Filosofia,  Psicologia

Videogiochi ed emozioni – Provare emozioni per personaggi di fantasia

Un articolo di Enrico Calcagno


Chi tra noi non si è mai inoltrato tra le pagine di un buon libro, al punto tale da provare emozioni intense d’amore o d’odio verso i suoi personaggi? E che dire magari delle situazioni drammatiche che, nelle fasi più concitate di alcuni videogiochi, arrivano a spingerci a pietà e a farci compiere scelte morali? Quanto possiamo fidarci di queste emozioni, e in cosa esse differiscono da quelle che proviamo nella vita di tutti i giorni, è una domanda che può sembrare banale, ma che meriterebbe forse qualche riflessione in più. Tenteremo di compiere un breve percorso verso la soluzione della questione analizzando il binomio di videogiochi ed emozioni.

Una delle questioni più affascinanti e dibattute nella filosofia riguarda proprio la nostra capacità di provare emozioni in risposta a opere di finzione, come libri, film o videogiochi. Esplorare la complessità di queste emozioni è fondamentale per comprendere la nostra interazione con le opere di finzione e le arti in generale. Già Aristotele, nelle pagine delle Poetica, sottolineava il coinvolgimento emotivo come parte integrante delle opere d’arte, in particolare delle tragedie. Egli ha affermato che il suscitare emozioni nei fruitori in vista della κάθαρσις (catarsi) è essenziale per la tragedia. Ciò può sembrare contraddittorio, dato che le tragedie spesso trattano di eventi sconvolgenti e dolorosi. Come può ciò suscitare gratificazione e piacere?

Il Paradosso della Finzione e La Thought Theory”

I tentativi di rispondere a queste domande hanno dato luogo al cosiddetto “paradosso della finzione”, che possiamo esprimere attraverso tre enunciati:

  1. Le persone provano emozioni per opere ed entità di cui conoscono la natura fittizia.
  2. Per provare emozioni, è necessario credere che l’oggetto verso cui le proviamo sia reale.
  3. Le persone sanno che le entità fittizie non esistono.

Ciascuno di questi enunciati sembra vero preso singolarmente, ma considerati tutti insieme creano una evidente contraddizione logica. Molti filosofi hanno cercato di risolvere questo paradosso cercando di attenuare uno tra questi tre enunciati (senza mai però intaccare il terzo).

Peter Lamarque, filosofo inglese, ha proposto una soluzione interessante al paradosso della finzione con la sua “Thought Theory”. Lamarque suggerisce che l’emozione sia causata dal pensiero, ma che non sia parte del pensiero stesso. In altre parole, le emozioni non deriverebbero direttamente dal contenuto dell’entità di finzione, ma piuttosto dal pensiero che agisce su di essa. Con questa mossa spostiamo quindi l’attenzione dall’oggetto di finzione al pensiero dell’oggetto. (È il pensiero della mummia a fare paura, e non la mummia in sé per sé). Questo meccanismo di pensiero agisce sia a livello fisiologico che comportamentale, portandoci a reagire come se l’evento o il personaggio di finzione fossero reali. Per sviluppare questo punto, molto importante per l’affermazione della realtà e della genuinità delle nostre emozioni davanti a entità fittizie, sarà utile fare riferimento ad una particolare forma di finzione che ci pone in un rapporto non solo “contemplativo” ma anche pratico rispetto al contesto finzionale: i videogiochi.

Il problema delle “emozioni genuine”

L’immersione nei videogiochi offre un’esperienza ancora più coinvolgente. Quando giochiamo non siamo semplici spettatori passivi, ma partecipiamo attivamente all’azione e alla narrazione. Questa forma di intrattenimento coinvolge quasi tutti i nostri sensi, portandoci a sperimentare e provare emozioni genuine mentre “giochiamo a far finta di essere” il protagonista di un’avventura fantasy o di un esploratore spaziale.

Ma facciamo un piccolo passo indietro: cosa si intende per “emozioni genuine”? In particolare, non è tanto il primo termine a essere problematico, quanto il secondo: un’emozione, almeno intuitivamente, è un qualcosa che noi proviamo in un certo senso fisico e mentale, e in linea di massima ci accorgiamo come e quando ne proviamo una. Ma come facciamo a capire se essa è genuina o meno?

Kendal Walton, filosofo dell’arte, ritiene ad esempio che di fronte agli oggetti di finzione proviamo soltanto “quasi-emozioni”, frutto di un gioco che è proprio del mondo dell’arte. Questo perché, ad esempio, di fronte ad una situazione paurosa che sappiamo essere fittizia, entriamo in uno stato mentale simile a quello della paura, ma non ci comportiamo come se fossimo realmente in una situazione paurosa o di pericolo (davanti al mostro di un videogioco non fuggiamo, come non tentiamo di aggredire o di metterci in salvo dall’attore che interpreta l’assassino nella casa degli orrori di un parco a tema). Va tuttavia ricordato che nel determinare il nostro comportamento in questi casi interviene sempre anche una parte razionale, che gioca un ruolo importantissimo nel determinare il nostro comportamento a seconda del contesto in cui ci troviamo. L’intervento della ragione in tal senso può anche spiegare, tornando ad Aristotele, il motivo per cui ci sentiamo in qualche modo gratificati nell’assistere a scene drammatiche o perché da un nostro sentimento di terrore possa nascere qualcosa di gradevole. La nostra componente razionale riesce infatti a farci adottare un punto di vista esterno al mondo dell’opera, facendoci così valutare non la vicenda in sé, con la sua carica emotiva, ma il complesso della struttura artistica all’interno di cui è inserita. Eppure, ci è difficile inquadrare come perfettamente razionale un atteggiamento di totale impassibilità e privo di qualsivoglia coinvolgimento davanti ad una rappresentazione drammatica. Ma allora come valutare il carattere più o meno genuino di queste emozioni suscitate dall’arte e dagli oggetti di finzione? Una soluzione ce l’aveva già fornita Peter Lamarque: l’emozione viene causata meccanicamente dal nostro cervello, a seconda di ciò che esso si rappresenta. Questo particolare meccanismo ci permette di eliminare il riferimento all’oggetto finzionale, facendo risalire la genesi delle emozioni ad un meccanismo causale di rappresentazione di cui non abbiamo ragione di dubitare.

