riferimento alle dicotomie è interessante soprattutto quando viene proposto un loro superamento, attraverso l’azione individuale e dunque sociale (poiché nessuno è mai veramente solo) e di conseguenza politica.

Questo è un libro di poesia che vuole e deve dialogare oltre il pubblico tipico della poesia (anche questa del pubblico tipico è una costruzione dovuta più allo scarso investimento sulla poesia che alle sue caratteristiche intrinseche) e sfondare le barriere editoriali per confrontarsi direttamente con il numero più ampio possibile di lettori. È un libro stilisticamente ibrido che si pone al di là delle distinzioni di genere della poesia contemporanea e abbraccia un pluristilismo interessante, tra poesia civile e lirica; rifiuta orfismo e misticismo e abbraccia il lessico dei meme, della teoria critica, della conversazione informale, mantenendo però una cifra media di qualità letteraria e leggibilità, senza voler essere poetico a tutti i costi.

Demetrio Marra è un autore che ha qualcosa, molte cose, da dire; sia quando sceglie la poesia, sia nel lavoro critico. È un intellettuale determinato che prova ad andare oltre gli intellettualismi mantenendo la propria competenza e ricchezza di pensiero ma rifiutando l’ingessatura e le pose tipiche di chi si muove in ambito culturale in questo Paese. È innanzitutto bravo e il suo Non sappiamo come continuare è un libro bello, è leggibile, intellegibile, profondo, lirico, politico, ironico e profondamente personale, sia nei due terzi dedicati alle poesie che nel restante terzo di sapore pamphlettistico intitolatoPretesti: nota all’autopubblicazione

Nel suo libro si trova arrendevolezza e sana incazzatura, nostalgia e utopia ma soprattutto voglia di portare una militanza culturale nel dominio della realtà. Se la militanza culturale è spesso, secondo Marra, “un’evidente forma di autorepressione” (p. 75), la rabbia contro il sistema (politico, editoriale, economico) deve essere portata oltre e dentro il mondo extra-letterario anche attraverso la poesia.

Come afferma Dimitri Milleri nella prefazione, sono abbandonati alcuni stilemi da enfant terrible che affioravano nelle precedenti prove poetiche a favore di una scrittura più onesta, che cerca di mantenere la libertà della forma poetica con incursioni nel territorio della prosa, territorio che ci si augura venga al più presto esplorato dall’autore. 


Demetrio MarraNon sappiamo come continuare, autopubblicato, 2024, 15 euro

Articolo di Niccolò Gualandris

Aratea Cultura

Niccolò Gualandris

Vicedirettore e redattore di Letteratura

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