Rimane però un problema: i comportamenti che esibiamo a seguito di un’emozione generata da un ente fittizio sono, a ragione, molto diversi da quelli che potremmo manifestare in un contesto reale. Questo perché abbiamo detto esistere una divisione operata dal nostro pensiero tra il contenuto dell’ente di finzione e la sua natura fittizia. Ma cosa accadrebbe se avessimo la possibilità di estendere il nostro raggio d’azione, passando da essere semplici spettatori passivi di un dramma a parte attiva del gioco di finzione dello stesso? Questa è la condizione che si verifica quando videogiochiamo. Attenzioniamo dunque più da vicino la coppia videogiochi ed emozioni.

Videogiochi ed emozioni: come veniamo guidati nelle scelte

Il videogioco è una forma di intrattenimento che coinvolge attivamente i giocatori, portandoli in un mondo fittizio dove viene richiesto loro di agire attivamente. Esperienze videoludiche ben strutturate, con un contenuto narrativo-tematico ben orchestrato e dal buon comparto tecnico, possono sollecitare fortemente l’immaginazione vivida di cui parla Lamarque, attivando delle disposizioni comportamentali che ci spingono ad agire all’interno del gioco stesso. Questi stimoli innescano lo stesso meccanismo legato all’emozione innescato dalla lettura di un romanzo o dalla visione di un dramma. Il videogioco ha tuttavia il pregio di estendere e potenziare l’esperienza ludica del “giocare a far finta di”, fornendo al giocatore non solo la possibilità di agire in risposta agli stimoli emotivi dati dall’opera, ma anche una giustificazione a tale reazione che non scada nell’irrazionale. Mantenendo intatta la divisione tra mondo in cui ci immergiamo e natura fittizia dello stesso, il fruitore dell’opera si sente spronato ad agire in virtù delle particolari strutture del medium videoludico e protetto dal suo status di gioco di finzione. Il giocatore è pertanto disposto a compiere scelte e azioni coerenti alle emozioni che prova, a volte agendo contro i suoi stessi interessi o contro l’incolumità del suo avatar.

Un esempio che può chiarire questo meccanismo è l’ormai celebre Bioshock, avventura in prima persona del 2007 sviluppata da Irrational Games. Nel gioco ci viene data la possibilità di una scelta: uccidere o meno delle bambine indifese, le sorelline. Uccidendole, si otterranno dei bonus molto utili ed importanti ai fini del gameplay, mentre salvando loro la vita questi non si otterranno e non ci sarà data la possibilità di compensare questa perdita di vantaggio in alcun modo. Il giocatore, dunque, che per portare a termine il gioco deve avvantaggiarsi il più possibile, dovrebbe razionalmente operare la scelta più efficiente ed economica in tal senso. Tuttavia, gran parte di coloro che l’hanno giocato hanno affermato di aver salvato tutte le sorelline durante la loro prima partita. Abbiamo ottimi motivi per pensare che a determinare tale scelta possa essere un qualche tipo di compassione o pietà provata per le bambine all’interno del gioco, in quanto il giocatore non riceve altra ricompensa utile ai fini della sua partita se non le parole di gratificazione di queste stesse bambine o di altri personaggi fittizi all’interno del mondo di finzione.

Come le emozioni ci guidano nella prima scelta morale di Bioshock
La prima scelta morale che i giocatori di Bioshock si trovano a dover affrontare

Ecco come il binomio videogiochi ed emozioni può aiutarci a chiarire, almeno in parte, di che natura sia la nostra interazione con le opere di finzione in generale e il ruolo fondamentale che vi gioca la nostra componente emotiva, oltre che razionale. Non solo, infatti, possiamo provare delle emozioni di un qualche tipo fruendo di un’opera di finzione quale il videogioco, ma esse risultano anche essere genuine e – se il contesto finzionale lo consente – abbastanza forti da determinare le nostre disposizioni comportamentali, almeno a questo livello. Saremo tanto più disposti ad attuare questi comportamenti quanto più il contesto finzionale ce lo consente, inibendoli invece al minimo possibile quando agiamo e reagiamo ad essi nel mondo reale.


Link utili e suggerimenti bibliografici:

https://www.arateacultura.com/
https://en.wikipedia.org/wiki/Peter_Lamarque
Lamarque, P. e Olsen, S.H. (1994), Truth, Fiction, and Literature, Clarendon Press, Oxford
https://en.wikipedia.org/wiki/Kendall_Walton
Walton, K.L. (1990), Mimesis as Make-Believe, Harvard University Press, Cambridge (MA)
Voltolini, A. (2010), Finzioni. Il far finta e i suoi oggetti, Gius. Laterza & Figli, Roma-Bari
https://it.wikipedia.org/wiki/BioShock
https://www.arateacultura.com/dalla-filosofia-del-gioco-alla-filosofia-per-gioco/